La terza via, quella dell'Islam di Vittorio Messori

La terza via, quella dell'Islam FERMENTI DEL MONDO MUSULMANO TRA CAPITALISMO E COMUNISMO La terza via, quella dell'Islam A colloquio con lo Sceicco Boubakeur, sunnita - «Il Corano è anche una fonte legislativa sulla quale si può costruire uno Stato islamico» - Il tumultuoso ritorno di un messaggio religioso che investe tutta la vita, compresa la politica - Per le masse credenti non c'è nessuna distinzione tra «sacro» e «profano» - «Anche Cesare è di Dio» La moschea di Parigi, la maggiore in Europa con il suo messo milione di musulmani, è nella piazza dedicata, con nome suggestivo, al -posso dell'eremita». Vi giungemmo un anno fa, al tempo delle ultime, sanguinose convulsioni del regime dello Scià. Ogni venerdì sera un vecchio con la barba bianca e un lungo mantello nero giungeva in quell'angolo di Parigi per partecipare all'assemblea rituale. Lo scortavano le giovani guardie del corpo che, ci dissero, con il beneplacito della polisia francese nascondevano le pistole mitragliatrici sotto il cappotto. Attorno alla moschea noi stessi vedemmo il discreto ma strettissimo cordone steso dalla Sureté: incauto nello scegliersi gli amici, Giscard d'Estaing, ancora intimo di Bokassa, dava larga ospitalità all'ayatollah Khomeini (era lui il vecchio del venerdì sera) che, da una villetta della «banlieue», preparava le valigie per Teheran. Il rischio di essere ucciso da qualche agente di Resa Pahlavi svaniva, per Khomeini al di là del ben guardato recinto della moschea parigina. Ma qui, tra gli altri musulmani, se non trovava ostilità trovava però fredda cortesia più che calore fraterno. I cinquecentomila islamici di Parigi provengono infatti quasi tutti dal Nord Africa sunnita, diffidente e polemico con l'Iran sciita. E sunnita era il padrone di casa. Sua Altessa 10 Sceicco Si Hamsa Boubakeur. discendente diretto di Abu Bakr, sio di Maometto il profeta, rettore, professore, membro di infiniti istituti, università, consigli islamici, oltre che autore di una delle migliori tradusioni francesi del Corano. Con Boubakeur parlammo per molte ore di problemi teologici, per una nostra serie di interviste ai leaders religiosi di oggi. Tra tè alla menta e sigarette di. tabacco biondo, offerti con squisita ospitalità orientale, 11 maggior esponente dell'islamismo in Europa non ci nascose il dissenso con Khomeini, il suo ospite del venerdì sera. Ci parlò dell'estremismo sciita, prese le distame \dal vecchio ayatollah, ma concluse che, malgrado tutto, erano pur sempre «fratelli nella fede comune». Lucidamente Boubakeur previde quello che sarebbe successo in Iran quando l'ayatollah vi fosse sbarcato; tanto da farci poi pensare con ironia che se i servisi segreti occidentali avessero agenti esperti in problemi religiosi, risparmierebbero forse le gaffes di questi tempi. «Dunque avevo ragione —et disse lo Sceicco in un incontro pìii recente, dopo l'esplosione persiana —. Come prevedevo, Khomeini si è mostrato un uomo eccessivo che ha però richiamato l'attenzione del móndo su una evoluzione reale del tempi. L'Iran di oggi non è un episodio isolato ma l'emergere di un processo generale tra tutti i musulmani. Al di là delle nostre differenze ideologiche, la comunità islamica mondiale sta ritrovando ovunque la sua cultura. Ritroverà presto anche l'unità. Nessuno potrà fermare, in tempi prevedibili, questo processo di riscoperta della individualità musulmana». Il giudizio di Boubakeur è pienamente confermato da un altro esperto, Gabriel Mandel Khan, direttore dell'Istituto islamico di archeologia orientale di Milano, direttore di un periodico panarabo e autore di decine di pubblicasioni sulla storia e i problemi attuali musulmani. «Si può convenire nella denuncia dell'estremismo di Khomeini — dice il professor Mandel, di antica famiglia afghana —. Una certa dose di fanatismo gli deriva forse più dal temperamento persiano che dalle convinzioni religiose. E' anche certo che buona parte del mondo islamico, sunnita al novanta per cento, non approva i suoi metodi perché li giudica fondati su una teologia inaccettabile. Solo per gli sciiti, infatti, un capo religioso può dichiararsi, come pretende l'ayatollah di Qom, portavoce di Dio. Ma non approvare i suoi metodi non significa rifiutare il suo messaggio: il tentativo dì Khomeini non è che la punta estrema di un movimento in atto in tutta la fascia attorno ai Tropici, dove i seguaci di Allah sono maggioranza assoluta e dove, al di là delle divisioni teologiche, riconoscono una loro unità ferrea attorno al Corano». Come ci diceva in un incontro recente un giovane amico algerino: «Noi sunniti, mentre ci opponiamo a, Khomeini. lo applaudiamo». Non a caso, persino in quello che è forse il più laico tra i paesi islamici, la Tunisia, il giovane avvocato Abdel Mourrou si propone ai suoi confratelli, che lo seguono in numero crescente, come il «Khomeini del Nord Africa». Troppo laico «Il Corano — dice Mourrou — non si occupa solo della vera fede ma anche della edificazione della società. Da noi l'esperienza socialista e quella capitalista sono finite nel disastro e nella delusione. Si è voluto imporre qui sistemi aborriti dall'Islam». Non è un caso neppure se Gheddafi litiga conArafat. che considera «troppo laico» perché si rifà a ideologie occidentali. Mentre Sadat cerca di contenere (e nessuno sa se il suo tentativo riuscirà) la turbolensa crescente dei «Fratelli musulmani», che, con il pugnale e le bombe, protestano verso un Egitto a loro avviso troppo poco islamico. In questo quadro di movimento generale, l'attacco suicida alla Mecca da parte di integrali-^ sti religiosi non è che un altro anello di una catena che si sta saldando. Khomeini potrà cadere, si sottolinea in tutto il mondo arabo, ma è certo che né in Iran né in alcun altro paese islamico po- iranno ùnporsip nuovouo-, 7nmt alla Backtiar, l'ultimo primo ministro dello Scià, condannato a morte dagli iraniani e che dall'esilio di Parigi sogna per il suo paese un regime socialdemocratico. «Nel XIII secolo — osserva Mandel — l'Islam era l'equivalente odierno degli Stati Uniti. Era la comunità più potente e più colta del mondo. Ma, dopo aver dato all'Occidente cristiano la scienza, la tecnologia, la filosofia moderne, il mondo musulmano ha finito con l'esaurire il suo slancio ed ha iniziato una lunghissima decadenza. La decolonizzazione ha portato al potere una élite formata in università straniere, che ha cercato d'imporre regimi "capitalisti o socialisti, entrambi estranei alla cultura locale. In realtà, chi segue il Corano, non beve alcolici e rifiuta sia il whisky che la vodka». Fuor di metafora, democrasia liberal-capitalista o centralismo democratico socialista, sono due merci che appaiono sempre più insensate alle masse coraniche. Queste sono educate da sempre a un messaggio che non fa alcuna distinsione tra «sacro» e «profano», tra «religioso» e «laico». Ansi, la lingua sacra dell'Islam, l'arabo letterario, non conosce neppure l'equivalente del termine occidentale «laicità». «Al di là delle applicazioni concrete, non si può non essere d'accordo con Khomeini quando afferma che il Corano è anche una fonte legislativa sulla quale si può e si deve costruire uno Stato islamico — osserva Boubakeur —. La nostra scrittura sacra è nata ed è stata intesa per secoli come un codice giuridico oltre che religioso». «La religione, per il musulmano, investe tutta la vita — conferma Mandel — e della vita fa parte la politica. Dio è il Tutto, anche lo Stato r^KS La parola di Gesù: "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dìo quel che è di Dio" è incomprensibile per il fedele del Corano. Anche Cesare è di Dio». Certo, Boubakeur ha ragione quando lamenta «la secolare diffamazione dell'Islam, presentato dai cristiani come la religione della poligamia e della schiavitù». Certo, hanno ragione i teologi musulmani quando ricordano, a chi denuncia l'aspetto barbaro di certe leggi coraniche, che «in tutta la vita, Maometto fece tagliare la mano a un solo ladro». Cosi, il velo imposto alle donne in Iran non risale a una prescrizione coranica, ma a una consuetudine locale che Khomeini ha fatto legge. In molti paesi, persino nell'ultraortodosso Yemen, le donne girano da sempre a viso scoperto. Riconosciuto, tutto questo, ed altro ancora, resta però indubbio che lo sbocco politico ideale per il musulmano credente è la «repubblica islamica», cioè la teocrazia: la legge religiosa che diventa anche legge civile, il peccato trasformato in reato. lì vero re «Quel che la Chiesa chiede all'Islam, e che è cosi difficile ottenere — dice monsignor Pietro Rossano, del segretariato vaticano per le religioni non cristiane — è la libertà per l'uomo in quanto tale, prescindendo dalla sua convinzione religiosa». Infatti, laddove il vero re è Dio, è impossibile riconoscere eguaglianze di diritti e cittadinansa piena a chi quel Dio non riconosce. Anche se è doveroso ammettere che, in sicoli passati, gli esempi di peggiore fanatismo non vennero dai musulmani ma dai cristiani: nell'Islam non si ricorda una sola persecuzione degli ebrei in quanto tali; in tempi normali, ai non mu- sulmani le autorità si limitarono ad imporre una tassa e ad interdire l'accesso a certe cariche. Una lettura autentica del Vangelo, però, ha condotto sempre più i cristiani a comprendere il vantaggiò che deriva alla fede dalla separatone tra sfera religiosa e sfera civile. Questa separasione non è solo blasfema, ma impossibile per l'Islam. E' quanto notava in questi giorni anche Jean-Francois Revel, il laico direttore dell'Express: «Giovanni Paolo II è attento alla politica unicamente nel senso che vuole' liberare la religione da ogni compromesso, da ogni sotto- missione a uno Stato totalitario come da ogni associazione come una corrente o un partito. Al contrario il Khomeini, il Gheddafi, vogliono installare l'Islam sulla politica. Ecco perché, di* versamente da quanto sta avvenendo con il papa, atti-, rano tanto poche simpatie ,da parte dei non credenti. Ecco perché, malgrado una convergenza superficiale, il ritorno di Dio nel 1980 non ha affatto lo stesso significato nell'Islam e nella Cristianità». /./ di là delle «simpatie» occidentali, non si tratta forse di dare giudizi di valore, ma di prendere atto della realtà di un messaggio religioso. Ed è con il tumultuoso ritorno di questo messaggio che occorrerà fare realisticamente i conti, dicono unanimi gli esperti più avvertiti. «il mondo musulmano in fermento non condanna capitalismo o comunismo: semplicemente, li rifiuta e li rifiuterà sempre più dice Mandel —; li rifiuta perché li sente come estranei a quella individualità insieme politica e religiosa che sta riscoprendo. Vuole vivere nelle sue tradizioni, non in quelle importate dagli Usa o dall'Urss». Nei «libri verdi» di Gheddafi, nei «firmanU dell'ayatollah di Qom, c'è la certezza, forse fanatica, di avere trovato una «terza via» della quale tutto l'immenso mondo islamico, dall'Algeria al Pakistan, è alla ricerca. Forse, come ha detto qualcuno «dobbiamo prendere atto che accanto ai due grandi e alle loro ideologie contrapposte, si è ormai affiancato un altro, imprevisto grande, che al di là di divisioni geografiche è unito nel volere soltanto le verdi bandiere del Profeta. E che brucerà sempre più spesso le bandiere rosse o a stelle e strisce che si volessero far sventolare accanto alle sue moschee». Vittorio Messori Guardie annate e folla In piazza a Qom, la «città santa» dell'Iran