Ma se uccido il tiranno commetto davvero reato? di Alfredo Venturi

Ma se uccido il tiranno commetto davvero reato? Dibattito a Milano al congresso di psicanalisi Ma se uccido il tiranno commetto davvero reato? La frase è di Seneca, ma è stato obiettato: «A chi tocca individuare il tiranno da eliminare?» - La violenza «mito colto» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MILANO — «Ancora ieri ci sono stati sei morti ammassati a Bilbao e noi stiamo qui a parlare della presa del palazzo d'inverno». L'interruzione, gridata in sonoro francese dalle ultime file del pubblico, frena bruscamente lo slancio oratorio di Sergio Romano. Costui, con la duplice eleganza dello storico e del diplomatico, stava sviluppando la sua tesi della violenza come «mito colto», appoggiandola a un raffinato excursus fra le generazioni. Ugo Ronfani, moderatore della tavola rotonda (tema: «La violenza è ancora rivoluzionaria?») cerca di correre ai ripari: adesso diamo la parola a Capanna, dice, cosi «la lettura della storia diventa lettura dell'attualità-. Capanna sta al gioco, naturalmente, e alla trappola retorica del tema risponde con un problematico «dipende», per poi citare Seneca: «Il tirannicidio non è assassinio». Al che Ronfani obbietta che resta poi da stabilire a chi tocca, individuare il tiranno da uccidere. Mancato per ì noti impegni parlamentari l'apporto del non violento Pannella. il dibattito sulla violenza è andato avanti, in margine al terzo Congresso internazionale di psicanalisi, con argomentazioni storico-filosofiche e richiami alle contingenze dell'attualità, con la classica distinzione soreliana fra violenza iniqua e violenza giusta e generosa, con le condanne di rito almeno della violenza «cieca» e le rassegnate constatazioni (Capanna: «Non piace a nessuno, ma è un fatto che la vicenda umana è andata avanti in un torrente di sangue»). Aveva esordito Jean Daniel, anche lui diviso, da bravo giornalista-filosofo, fra i richiami imperiosi dell'oggi e il fascino del percorso storico e ideale. Cosi, da una parte ha citato Hegel, Sorel, Lenin, Fanon dall'altro un caso recente di Spagna. Un attentatotrenta morti, cinquanta feriti, quattordici rivendicazioni. Morale: il fallimento del «gesto» come supporto di qualsiasi causa, visto che di cause pronte ad appoggiarsi a quel treno sanguinoso ce ne sono ben più di una. e fra di loro non soltanto diverse ma spesso contraddittorie. Poi ecco Mario Capanna che spiega il suo «dipende»: Da che cosa dipende se la vio¬ lenza ha o non ha contenuto rivoluzionario? Dai suoi obiettivi, risponde l'eurodeputato demoproletario, dalla situazione in cui opera, dalle forme di lotta, dal fatto se può o non può dirsi prolungamento armato della volontà popolare. Cita la lotta partigiana, i combattenti che seminavano bombe e tendevano agguati mortali, esattamente come oggi le Brigate rosse. Ma avevano dietro un movimento di massa, mentre i terroristi di oggi non solo non hanno consenso popolare, ma nel popolo incontrano una reiterata ostilità. Cosi poi parla Paolo Flores d'Arcais, e dà a Capanna del «leninista democratico», che non sarebbe poi cosi grave se non fosse per il fatto che i due termini vengono accostati in vista di una contraddizione ai limiti del paradosso. Ed eccoci alla consueta autocritica sessantottesca: a suo tempo, dice D'Arcais. non abbiamo capito o abbiamo addirittura disprezzato il dissenso nei Paesi dell'Est, che adesso ha un ruolo essenziale per la sinistra europea. «Come ci pareva borghese, allora, il movimento polacco che invocava pane e libertà, e come fummo tiepidi con laprimaveradi Praga...». Il compito di mettere ordine razionale nel dibattito tocca a Emanuele Severino, che Capanna ha appena salutato come maestro. Il filosofo dice che occorre considerare «la variazione del senso della parola verità». Che non è questione astratta, e se lo è non è per questo in contraddizione col concreto. Il fatto è che non esiste una verità assoluta, e la condanna della violenza è inficiata dal fatto di muovere dal dogma. Interrompe D'Arcais: io condanno la violenza per ragioni morali. Risponde Severino: anche la morale è una verità diminuita. La verità che conta è la forza che domina: oggi è da noi il capitalismo, dall'altra parte il socialismo reale. E l'errore, in questo senso «storico», sta nell'incapacità di sostituirsi alla forza dominante. L'errore del terrorismo è dunque in nient'altro che nella sua debolezza. Condanna razionale, implica Severino, ben più decisiva di qualsiasi fulmine moralistico. Alfredo Venturi

Luoghi citati: Bilbao, Milano, Praga, Spagna