Tanti decreti per governare di Vittorio Gorresio
Tanti decreti per governare Editoria: la legge attende da 10 anni Tanti decreti per governare ' e d a l Dunque, si torna a parlare della legge sull'editoria che è in cantiere ormai da quasi dieci anni poiché la prima impostazione ne risale al 1971. La settimana scorsa il sottosegretario Sergio Cuminetti incaricato degli Affari dell'Informazione presso la presidenza del Consiglio ha consegnato infatti al ministro per i Rapporti col Parlamento, onorevole Clelio Darida, una bozza di decreto governativo che recepisce buona parte del primo capitolo del vetusto disegno di legge giacente alla Camera, oltre alle norme finanziarie e a quelle che riguardano l'Inpgi. C'è poco da rallegrarsene. A parte il fatto che la riforma dell'editoria sta rivelandosi di giorno in giorno più urgente, questo sistematico espediente di ricorrere ai decreti legge è deprecabile e da ogni parte si levano proteste contro il governo che ne abusa. In pratica, Cossiga governa unicamente con decreti: ne ha presentati 61 in meno di sei mesi, soltanto 17 sono stati convertiti in legge, e 19 adesso attendono l'approvazione entro i prossimi due mesi. Con quello riguardante l'editoria si arriva a 20, ma non è solo l'incrernento numerico che conta. Nel caso attuale siamo in presenza non più soltanto di un decreto come surrogato legislativo ma addirittura di un'operazione di stralcio da un disegno di legge. Cossiga può anche avere le sue buone ragioni. Non disponendo di una maggioranza sicura in un Parlamento praticamente ingovernabile per effetto del combinato-disposto fra assenteismo ed ostruzionismo, egli spara decreti a raffica per garantirsi la sopravvivenza giorno per giorno. Questo però, oltre ad essere un segno di quello che si chiama il «degrado» istituzionale, è il peggior metodo che esista di legiferare, e vale a dire di governare un Paese. Già è avvenuto nel caso dei decreti antiterrorismo appro c i vati in extremis grazie al ricorso al voto di fiducia: essi sono passati senza che vi fosse la possibilità di apportarvi quei miglioramenti che pur sarebbero stati necessari. Ed ora anche per la riforma dell'editoria sta profilandosi l'identica situazione. Questa legge ha per fine di raggiungere quattro onestissimi obbiettivi: lotta alle concentrazioni editoriali, trasparenza delle proprietà e dei bilanci dei giornali, difesa e rafforzamento delle cooperative, risanamenti aziendali per garantire e ampliare l'occupazione nel settore. In pari tempo si vorrebbe porre termine alla nefasta pratica del cosiddetto assistenzialismo pubblico alla stampa, un proposito anch 'esso ineccepibile. Ma per disgrazia, nelle more decennali della riforma è intervenuto qualche guasto, come la subdola inserzione nel disegno di legge dell'emendamento che è stato chiamato «cancella debiti» o «allunga debiti-, secondo il quale lo Stato si dovrebbe accollare (con una spesa aggiuntiva di 250 miliardi) l'onere di contributi sugli interessi per finanziamenti a medio termine. La meccanica di questo emendamento è troppo complicata perchè si possa qui illustrarla, ma il caso va citato a dimostrazione della necessità che il Parlamento si assuma il compito di un serio esame della riforma. Tra ostruzionismi e divagazioni (a suo tempo Pannella riusci a ottenere che fosse data la precedenza ad un vano dibattito sulla fame nel mondo) si è arrivati invece a costringere il governo non tanto ad un decreto sostitutivo di una legge emendabile, ma addirittura ad uno stralcio da quel disegno di legge. Ecco il «degrado- delle nostre istituzioni. Vittorio Gorresio (A pag. 5: Federstampa e partiti sollecitano l'approvazione della riforma).
Persone citate: Clelio Darida, Cossiga, Sergio Cuminetti
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