L'arte, bussola della bellezza di Carlo Cassola

L'arte, bussola della bellezza L'arte, bussola della bellezza La generale giustificazione dell'arte (tanto di quella impegnata quanto di quella disimpegnata) è la bellezza. La bellezza del mondo accresce l'attaccamento alla vita. Quindi tutto ciò che rende più bello il mondo, o che insegna ad apprezzarne la bellezza, è da ritenere di per sé lodevole. Conosco una persona che apprezza molto quello che un tempo si chiamava il bello naturale; che > va in estasi, per esempio, se è una giornata di sole. Il sole accresce a dismisura la bellezza del mondo, ecco perché quella persona lo salutava con gioia. Il bello naturale (di cui il sole è un aspetto) non esisterebbe senza il bello artificiale, cioè senza il bello prodotto da noi, cioè senza l'arte. E' l'arte che ci ha abituato a guardare alle cose del mondo sotto il profilo della bellezza. Giacché il mondo, in se stesso, non è né bello né brutto: siamo stati noi a inventare queste categorie. E la grande educatrice, nei nostri confronti, è stata l'arte. L'intera azione dell'arte sulle nostre' coscienze può essere riguardata! come una grande «educazione! sentimentale». La persona di cui parlavo' 'prima non doveva avere molta' dimestichezza con l'arte. Piuttosto coi suoi sottoprodotti, coirne la televisione: non ha importanza, che uno attinga direttamente alle fonti dell'arte, o si disseti, per dir così, a un'acqua lontana dalle sorgenti e che ha subito molti inquinamenti, capta sempre la bellezza, anche se dell'originaria; aspirazione si conserva solo qualche traccia. E' il caso, perj esempio, dei programmi della1 televisione. Chi li fa cerca di! impostarli secondo un criterio! estetico; ma poi deve scenderei a mille compromessi; questi, e la natura stessa del mezzo (che è avvincente, ma proprio perj questo corruttibile) riducono l'aspirazione originaria a poca Jcosa. Il discorso che ho fatto tante volte in passato, circa una funzione biologica dell'arte, è| dunque giusto. L'arte, ho detto' e ripetuto, deve evitare il suicidio in massa. Che non si potrebbe evitare, invece, se nei: cuori si spengesse l'aspirazione alla bellezza. L'arte, insomma, è di per sé educativa. Come! mai Platone non l'ha capito? Platone è il primo che voglia dare all'arte uno scopo, che voglia vederla impegnata in qualcosa. Da Platone a Tolstoj il passo è lungo e breve nello stesso tempo. Ognuno di questi due grandi uomini ha in mente un impegno particolare: se non Io vede rispettato dal-] l'arte, è pronto a gettarla nel fuoco. Con Che cosa è l'arte? di Tolstoj siamo alla vigilia dei falò di libri praticati dai nazisti e del realismo socialista, cioè dell'arte di Stato in Urss. Si tratta di aberrazioni, a cui però l'impegno conduce quasi necessariamente. Malgrado quelle aberrazio ni, la richiesta di un'arte impegnata salta sempre fuori. Ài libri o ai quadri si chiede qualcosa di più che essere buoni libri e buoni quadri Ricordo da ragazzo gli entusiasmi di uni mio coetaneo, aspirante pitto re, per i quadri di polemica sociale di Patini. Non mi sorpresi di ritrovarlo, da grande, un fanatico. Dall'impegno al fanatismo il passo è breve, e lo hanno dimostrato sia i nazisti che gli stalinisti. Sebbene anche i quadri siano esposti al pericolo del fanatismo (si comincia con l'esigen-1 za, perfettamente ragionevole, che siano comprensibili dai profani; si passa quindi a dire che devono instillare questa o quella virtù nella gente semplice, altrimenti dove starebbe la loro utilità? e già questo è meno ragionevole, perché l'utilità è intrinseca all'opera d'arte stessa; si finisce col condannare l'arte «degenerata» o «borghese»). E' un procedimento logico: il fanatico va fino in fondo, la persona ragionevole si ferma prima, ma per una ripugnanza spontanea, in quanto tutto ciò che sa di roghi dell'Inquisizione e di caccia alle streghe lo mette in sospetto. Avevano ragione i Romani, allora, a dire: Cave a consequen tiariis? No, la logica, la consequen tiarietà, non può essere un ma le. Allora dov'è l'errore? Ve diamo con maggior precisione cosa si chiede all'arte. Si chiede una conoscenza: una conoscenza che possa servire come bussola. Siamo di nuovo alla mentalità classicista quando si chiedeva, sbagliando, all'arte un bel rivestimento per una verità altrimenti nuda, arida, in digesta? Così ali 'egro fa ne ini porgiamo asperso di soave licor gli orli del {vaso; succhi amari ingannato [intanto ei beve e dall'inganno suo vita [riceve. Tasso sbagliava perché la salute dell'anima è altra cosa dalla salute del corpo. Ma permettetemi di lasciare a mezzo la questione, che è di natura squisitamente letteraria, e di tornare alla questione in fondo politica che ho sollevato. Se. ciò che la gente chiede all'arte è una conoscenza che serva da bussola, non gli chiede quello che ha già prodotto il pensiero? E non onora maggiormente questi prodotti del pensiero quando gli vengono forniti dai filosofi e dagli scienziati? Certamente; e c'è da domandarsi se un Marx e un Freud, che hanno fornito queste bussole, siano più importanti di qualsiasi artista del secondo Ottocento e del primo Nove-' cento. Dobbiamo rispondere affermativamente a questa domanda: stando al rilievo che il marxismo e la psicoanalisi hanno nei giornali e nei libri. Del resto molti che provengono da un'esperienza puramente letteraria, hanno finito col trovare una bussola in una di queste due dottrine: così D. H. Lawrence, un romanziere che io stimo molto. E' comunque opportuno mantenere ferma la distinzione tra letteratura, cultura e politica. Il marxismo e la psicoanalisi sono i fatti di cultura più importanti prodotti alla fine del secolo passato. Oggi comunque le loro verità sono state messe in ombra dalla consapevolezza che il mondo è minacciato di distruzione: consapevolezza che non potevamo aveprima dell'inizio dell'era atomica, cioè prima della bomdi Hiroshima (6 agosto 1945). Se vogliamo sostenere quella consapevolezza con l'autorità di un nome, faremo quello di Einstein; cioè del terzo grande che con le sue intuizioni e scoperte ha influito profondamente sul nostro modo di vedere le cose. Alla politica, ridotta all'elementare compito di salvare la vita, si avvicina più naturalmente l'artista di qualsiasi altro uomo di cultura (anche se i primi a dare l'allarme sono stati uomini di scienza come Einstein). Giacché l'artista è particolarmente sensibile alla bel-' lezza; e non può restare indifferente di fronte al pericolo che vada perduta. Quanto alla soluzione del problema che ci affligge, bisogna sforzarsi di tener distinte l'arte e la politica. L'arte impegnata è sempre strumento di una politica. E' quindi su quest'ultima che va portato il giù-' jdizio, non sull'arte. Oggi una, politica salvifica è comunque da considerare positivamente. Direi che l'enormità del compito ha messo a tacere tutti i. nostri scrupoli. Carlo Cassola

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