Una maggioranza a sei di Alberto Rapisarda

Una maggioranza a sei Una maggioranza a sei ROMA — Il governo Cossiga ha ottenuto alla Camera una fiducia quasi plebiscitaria, sul decreto antiterrorismo: su 580 votanti, 522 si, 50 no e 8 astenuti. A favore sono stati democristiani, comunisti, socialisti, socialdemocratici, repubblicani e liberali, una maggioranza più ampia di quella del quarto governo Andreotti. Contrari radicali, pdup e msi. Gli astenuti erano una parte degli indipendenti di sinistra. Cinque deputati socialisti (Achilli, Accame, Mancini, Fortuna, Marte Ferrari) hanno lasciato l'aula a e prima del voto, spiegando con un comunicato la loro opposizione al decreto antiterrorismo. Nella sinistra ci sono stati anche altri deputati che hanno manifestato il loro dissenso verso il decreto nella seconda votazione, quando lo scrutinio era segreto. Per la fiducia, invece, si votava per' alzata di mano e tutti hanno rispettato la disciplina di partito. Nel secondo voto, quello sul decreto vero e proprio, i presenti erano scesi a 530, i si a 446, i no erano saliti a 79, mentre gli astenuti risultavano 5. Una parte dei cinquanta assenti era formata, probabilmente, da deputati che si erano allontanati temporaneamente da Montecitorio e che erano stati colti di sorpresa dalla rapidità con la quale si è passati al voto sul decreto. Ma alcuni di questi erano anche parlamentari che avevano già preso la valigia e si apprestavano a partire, disinteressandosi del voto. E tra questi sono stati visti diversi socialisti. Le dichiarazioni di voto erano cominciate alle 8 di ieri mattina, dopo che la seduta era stata sospesa per sei ore, al termine del «breve» intervento di Marco Pannella. Il capo radicale aveva parlato per 3 ore e un quarto, senza mirare a intaccare il record assoluto di durata oratoria detenuto dal deputato radicale Cicciomessere che lo aveva preceduto, primatista con 11 ore e 35 minuti. Nel complesso, sedici oratori radicali hanno condotto l'ostruzionismo tenendo per 95 ore. Con le dichiarazioni di voto, comunisti, socialisti e repubblicani si sono preoccupati di spiegare alla Camera, ma anche all'opinione pubblica, che il loro -si» alla fiducia non cambiava il loro atteggiamento negativo nei confronti del governo. Per lanciare un messaggio più diretto e credibile ai prò pri elettori, il capogruppo co munista Di Giulio ha scelto la via della massima franchezza. E' vero che questo voto non è semplicemente tecnico, esso è anche politico perché «il Parlamento deve dare al paese e alle forze dell'ordine la prova che le grandi forze democratiche, anche se divise sui governi, sono unite e fermamente decise a battersi affinché "il terrorismo non passi"». Applausi democristiani hanno sottolineato questo passo. I comunisti, ha aggiunto Di Giulio (che, contrariamente al solito, questa volta leggeva il suo discorso per ca librare bene le parole), non hanno voluto accettare che il decreto decadesse per l'ostruzionismo dei radicali, «perchè un Parlamento incapace di reagire non avrebbe l'autorità morale di dirigere la lotta al terrorismo nel paese». Per comunisti, comunque, il giù dizio negativo su questo go verno si è ancor più accen tuato. Bviudegslmsapafspdecmfmnadgats Il capogruppo socialista Balzamo sottolineava che il voto di psi e pei (entrambi per il si) «assume il significato di una importante e positiva indicazione per la politica di emergenza, e cioè che l'Italia è governabile, purché si abbia, senso di responsabilità e volontà». Anche il psi ha duramente criticato Cossiga. accusandolo di aver compiuto un atto «di miopia e di ottusità politica» non avendo voluto aprire un dialogo sulle modifiche al decreto proposto dalle sinistre. Dalle dichiarazioni dei capigruppo della de, Bianco, e del pri, Mamml, emergeva evidente la volontà di modificare in tempi brevi il regolamento della Camera, per far. funzionare meglio il Parlamento. Tutti gli oratori hanno riconosciuto che il decreto antiterrorismo è imperfetto, de compresa, e Bianco si è augurato che esso debba essere applicato per un tempo limitato. I radicali hanno accusato infine il pei di «aver pagato con il voto di fiducia il loro futuro ingresso nel governo». Che l'atteggiamento del pei sia «un fatto politico rilevante», come ha commentato il ministro Morlino (de), veniva rilevato ieri con diversi significati da vari settori della de. Dalla destra si avanzavano timori sulla possibile legittimazione del pei ad essere ora forza di governo. Alberto Rapisarda

Luoghi citati: Italia, Roma