Perché alla grande euforia per l'oro è seguita l'amarezza della delusione

Perché alla grande euforia per l'oro è seguita l'amarezza della delusione Perché alla grande euforia per l'oro è seguita l'amarezza della delusione La febbre dell'oro ha finito per produrre la grande illusione, e i titoli di questi due celebri film sono usati spesso in questi giorni dai cambiavalute, dagli orefici, da coloro che, per 11 proprio mestiere, maneggiano il metallo che «si è imbizzarrito» e che, secondo le previsioni, continuerà ancora la sua danza quasi per sconcertare maggiormente esperti in economia, alchimisti dell'alta finanza e, soprattutto, la gente comune, l'uomo della strada. n torinese medio è stato il più deluso, amareggiato. «Ho questa catena che mi sembra abbastanza pesante, no? Era già di mio nonno. Vedendo i prezzi incredibili raggiunti dall'oro, ho pensato di venderla anche per pagarmi il riscaldamento senza toccare la pensione. Sa che cosa mi hanno detto? Che la comperavano a peso, come un rottame, ciondolo compreso, e mi hanno offerto meno di cinquantamila lire. Non è un imbroglio?». Tale 11 ragionamento di un anziano signore che abbiamo incontrato mentre usciva da una oreficerìa del centro, e non è stato facile spiegargli che non c'era imbroglio; soltanto la cruda verità. Il pubblico legge i titoli nei giornali. Raramente approfondisce un argomento, segue un articolo fino in fondo e. alla fine, si sente spinto a saperne ancora di più. Ciò favorisce l'equivoco, n prezzo dell'oro, quello Indicato dai giornali, spesso in prima pagina come nei giorni scorsi, è sempre per l'oro fino, ossia per l'oro puro, vendibile in lingotti o In lastre, ma solo a chi deve acquistarne per lavoro, come orafo, orefice, gioielliere. In Italia è Impossibile entrare in un negozio, meno che mai in una banca, come qualcuno pensa, e ordinare cinque o sei lingotti come fossero pagnotte. L'oro di una spilla, di un anello, di bracciale o di un ciondolo, non è mai oro puro; ecco perché, quando viene venduto, è considerato «usato», classificato come «rottame» e quindi pagato a peso. Se. per fare un esempio, il metallo ha in giornata il prezzo di 18 mila lire 11 grammo, verrà pagato circa 9 mila lire, ossia la metà poiché, fondendolo, il negoziante recupererà solo una parte di oro puro e scarterà gli altri metalli che all'oro sono stati as¬ sociati nelle lega per motivi di lavorazione. Il ragionamento può sembrare ingiusto anche perché quasi tutti uniscono, al valore reale, spesso illusorio, quello affettivo. C'è un amore cioè per l'anello, per la spilla, per il bracciale che viene dagli oggetti di famiglia e che. spesso, ha una propria storia intessuta di ricordi che tuttavia, nel bilancino dell'orefice, conta zero. Ed è il momento dell'illusione. Per quel gioco statistico che determina il costo della vita, ha suscitato risolini di scherno il fatto che la vera nuziale, la «fede», come molti la chiamano, finisca con il suo prezzo con il determinare un aumento del costo della vita, e questo è stato specificatamente detto e scritto per Torino. Dati alla mano, le cose sono cosi per un meccanismo di computo assurdo su cui non ci soffermiamo qui. Quanto costa comunque l'anello per due sposi? Il prezzo oscilla sulle 120 mila lire per vera, il che significa 240 mila la coppia, spesa che in genere è fatta per tradizione dallo sposo, e non è che con tale cifra si acquisti due vere molto pesanti, anzi, sono piuttosto leggere. L'industria orafa è in difficoltà, e ciò è già stato fatto presente anche in sede di governo: mancando l'oro, per il prezzo che ha vertiginosamente toccato, rimane impossibile la lavorazione; scarseggia cioè la materia prima per creare gioielli (e il non senso è proprio qui), per produrre piccoli capolavori, bracciali intrecciati, catene, medaglie, tutto materiale che, al momento di essere rivenduto, è considerato «rottame». Non si dimentichi tuttavia che il «buon affare» c'è stato ugualmente. Chi ha comprato oro. di qualsiasi genere, a 1200 lire al grammo e oggi se lo vede ricomprare, sia pure come rottame, a 9 mila lire, non ha troppo di che lamentarsi. Altra illusione è che sia facile vendere oro. E' facilissimo, ma a patto di cederlo a gente senza scrupoli, prendendo ciò che danno, mettendo i quattrini in tasca e via. In realtà, anche la vendita del privato, per vie normali, presenta alcune difficoltà. L'orefice esamina l'oggetto e se l'acquisto viene effettuato, lo annota in un registro che è a disposizione della Questura; vi dev'essere la descrizione dell'articolo, il valore pagato e, soprattutto, indicati i dati di identità (nome, cognome, indirizzo e numero del documento esibito) di chi lo ha venduto. L'oggetto dev'essere tenuto per dieci giorni a disposizione della Questura: dopodiché il commerciante può fonderlo. Nel caso che l'articolo sia di provenienza dubbia, sia anche stato rubato, il commerciante non incorre in nessuna pena se ha effettuato la registrazione e lo ha tenuto a disposizione delle autorità per dieci giorni, 11 che comprova la sua buona fede al momento dell'acquisto. Se l'industria di produzione orafa è in difficoltà, anche gli orefici lamentano di fare magri incassi. Il prezzo dell'oro spinto cosi In alto finisce per scoraggiare il cliente. Coloro che entrano in negozio vorrebbero piuttosto vendere, ma si sentono a loro volta traditi quando apprendono che il loro «gioiello» verrà accettato come rottame poi fuso. Scuotono la testa e se ne vanno, non comprendendo il «meccanismo» della domanda e dell'offerta, il discorso sull'oro puro e del ciondolo che nell'interno è cavo, ossiavuoto, per cui pesa pochissimo e vale quasi nulla. Si allontanano amareggiati mormorando: 'Dopo quello che avevo letto sul giornale...»

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