Aspettando la democrazia di Ferdinando Vegas
Aspettando la democrazia OSSERVATORIO Aspettando la democrazia La tragedia svoltasi all'ambasciata spagnola di Città del Guatemala è l'ultima conferma della violenza sfrenata che costituisce, se si può dire, la normalità della vita politica guatemalteca. E' un fenomeno che dura ormai da decenni ed affonda le sue radici in una struttura sociale ed economica del Paese tanto gravemente squilibrata che non sembra offrire altro sbocco se non quello appunto, della violenza generalizzata. Eppure il governo attuale del presidente Lucas Garcia. in carica dal luglio 1978. non è il solito regime dittatoriale cosi frequente nell'America Latina: benché generale di carriera, il presidente è stato portato alla vittoria, nelle elezioni di quell'anno, da una coalizione di partiti moderatamente riformisti, di ispirazione neoliberale e socialdemocratica. Questi partiti esprimevano gli interessi della nuova borghesia cittadina che si era venuta formando negli ultimi anni, la quale chiedeva fosse proseguito ed intensificato il programma di «graduale democratizzazione» avviato dal presidente uscente. Non erano state solo le pressioni dell'America di Carter, sollecita dei «diritti umani», ma anche la valutazione della realtà interna, dunque, a spingere i dirigenti del Guatemala verso un tentativo di evoluzione pacifica. Purtroppo, gravava sul Paese una storia di oppressione e di lotte di repressione feroce a difesa di privilegi minacciati dalle più elementari richieste di giustizia; e cosi la lotta sociale si è trasformata in lotta armata. L'origine remota si può trovare nel rovesciamento violento del presidente Arbenz (1954), che si era permesso di ledere, con una timida riforma agraria, gli interessi della potente United Pruit, la vera pa¬ drona del Guatemala. Tacciato da Dulles di comunismo Arbenz fu abbattuto da una spedizione militare, organizzata all'esterno del Paese sotto l'egida degli Stati Uniti. Da allora si succedettero presidenze più o meno autoritarie, alle quali rispose nel corso degli Anni Sessanta la guerriglia di tipo castrista, che trovò un terreno d'elezione, come condotta pratica e dibattito teorico, nelle condizioni del Guatemala. Anche per le divisioni interne della guerriglia, riuscì alle forze governative di domarla, senza però averla estinta del tutto. D'altra parte, bloccata ogni possibilità di sfogo, si sviluppò un terrorismo politico di estrema sinistra, al quale ha risposto un ben più organizzato e feroce controterrorismo di destra, al punto che un eminente politico democristiano ha potuto dire: «Nessuno è sicuro in Guatemala». Secondo un rapporto di Amnesty International dal 1966 al 1977 più di ventimila persone (su cinque milioni e mezzo di abitanti) erano state uccise o erano sparite: in massima parte contadini, operai, studenti sindacalisti. Molto minori numericamente, è ovvio, ma di grande spicco le vittime qualificate: per esempio, nella sola prima metà del 1979, il leader dei socialdemocratici ed ex sindaco della capitale, il capo di stato maggiore dell'esercito, un ex ministro degli Esteri. Tra organizzazioni anticomuniste da un lato e nuove formazioni guerrigliere dall'altro, il governo si trova cosi ad esercitare un potere contestato, non riesce a portare innanzi i progetti riformistici ed è infine spinto anch'esso all'uso brutale della forza, saldando in tal modo il circolo vizioso che soffoca il Guatemala. Ferdinando Vegas GUATEMALA NORDAMI.R'C* {'Atlantico. SAN SALVADOR EL SALVADOR O N DU RASji ' 1IGALPA ^ NICARAGUA *feMANAGUA < S }
Persone citate: Dulles, Lucas Garcia
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