Europarlamento: come un re che sbraita, ma è sotto scacco

Europarlamento: come un re che sbraita, ma è sotto scacco FORZA E LIMITI DELL'ASSEMBLEA Europarlamento: come un re che sbraita, ma è sotto scacco Apolidi della politica, senzapatria perennemente pronti ad abbracciare cause perse, gretti e meschini prestanome di gruppi di pressione che si infischiano dell'Europa badando solo ai propri in teressi. Oppure: coraggiosi paladini di un ideale comunitario che stenta ancora a farsi strada, pionieri di un concetto avveniristico «a! di sopra delle partii' in cui ognuno, che rappresenti i potenti o le più insignificanti minoranze, abbia le stesse possibilità di far sentire la propria voce. Fra questi due estremi si colloca, con il rischio di consolidarsi nel tempo, il giudizio un po' affrettato che si tende a dare del Parlamento europeo. La verità, come sempre, sta nel mezzo, una verità che, prima di ogni altra considerazione, va ancorata al saliscendi di speranze e di delusioni nate dopo lo storico roto del 10 giugno. E' indubbio, e sarebbe sciocco negarlo, che l'assemblea comunitaria votata a suffragio diretto dai nove Paesi della Cee è sorta all'insegna dell'indifferenza e dell'apatia generali. Un altro ente inutile, si disse allora, costoso e soprattutto inefficace visti i rigorosi limiti fissati «contro» di esso dai Trattati di Roma. Un male minore, insomma, inevitabile ma non pericoloso. Mai forse fu commesso invece un errore di illutazione così vistoso. Oggi l'Europa unita deve fare i conti con un Parlamento che non si rassegna affatto a svolgere le funzioni di semplice notaio degli atti stabiliti dalla Commissione di Bruxelles. Le cronache dell'ultimo scorcio del 1979 fanno testo, l'aspro conflitto sulle competenze in materia di bilancio dimostra quanto i 410 eurodeputati abbiano appreso nei sei mesi di quello che per molti osservatori avrebbe dovuto essere l'esilio dorato di Strasburgo. C'è da chiedersi comunque quale Araba fenice abbia operato questa trasformazione, forse imprevista nei calcoli dei politologi. Una molla deriva ovviamente dalla composizione stessa del Parlamento, eletto a suffragio diretto e quindi responsabile, al di là di ogni retorica, nei confronti delle centinaia di milioni di elettori che si erano scomodati per recarsi alle urne lo scorso anno. In secondo luogo la scoperta graduale di come le assise europee possano fungere da cassa di risonanza alle istanze nazionali, scoperta accompagnata da un'altra constatazione, per diversi deputati stupefacente, e cioè che il mosaico all'apparenza troppo composito dei gruppi di origine non escluda a priori la stesura di alleanze, tattiche o di principio, in grado di superare il muro dei confini, delle lingue, delle antiche rivalità. Infine, ancora un elemento da non sottovalutare, l'impennata di orgoglio quasi spontanea quando da più parti si è voluto umiliare la nuova istituzione tarpandole le ali, cercando di toglierle ogni possibilità di mordente, relegandola al ruolo di figlio degenere, capriccioso e quindi da mettere in castigo. Ma può l'Europa parlamentare arrogarsi la funzione di giudice supremo (ai parlamenti tutto è concesso fuorché cambiare il sesso dei propri elettori), rischiando di far tornare indietro le lancette dell'orologio che continua a scandire le ore verso l'integrazione, quando invece il vertice di Dublino aveva evitato il naufragio a pochi metri dagli scogli? Qui sta forse il limite dell'europarlamento. Predica la coesione, scalpita e si agita in difesa di una più equa ripartizione degli oneri comunitari, punta i piedi quando si sente offeso, eppure la cittadella in cui finisce per arroccarsi, come il re sotto scacco, non gli offre grandi vie di scampo. Prendiamo l'episodio che aveva polarizzato di recente l'attenzione degli europeisti convinti e anclie di quelli più tiepidi. Nel respingere il bilancio e neliingaggiare il braccio di ferro con il governo comunitario, il Parlamento europeo ha si esercitato il proprio diritto, ma si trattava di un diritto negativo, di blocco di iniziative, non di approvazione di schemi sostitutivi. In sostanza il Parlamento europeo si trova suo malgrado costretto a dire di no senza poter offrire una valida alternativa al gran rifiuto. E' un cui de sac che potrebbe diventare ancora più buio e frustrante perché il Parlamento non può addossarsi ogni colpa e passare alla storia come la -gabbia di matti» che ha fatto saltare in aria quanto di paneuropeo si è tentato faticosamente di conseguire negli ultimi decenni. Simone Veil ha ripetuto in varie occasioni che il Parlamento di Strasburgo soffre di «vitalità eccessiva ma non di crisi di ideali». E' dunque il prezzo che esso paga alla ricerca di quella veste costituzionale che forse è la sola capace di consentirgli di esprimere in pieno la propria funzione: legiferare cioè, senza costrizioni di sorta, per il benessere della Comunità. Piero de Garzarolli A PAGINA III Chi sono, cosa fanno gli eurodeputati

Persone citate: Piero De Garzarolli, Simone Veil

Luoghi citati: Bruxelles, Dublino, Europa, Roma, Strasburgo