Il gas mortale in sala operatoria non è soltanto una tragica fatalità di Bruno Ghibaudi

Il gas mortale in sala operatoria non è soltanto una tragica fatalità Per le due vittime di Roma, cinque comunicazioni giudiziarie Il gas mortale in sala operatoria non è soltanto una tragica fatalità ROMA — Due ragazzi vivranno con i reni del piccolo Fabio Meloni, il bambino morto l'altro ieri per avvelenamento da anidride carbonica. Un tragico errore ha fatto fluire il gas mortale nel circuito di distribuzione dell'ossigeno nella clinica «Madonna di Fatima» proprio mentre il piccolo stava subendo un intervento operatorio. I suoi due reni sono stati trapiantati ieri a Rossana Marziani, sedicenne di Roseto degli Abruzzi operata al Policlinico Gemelli dal prof. Giancarlo Castiglioni, e al ventenne leccese Donato Bertini. operato al Policlinico Umberto I dal prof. Raffaello Cortesini. Le loro condizioni generali sono definite buone. Intanto la magistratura continua le sue indagini sul caso. Cinque comunicazioni giudiziarie per omicidio colposo nei confronti d Fabio Meloni e di Vittoria Orsini sono già state inviate ai due anestesisti, alla suora infermiera che controllava la centralina dell'ossigeno, al magazziniere della clinica e alrappresentante legale della ditta Sio, produttrice e fornitrice dei due gas. Nell'opinione pubblica gli interrogativi si accavallano. Si è trattato soltanto di una tragica concomitanza di circostanze eccezionali oppure ij pericolo di un simile scambio è più probabile di quanto si creda? Ne parlo con il dottor Terzo De Santis. presidente nazionale dell'Associazione Italia¬ na Ospedalità Privata (Aiop): «Non conosco l'impianto della clinica "Madonna di Fatima", perché non è associata all'Aiop. In linea generale devo però sottolineare che nelle nostre case di cura, la maggior parte delle quali è di costruzione piuttosto recente, l'impianto erogatore dell'ossigeno è centralizzato e viene alimentato da una centralina. Le norme che ne regolano la costruzione sono molto severe: impongono tubazioni speciali molto resistenti per evitare perdite e rivestite all'internò con materiali inattaccabili dall'ossìgeno. Una serie di automatismi assicura il blocco dell'erogazione in caso di per-, dita o di avarie di qualsiasi genere». Una centralina per una casa di cura da cento posti letto ha una dotazione permanente di 6-8 bombole d'ossigeno in batteria e una scorta — conservata lontano dalla eli nica per motivi di sicurezza, secondo le norme imposte dal ministero dell'Interno (Vigili del Fuoco) — di una decina. «L'impianto viene sottoposto a revisioni totali periodiche e ad una manutenzione molto scrupolosa, di solito effettuata dalla ditta costruttrice — continua De Santis —. Oltre ai controlli esterni, ogni direttore di clinica predispone verifiche periodiche ». Si tratta di impianti che non tutti gli ospedali pubblici possono vantare. Per evitare che fatti cosi gravi possano ripetersi è però necessario risalire ad altre carenze, a livello di leggi e di regolamenti. «In molti Paesi europei il fornitore di gas in bombole per uso medicale non può distribuire bombole di gas per altri usi — prosegue De Santis. — In Italia può invece accadere che sullo stesso camion ci siano bombole d'ossigeno per una clinica e bombole di anidride carbonica per usi industriali. In secondo luogo, all'estero i terminali delle bombole d'ossigeno medicale sono tanto particolari da non poter essere innestati ad altri collegamenti: in tal modo anche una bombola d'altro gas finito per errore in una centralina sanitaria non potrebbe mai essere collegata all'impianto. L'errore diventerebbe possibile soltanto nel caso che una bombola normalmente adibita all'ossigeno venga riempita, presso la fabbrica, di un gas diverso». Bruno Ghibaudi

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