Sacharov: della mia vita non sono io che dispongo

Sacharov: della mia vita non sono io che dispongo RITRATTO DELLO SCIENZIATO AL CONFINO Sacharov: della mia vita non sono io che dispongo MOSCA — «Sono diventato "dissidente" cosi come ero diventato "fisico": spontaneamente», mi dice Andrei) Sacharov. Parla lentamente, di malavoglia. Non sa ancora che qualche settimana soltanto dopo questo nostro colloquio lo costringeranno a trasferirsi a Gorkij, una Torino russa con la Volga invece del Po, la «Avtopribor» al posto della Fiat, le vetrine, più spoglie di quelle di Mosca: ma già l'amarezza gli vela gli occhi e la voce. La moglie, Elena Banner, balza su ogni pausa e subito la colma in una inarrestabile frenesia di osservazioni, precisazioni, aspre critiche per questo o per quello. Lui la lascia dire, rivolgendole uno sguardo rassegnato. Cosi ripiegato sul divanoletto della stanzetta che appena oltre l'ingresso gli serve da soggiorno, biblioteca, studio e archivio, Sacharov mi sembra anche più anziano dei suoi 59 anni. E' in pantofole, il corpo appesantito infilato in una tuta sportiva blu. La bocca si piega talvolta all'ironia, senza mai dischiudersi al sorriso. Qualche suo amico mi ha confidato che da qualche tempo la salute gli procura delle noie, che ha nostalgia del figlio maggiore, emigrato negli Stati Uniti ormai da anni. Forse anche lo scienziato, adesso, vorrebbe andarsene, potendo. «Non sono io a disporre liberamente della mia vita», mi risponde quando glielo domando. Si rianima solo quando lo prego di parlarmi di prima, dell'università a Mosca, del suo lavoro all'istituto Lebedev insieme a quell'altro genio della fisica che è Igor Tamm, ora premio Nobel; di come la riflessione scientifica lo ha portato alla politica e all'opposizione al regime sovietico. Si rianima, dentro qualcosa muove i suoi ricordi; ma neppure adesso racconta volentieri. Una volta di più interviene la moglie: «Andreij Dmitrivìc parla, spiega, corregge: poi i giornalisti se ne vanno e scrivono quello che gli pare...». Sacharov mi dice: «Lei sa che imi hanno impedito a suo tempo di andare a ritirare il Nobel per la pace perché sostengono che io sia a conoscenza di segreti di Stato». Già, è curioso: da una parte visto che ormai è un 'dissidente» le autorità sminuiscono il suo ruolo nella costruzione della bomba all'idrogeno sovietica; ma dall'altra gli vietano di uscire dal paese perché potrebbe rivelare dei segreti scientifici che interessano la difesa dell'Urss. Sta di fatto che ancor prima di laurearsi in fisica teorica all'università statale, Andreij Sacharov già lavorava nei laboratori di ricerca. E a soli 22 anni, in piena guerra mondiale, con i nazisti che premevano sulla capitale con i carri armati 'tigre», egli si vide affidare un reparto di ricerca. Era un «enfant-prodige» dell'istituto Lebedev. Nel 1953, non avendo ancora compiuto 32 anni, l'Accademia delle Scienze, il Cremlino dell''intelligencija» sovietica, lo cooptava a pieno titolo tra i propri membri. «Un giovanotto, e non ha neppure la barba: sarà almeno un po' saggio», si dice che esclamasse Piotr Kapitza, il decano dei grandi fisici, che per Sacharov mostrò sempre una burbera simpatia. Quell'anno mori Stalin, poi venne il ventesimo congresso, quindi il ventiduesimo, la liquidazione del «gruppo anti-partito», il potere di Kruscev. L'Unione Sovietica fu sconvolta dalle rivelazioni dei crimini staliniani, dalla turbinosa direzioni di Kruscev, dalla sfida lanciata pacificamente all'Occidente. Non mancavano motivi a chi volesse provare la propria saggezza. Sacharov mostrò di averne più di molti suoi colleghi più anziani. Comprese, al pari di Robert Oppenheimer, i catastrofici pericoli che l'atomo preparava all'umanità. Divenne pian piano un convinto pacifista. Cominciò ad inviare relazioni agli organi di governo competenti per invitarli a considerare i rischi della bomba 'H». Prese a. premere con messaggi personali e richieste di colloqui direttamente su Nikita Kruscev. «Dovete convincervi che la sospensione degli esperimenti è necessaria, le esplosioni di prova producono effetti che vanno oltre la nostra conoscenza», scrisse al dittatore. Kruscev, al contrario di Breznev, pretendeva di occuparsi di tutto, di discutere con tutti. Accettò di vedere Sacharov, di ascoltarlo. «E' un grande scienziato e fa onore al nostro paese; ma grazie al cielo non ha alcuna responsabilità politica. Se fossi un ingenuo pacifista come lui io non sarei certamente segretario del partito. Egli non pensa agli avversari dell'Urss», commentò dopo il primo incontro. Mentre Sacharov, dal canto suo, proprio nella battaglia pacifista scopriva concretamente l'impossibilità di discutere fuori della linea del partito, la mancanza assoluta per la ' critica di uno spazio politico. il totalitarismo delle istituzioni. E' il momento chiave che tutti gli intellettuali anticonformisti si sono trovati a vivere. La maggioranza, a questo punto, si ferma, molti tornano sui propri passi. Alcuni varcano invece il confine della «critica consentita» e diventano dei 'dissidenti». Sacharov cominciò a sottoscrivere tutti gli appelli in favore degli intellettuali arrestati, si serviva dei suoi privilegi di accademico (un appartamento abbastanza centrale, un'automobile, uno stipendio relativamente cospicuo) per muoversi, incontrare altri 'dissidenti», elaborare piattaforme politiche, scrivere documenti. Fonda il «comitato per la difesa dei diritti umani». Si dichiara apolitico, in realtà diventa un liberale. «Progresso, coesistenza e libertà intellettuale», «H mio paese è il mondo» sono i suoi due saggi di maggiore rilievo e fin dai titoli testimoniano gli interessi e la fede dell'autore. La «Pravda» ormai lo attacca con frequenza, le pressioni su di lui non si contano più. Egli però resiste e, anzi, si collega agli altri dissidenti: tra la fine degli Anni Sessanta e l'avvio dei Settanta sembra che possa prendere corpo in Urss una vera opposizione, la distensione potrebbe favorirla. Con Roy Medvedev e Aleksandr Solgenicyn, Andreij Sacharov costituisce una raffigurazione di un potenziale fronte delle opposizioni. L'unità però dura poco. Paradossalmente è la stessa crescita del movimento a metterla in crisi. Infatti dalla generica critica al regime bisogna passare alle dichiarazioni di principio dell'opposizione e qui le differenze tra le sue diverse tendenze precipitano una conflagrazione. Il panslavismo mistico e millenarista dì Solgenicyn non può convivere con il modernismo volterriano di Sacharov, che a sua volta va allontanandosi dal marxismo umanitario dì Medvedev. Le polemiche lievitano fino alla rottura dei rapporti personali tra i tre «leaders». Al Cremlino possono soltanto rallegrarsene. Medvedev e Sacharov continuano tuttavia ad infastidire il potere. Il primo perché si ricollega da una parte alla vecchia tradizione bolscevica e dall'altra alle tendenze eurocomuniste per portare avanti una sua proposta riformista; il secondo perché con sempre maggiore evidenza, esasperato dall'ottusità del potere, si è avvicinato ai principi della democrazia americana e il suo liberalismo ha assunto connotati politici concreti ed opposti a quelli sovietici. Entrambi appaiono irrecuperabili, ma è Sacharov che rappresenta l'infrazione più pericolosa e inaccettabile per i dogmi del Cremlino. La rottura tra Urss e Stati Uniti, l'irritazione del «Politburò» verso Carter hanno fatto dello scienziato dissidente la figura sacrificale predestinata. L'appartenenza all'accademia, i molti meriti acquisiti in passato come ricercatore scientifico, la volontà di conservarsi malgrado tutto un margine di manovra, hanno indotto il partito a misurare la repressione e non mettergli brutalmente le manette. Ma in un regime in cui il rituale, ha senso politico, non può essere trascurato il valore del decreto che ha privato Sacharov di tutte le onorificenze ricevute in passato. Per un militare sarebbe una degradazione sul campo, Livio Zanottl

Luoghi citati: Mosca, Stati Uniti, Unione Sovietica, Urss