Mondo contadino: ideologia e incubo

Mondo contadino: ideologia e incubo LA TRAVAGLIATA PITTURA DEL «REALISMO» ALLA MOSTRA DI PALAZZO MADAMA Mondo contadino: ideologia e incubo TORINO — Mario De Micheli, nel libro-catalogo dedicato alla mostra «Arte e mondo contadino» aperta fino al 9 marzo nelle sale di Palazzo Madama, riporta una lettera del 1943 di Guttuso a un amico (Morlotti; un brano è riportato anche nel recente volume Intellettuali e pei di Nello Ajello: 'Io penso empre più a una pittura che possa vivere quale pittura, come grido espressivo e manifestazione di collera, di amore, di giustizia, sugli angoli delle strade e sulle cantonate delle piazze, piuttosto che nell'aria triste del Museo a. Renato Birolli, ricordando nel, 1945. dopo la guerra di Liberazione, i due anni nella campagna di Cotogno fra le repressioni nazifasciste, affermava di aver ivi constatato «essere la vita degli altri un fatto quotidianamente uguale al mio e viceversa... La vita della campagna presenta aspetti di continuità, di azioni e di gesti non sofisticati... Le sue idee sono le azioni siesse che vi si compiono, largamente e lungamente sperimentate. I pensieri che agitano le città sono di un ordine diverso, perché non tutto ciò che vi si compie risulta necessario e spesso si ragiona per sottintesi e per rilanci, come se si potesse scavalcare la, realtà della storia*. Erano due modi, due posizioni, l'una più generosamente estrinseca, l'altra più profondamente soggettiva e comprensiva, di giovani artisti posti di fronte allo sfascio; della retorica fascista, della mitologia populista, della «battaglia del grano» e della' «difesa della razza», che a' questo sfascio contrapponevano parole e immagini, ricercando una nuova cultura di umanità, di verità morale, di partecipazione. Di «impegno». Essi e altri trovarono sulla loro strada, nella nuova Italia democratica, un partito, quello comunista, con precise idee e volontà di aggregazione sociale e. più degli altri, nella propria storia e tf adizione, un'attenzione al mondo, degli intellettuali, dei produttori e diffusori di idee, e alla loro «funzione» ; e che. di nuovo, più degli altri, recava in sé il rapporto fra città e campagna, fra Nord e Sud. Furono grossi elementi di vitalità, anche di travaglio, di contrasto (ampio e ricco è stato ed è il dibattito culturale su quegli anni, dalla ricostruzione alla «guerra fredda»; purtroppo non ve n'è traccia nel libro-catalogo). Distanza di tempo, e persino «nobiltà» del luogo — non del tutto offuscata dai pannelli dell'allestimento espositivo — allentano, raffreddano quella vitalità, quel travaglio, non falsano però i termini reali: evidenziano semmai, ad un grado persino eccessivo, il contrasto i fra l'epicità, ma anche la reto-. rica. dell'antiformalismo — che fra il '48 e gli Anni 1950 cade talora nell'antlforma, antillnguaggio —di Outtuso e della meccanica asprezza •messicana» di Migneco, e il nobile equilibrio fra emozione ed espressione nella grande Terra di Melissa di Treccani. E ancora più si sente e si vede il contrasto con la densità linguistica e drammatica della nuova generazione, Zigrina. .Francese. Risulta certo evidente la non univocità, e dunque la ricchezza, di questo momento 1950 del «Realismo» (ed anche, oggi, la moralità, il «valore» di quella compromissione politica, di quella partecipa¬ zione in prima persona a lotte vere, a tragedie autentiche), ma risulta anche evidente la difficoltà intrinseca di trovare un punto non artificioso di equilibrio fra condizione, e condizionamento, intellettuale e realtà nuda delle lotte sociali. Alle orgogliose certezze di Guttuso si contrappone un pensiero di Treccani: "Non si salda in modo arbitrario, forzato, l'anello fantastico di una forma e di un colore al primo anello di vita e di lotta*. Ancor più colpisce, alla mostra (e avvalora, fino a questo punto, l'ambito di riferimento al mondo contadino), il contrasto fra l'imprescindibile professionalità delle operazioni intellettuali e la popolarità oggettiva, eccezionalmente espressiva ed inventiva, di Covili, Pasetto. Uno solo, fra gli intellettuali, e in quel solo momento della sua creatività, trova il punto di incontro totale fra visione, partecipazione, comprensione — monumentale e conclusiva (perché quel mondo, anche attraverso la sua lotta, evolve e si trasforma) —, Carlo Levi con la Lucania del 1961. Ma la mostra prosegue, e da quel punto l'intellettuale riprende il suo autonomo discorso, vive autonomamente le sue private angosce o compiacimenti, e il mondo contadino diviene — talora forzatamente — tema, sogno, anche incubo (Leddl, Basaglia). Che connessione esiste fra la cerebrale «oggettività» di Vangi, il conturbante sadismo di T'amo pio bove di Trubblani e la •realtà» delle Brache e dei Gelsi di Gorni? Marco Rosei.

Luoghi citati: Italia, Lucania, Torino