La carta dell' Imam è Bani Sadr di Igor Man

La carta dell' Imam è Bani Sadr NELL'IRAN DA UN ANNO IMPERA L'AYATOLLAH KHOMEINI La carta dell' Imam è Bani Sadr Per rassicurare gli iraniani infastiditi dallo strapotere religioso, ha lasciato che un laico diventasse il primo presidente della Repubblica islamica - Gli consentirà ora di agire per «mettere ordine in casa»?. Dopo dodici mesi di tensioni e troppe aspettative deluse, il Paese è «terribilmente stanco e debole» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE TEHERAN — Un anno fa, il primo di febbraio, alle 9 e 7 minuti, un Jumbo dell'Air France appare nel cielo terso di Teheran, sorvolando le cime innevate dei monti Albore. Su quell'aereo, che prima di posarsi sull'aeroporto compie un giro a bassa quota sulla città, c'è Khomeini, il «profeta disarmato». Ritorna in patria dopo quindici anni di esilio e Teheran impazzisce: milioni e milioni di persone piangenti inondano le strade. Gridano: «Allah è grande. l'Imam è tornato». «Il mondo non aveva mai visto uno spettacolo simile». scriverà il New York Times. L'Iran intero è squassato dall'esaltazione, le truppe sono consegnate in caserma, è un momento cruciale, ma lui, il vecchio ayatollah, che durante il viaggio ha sempre sonnecchiato, si sveglia solo dopo l'atterraggio. Nessuna traccia d'emozione sul suo volto corrucciato. Lentamente, appoggiandosi al braccio del figlio Ahmed, scende la scaletta del Jumbo. Quando si imbuca nella «Mercedes» parcheggiata ai piedi del jet, solleva la tunica nera mostrando un paio di babbucce logore. Nella saletta vip dell'aeroporto lo attendono in tanti: da Shariat Madori a Talegani, da Bazargan a Sandjabi, religiosi e laici che hanno sofferto le carceri dello Scià, le torture della Savak. e han visto morire famigliari e amici, la povera gente dei quartieri bassi. Un coro di giovani intona un versetto del Corano, molti piangono, commossi appaiono anche i rappresentanti delle altre confessioni religiose. Lui fa il suo ingresso strascicando le ciabatte. Beve un sorso d'acqua e, finalmente, sorride. Poi si affloscia su di un tappetino, prega. Cala un silenzio immenso, che sì rompe in una poltiglia di consonanti quando il figlio lo tira su. Cinque robusti mullah lo caricano su di una «LandRover» bianca, ma la folla rischia di sommergerla, sicché Khomeini viene imbarcato su di un elicottero che atterra, infine, nel grande cimitero di Teheran, saturo di gente in delirio: «Il santo è arrivato». Al centro del riquadro 17, tassellato a perdita d'occhio dalle lastre tombali dei martiri della rivoluzione, Khomeini proclama: «Taglierò le mani dei traditori, spezzerò i denti ai nemici dell'Islam ». La situazione è tremendamente difficile: «Da un momento all'altro può cominciare il massacro», avverte Shapur Bakhtiar, il primo ministro insediato dallo Scià prima della sua fuga (il 16 gennaio), nell'estremo tentativo di salvare la dinastia mediante un compromesso tra «moderati» e «rivoluzionari». Ma Khomeini respinge i consigli a mostrarsi «prudente e flessibile»; «Nessun compromesso, dice, Bakhtiar se ne deve andare: della dinastia dei Pahlavi non deve rimaner traccia». Il 5 febbraio nomina Bazargan capo del governo provvisorio. Giorno dopo giorno, il governo «ufficiale» perde terreno, Bakhtiar sprofonda nel ridicolo. Khomeini rinnova implacabile il suo ukase, Bazargan tratta coi generali, i mullah plagiano i soldati. Dopo una serie di sanguinose sortite, gli Immortali, la guardia armata dello Scià, sfilano il 5 aprile per le vie di Teheran. E' una minacciosa dimostrazione di forza: gendarmi dei corpi speciali, marines, carri armati e perfino missili terra-terra, vengono imbrancati nel corteo che paralizza la città ore e ore. Ma il popolo irride agli Immortali, i ragazzini lanciano sberleffi, le donne offrono gladioli ai soldati. Sei giorni dopo scatta la «sommosa delle quarantotto ore»; uomini, giovinetti, donne armati di pochi fucili e financo di bastoni corrono in soccorso dei cadetti dell'aeronautica attaccati dalla guardia imperiale. L'esercito non si muove, gli Immortali si arrendono uscendo dalla loro caserma in mutande: la «rivoluzione a mani nude» ha vinto. Òggi, retrospettivamente, è possibile fissare due fasi nella rivoluzione khomeinista: la prima è la rivolta popolare contro lo Scià, guidata a distanza da Khomeini. ma pagata a caro prezzo da tutte quelle forze laiche e progressiste che cercano di strumentalizzare il «collante» rappresentato dal movimento religioso. La seconda è un vero e proprio putsch freddo opera¬ to da Khomeini, che concentra tutto il potere nelle mani del clero. Il governo Bazargan viene scavalcato continuamente dai vari khomiteh islamici che prendono ordini solo dal misterioso Consiglio della rivoluzione; una valanga di elamieh (direttive) rotola da Qom, dove Khomeini si è ritirato: viene bandito l'alcool, vietata l'impura musica occidentale, imposta la separazione tra maschi e femmine nelle scuole, nelle università, sulle spiagge, nelle piscine. Si tenta di imporre lo chador alle donne (che però si ribellano), i tribunali rivoluzionari, sotto la feroce supervisione dell 'ayatollah Khalkhalì, giudicano in fretta e fucilano subito, mettendo nel mucchio vecchi arnesi del regime deposto, torturatori, prosseneti, e sodomiti. Giornali vengono soppressi e leaders laici intimiditi o arrestati. E' l'anarchia. La rivolta kurda nell'agosto, repressa nel sangue, le proteste continue di quattro milioni di disoccupati, il grande scontento dei laici, le lotte intestine in seno all'establishment religioso, fanno venir meno l'unanimità «ostinata e fiduciosa» dei giorni in cui gli scherani di Mohamed Reza massacravano la gente. Cade l'entusiasmo incondizionato che caratterizzò i momenti indimenticabili dell'insurrezione. Viene proclamata la Repubblica islamica, si gettano le basi della nuova Costituzione. Ma tra il primo appuntamento elettorale (aprile) e quello di dicembre (nuova Costituzione) lo sciismo vincente conosce un'ondata di riflusso. Deluse le grandi attese, rialza la testa lo sciismo storico, quello del rifiuto. Per esorcizzare il dissenso. Khomeini cava dal suo turbante la carta della lotta contro l'imperialismo: gli studenti occupano l'ambasciata americana il 4 novembre e quel «nido di spie» diventa il fuoco destinato a riattizzare i sopiti entusiasmi popolari. Certo, il Paese conosce un soprassalto d'orgoglio nazionalista di fronte alla reazione degli Stati Uniti, al pericolo di un blocco economico o ad¬ dirittura di un blitz americano; tuttavia mezzo Iran boicotta il referendum istituzionale, il vertice islamico si spacca con la sortita di Shariat Madari che condanna senza mezzi termini la costituzione teocratica imposta da Khomeini. Scoppiano i moti di Tabriz. Ma Khomeini «uomo forse rozzo, ma politico consumato» (il giudizio è di Bazargan) capisce quel che c'è da capire. Gli iraniani non sopportano più lo strapotere religioso, vogliono «legge e ordine», pane e lavoro, soprattutto libertà. Urge una proposta alternativa non religiosa, laicodemocratica. E l'Imam coglie l'opportunità delle elezioni presidenziali per rassicurare il popolo. Sbarra la strada della presidenza agli ayatollah, mozza le due ali estreme dello schieramento politico, lasciando praticamente via libera al più laico degli islamici, quel Bani Sadr che trionfa con il 572 per cento dei suffragi. Sennonché il «capolavoro olitico» di Khomeini va veficato. Se davvero l'Imam a compreso la lezione, bisonerà che consenta a Bani adr di gestire il potere libeamente, sollevato dai condiionamenti dell'irriducibile stablishment religioso, dala presenza ingombrante e ericolosa del «governo paallelo»: gli studenti. Bani Sadr è pieno di buone ntenzioni: per lui la rivoluione va portata avanti, ma ui binari della logica e del pluralismo. Il rigoroso nonallineamento che egli postula presuppone poter lavorare con l'Europa e con il Giappone. Ma questo «lavoro» presuppone, a sua volta, la soluzione, la più dignitosa possibile, del problema-ostaggi. E' passato un anno dal ritorno di Khomeini in Iran. Un anno di speranze e di contraddizioni, di sangue, tumulti e di aspettative deluse. I prezzi delle derrate aumentano, scarseggiano viveri di prima necessità, i khomiteh fanno il bello e il cattivo tempo. Come qualcuno ha ben scritto, «i contadini aspettano la riforma agraria, gli operai che i comitati islamici scoprano la politica sindacale. La sinistra, composita e divisa in clan, aspetta che la rivoluzione si compia. La classe media, gli intellettuali aici attendono la libertà. Le masse inurbate, i mostazafin i senza scarpe) la casa, il lavoro, la tranquillità». «Se la pazienza è la virtù dei forti, dobbiamo dire che n questo momento gli iraniani son terribilmente stanchi e deboli sia sul piano interno sia su quello internazionale»; sono parole di uno dei più vicini collaboratori di Bani Sadr. Il quale aggiunge, però, di aver fiducia: «La nostra rivoluzione è stata troppo rapida e bruciante. Cosi sono stati commessi molti errori. Ma ora è venuto il tempo di mettere ordine in casa». Tutto dipende dall'Imam. Ma egli nella sua annosa esperienza avrà pure imparato come in questa parte del mondo siano sempre stati i miserabili a fare e disfare le fortune dei potenti. Igor Man t Teheran. L'ayatollah Khomeini: difficile bilancio un anno dopo il ritorno dall'esilio (G. Neri)