Esiste un terrorismo di matrice cattolica?

Esiste un terrorismo di matrice cattolica? Iniziato un dibattito coraggioso Esiste un terrorismo di matrice cattolica? Perché molti terroristi provengono dalle file cattoliche? Perché dal movimento cristiano-sociale può essere scaturita una matrice che confluisce nel terrorismo? Domande inquietanti che, con coraggio e anche con spregiudicatezza, sono state poste ieri dall'Azione Cattolica, settore adulti, in un dibattito presso l'istituto suòre del Cenacolo, in piazza Oozzano, che non potrà, data l'ampiezza del tema, non avere un seguito. Dopo la premessa di Paolo Picco, il responsabile di settore dell'Azione Cattolica, che ha illustrato l'iniziativa e l'opportunità di una riflessione alla luce degli ultimi avvenimenti, hanno parlato il sociologo prof. Elio Roggero e il Vicario generale mons. Francesco Peradotto, esaminando il problema sotto due differenti angolazioni. Roggero ha indicato i motivi (i più evidenti, a suo avviso, ma in ogni caso complessi e da sottoporsi a una ulteriore, approfondita disamina) di questo nesso misterioso, e non del tutto dimostrato, tra la violenza politica e il cristianesimo, come se si desse per scontato, e taluni lo affermano, che sussiste una espressione eversiva con matrice cattolica. Citando Renato Curcio e Toni Negri, per appuntare l'attenzione dell'uditorio sui personaggi più significativi di una certa situazione, Roggero ha sottolineato come 1 motivi essenziali siano: una certa interpretazione, contestabile fin che si vuole, della pedagogia cristiana; fattori culturali diversi, elementi storici. «Il cristiano — ha sottolineato Roggero — è sempre stato contestatore sin dai suoi primi passi, agli albori di un'era; è sempre stato scomodo per gli idoli del suo tempo; contestatori furono anche i martiri. Cristo non è stato tanto giudicato e condannato in quanto si proclamava messia e figlio di Dio quanto perché sovvertiva i valori del sistema, della società ebraica del suo tempo. Nei suoi confronti il sistema non poteva che accettarlo, ossia convertirsi accogliendone i principi, oppure eliminarlo, e scelse questa strada'. Per 1 fattori culturali, Roggero ha evidenziato il contrasto tra il pensiero cristiano da un lato e i principi liberali da un altro (società industriale e capitalistica) e principi socialisti, di estrazione «marxiana». «Anche nell Enciclica sociale "Rerum Novarum" di Leone XIII, la prima che affronti la questione sociale sotto il profilo cristiano, manca — ha sottolineato l'oratore — un'analisi strutturale del fenomeno». Il povero è considerato quasi sempre sinonimo di «operaio», con un parallelismo che farebbe inorridire un marxista; il lavoro è per il cattolico un mezzo, mentre per il metodo socialista chi lavora ha poi, di conseguenza, il diritto di comandare. E' Emile Zola a scoprire che mil lavoro è l'unica legge del mondo» e per il protestantesimo in genere il successo, coronamento del lavoro, è la mèta da raggiungersi, il principio guida. Roggero ha ricordato, ancor prima della contestazione al sistema con i sussulti del 1968, come in Italia, per una particolare condizione storico-politica, non sia affatto nuova la contrapposizione fra cattolicesimo da un lato e Stato dall'altra, intendendo quest'ultimo come prodotto del risorgimento liberale, ed ha sottolineato come proprio «la Chiesa cattolica italiana non sia sempre stata la più adatta a incanalare quelle aspirazioni e quelle iniziative che potevano condurre verso un dialogo e un diverso modo di stabilire i rapporti tra le parti». Può la formazione cattolica, il pensiero cristiano armare la mano di un terrorista? Se lo è domandato monsignor Peradotto soffermandosi a esaminare la istigazione, anche per principi di giustizia, quando involontariamente si passa dalla psicologia, dall'affermazione ideologica, all'arma, alle «idee cioè che fanno premere ilgrilletto». «La violenza esiste nella storia umana perché è frutto del peccato originale e originato, ossia "costruito e prodotto dagli uomini"», ed ha citato il primo capitolo della lettera di san Paolo ai romani. «Occorre tenere conto — ha ricordato — del male che è in noi; la violenza acutizza l'odio tra le persone e i gruppi, gli squilibri, provoca la sopraffazione. La violensa dell'uomo sull'uomo è sempre condannata dalla parola di Dio — ha affermato Peradotto —; guardiamo la "Genesi", con l'esempio di Caino e di Abele». Ha poi sottolineato però come questa parola di Dio sia facilmente travisatole e si presti a molte interpretazioni, alcune delle quali fallaci. Anche il vocabolo vendetta è inteso come ristabilimento della giustizia e non come sterile e fredda «vendìcazione» di un qualcosa che si ritiene d'aver ingiustamente subito. «// giudice finale — ha ribadito Peradot¬ to — è e rimane Dio, non l'uomo, e la maledizione biblica spesso invocata su qualcuno non consente affatto di essere violenti. E' piuttosto la delegazione a Dio di un fatto che soltanto lui può giudicare, valutare e quindi colpire». Prima del dibattito lungo e vivace, come la densità del tema richiedeva, Peradotto ha citato la recente lettera di Giovanni Paolo II ai torinesi, dopo gli ultimi clamorosi episodi di violenza nella città e, in particolare, il forte richiamo pronunciato dal Papa a Drogheda, ai confini dell'Irlanda del Nord, quando 11 successore di Pietro ha gridato che i criminali vanno chiamati con il loro nome, senza alcuna giustificazione di alcun genere, né politica né storica. Peradotto ha concluso che Cristo si colloca sempre al fianco di chi subisce violenza, che «Cristo fu vittima di una violenza ma deliberatamente la trasformò in strumento di redenzione e in esperienza espiatrice, illuminante e confortante fino al "Padre, perdona loro perché non sanno che cosa si fanno"». Da ciò, un monito ai cristiani per non travisare gli aneliti di giustizia, per non confondersi le idee e non farle confondere agli altri. Il cattolico coerente respinge, con energia, una violenza che gli è del tutto aliena. r. ross.

Luoghi citati: Irlanda Del Nord, Italia, San Paolo