Così i pittori vedono la dura vita dei campi

Così i pittori vedono la dura vita dei campi Così i pittori vedono la dura vita dei campi VERSO le nove e mezzo giunsi In risaia. Le mondine, un centinaio, avevano appena finito la mezz'ora di riposo del mattino e scendevano nell'acqua per il trapianto. Un contadino, che mi aveva accompagnato, mi cedette i suoi scarponi di gomma: e io scesi nell'acqua. Ma la risaia non è soltanto acqua, come appare alla su per f ice: è fan-' go, e il piede scivola e sprofonda prima di trovare uno strato solido. Al secondo passo gli stivaloni erano presi nella melma: un piede si sfilò dallo stivale, perdevo l'equilibrio, i fogli si sparpagliavano, col piede libero dovetti entrare nell'acqua, per non cadere. Le mondine cominciarono a ridere: una risata un po' divertita e un po' impertinente percorse come una cascatella tutta la schiera. Un po' divertito e un po' seccato a mia volto, tolsi tutti e due gli stivali, li consegnai a chi me li aveva imprestati, mi rimboccai i pantaloni, e camminando nel fango raggiunsi le mie mondine, che cominciarono a lan- ciarmi occhiate affettuose. Presi a disegnare e non pas sarono dieci minuti che si cantava insieme: «L'8 settembre ha inizio la battaglia — di noi lavoratori della terra Di qui è cominciata la mia amicizia con le mondine di Sannazzaro e il mio lavoro di tre giorni nel fango, seguendo le squadre passo a passo. Qui ho conosciuto la fatica della mondina, piegata in due per ore e ore, senza potersi non dico riposare ma nemme-, no appoggiare un momento in qualche punto a qualche cosa, ore e ore nel fango, bruciate dal sole e dal riverbero del sole nell'acqua, morse dalle zanzare e da certi vermi bruni, lunghi e grossi undito che s'aggrappano alla carne e strappati, strappano la carne con una terribile tenaglia piantata nella testa dura. Qui ho conosciuto l'assillo dell'«agrario», come lo chiamano lo ro con facile estensione, men tre si tratta in genere di un fittavolo, qualche volta uma< no. molto spesso duro di cuo re, gretto, che tutto 11 giorno le sorveglia stando nell'acqua egli stesso, perché nemmeno un minuto di lavoro vada perso. Qui ho conosciuto lo squallore della «camerata», i giacigli su pagliericci, il rancio nella gavetta, e la chiusura delle porte alla sera, contraria ai regolamenti. Qui ho, conosciuto anche le canzoni delle mondine, canzoni d'amore e di dolore alcune, altre di lotta e di sfida: .Provate voi a lavora — e poi vedrete la differenza — di lavorare e di comanda...». Qui ho conosciuto Rosetta Franchi la mondina poetessa, una donnetta di Sannazzaro dagli occhi sprizzanti una straordinaria intelligenza che ha fatto studiare i suoi due figli, oggi bravi elettrotecnici del paese, e che mi diceva: «L'uomo che ha inventato il trapianto del riso avrebbe dovuto essere condannato ai martirii, ai suoi tempi». Lei ha composto le più belle canzoni di mondine, canzoni che tutta la risaia canta: «Con le gambe affondate nel fango — e le mani gonfiate dall'acqua — sono stanca, mi par di morire — non ho tregua né notte nédU. Posto in mezzo a terre meravigliose, vicino al Po sulla riva sinistra Sannazzaro è un grosso paese di 4500 abitanti. La proprietà delle terre è in mano a quattro persone che (vivendo a Milano. San Remo, ecc.) s'impadroniscono dei frutti del lavoro di tutta la popolazione. «Buttiamo per aria una manciata di denaro» mi diceva un contadino: «tutto quello che piomba a terra se lo prendono loro e qualche cosa che volteggia per aria riusciamo ad afferrarlo noi, ma deve essere ben leggero... perché resti in aria abbastanza». Gabriele Mucchi (1951) QUET.jI.iA mattina di luglio, quando salii sull'argine non seppi dire una parcla per l'emozione. Squadra dopo squadra i braccianti con le bandiere issate su lunghe pertiche, spalavate in silenzio, disseminati fino all'orizzonte lungo il tetto del fiume. Non avevo mai visto, né immaginato battaglia più bella, più organizzata. Sapete amici, ho fatto quanto mi è stato possibile per esprimere nei miei quadri il significato della vostra lotta; ho fatto tutto quanto era in me per far giungere anche fuori dal Friuli l'eco della vostra miseria e del vostro coraggio. Giuseppe Ziaraina (19511 UN paesaggio sta dietro le figure dei miei quadri di Calabria. E', per me. il paesaggio più vero che io conosca, ma non è questo o quel paesaggio, e tanto meno uno schema. L'ho visto, la prima volta, tanti anni fa, nelle argille desolate di Lucania, che si stendono a perdita d'occhio da Aliano a Pisticcl, da Craco a Montalbano, dove sulle bianche distese deserte passa l'ombra delle nuvole; l'ho rivisto, diverso e sostanziai-^ mente simile, in tutte le terre povere del Sud, nel feudi della Sicilia interna, nelle brulle pendici abbandonate della Sardegna, nelle costiere jonlche della Calabria. E' la terra della fatica contadina, della miseria e della civiltà contadina. Il suo colore è quello della terra antica, nuda, bruciata da tutti i soli, lavata e spogliata da tutte le piogge; è lo stesso colore del viso degli uomini e delle donne, il colore della malaria, della fame, della fatica, della pazienza e del coraggio di vivere. Oli uomini e le donne e i bambini che vivono su questa terra, nelle loro case di terra, coi lóro animali, l'asino e la capra, e gli usi antichi e le credenze ereditate, estranei e ostili allo Stato e alla storia, pare non si distinguano da lei, essi stessi indistinti all'occhio del viaggiatore frettoloso. Ma questo mondo contadino è invece ricchissimo di verità e di potenza umana, differenziato, pieno di personalità e della poesia delle cose nascenti, e, sotto l'apparenza della sua secolare immobilità, è tuttavia in movimento, alla ricerca, attraverso le infinite storie individuali e le sofferenze infinite della vita quotidiana, di una sua originale autonomia. Queste cose si possono intendere, assai più che nelle vicende, nelle lotte, e nelle sconfitte contadine, sul viso degli uomini, che hanno il valore poetico del primo farsi. della prima coscienza, della prima esistenza, che trapela, con tanto maggior valore espressivo, sotto la dolente1 maschera ferma di una immobilità secolare. Queste figure di calabresi che ho dipinto vogliono essere la descrizione, la storia di un paese di braccianti poveri. Non sono dei ritratti, ma del personaggi, come il paesaggio su cui vivono. Ognuno di essi porta sul viso la sua storia, che dovrebbe essere riconosciuta senza bisogno di essere raccontata; la sua storia, il suo lavoro, la sua fame, le sue malattie, le sue speranze, la sua volontà e il suo carattere personale. Ecco i braccianti senza terra, rimasti senza terra anche dopo la riforma, e quelli che ne hanno avuta un poco e non ci credono, e quelli che sono mezzi braccianti e mezzi operai, ei nomadi che cambiano paese portando i loro sacchi sulle spalle, e quelli disperati e feroci che possono farsi briganti, e quelli pazienti e rassegnati, e quelli più abili, padroni di bestie e di itrumenti, terraggeri e affittuari, che si sentono già quasi proprietari, coi cappelli neri ben piantati sul capo. E le donne, giovani e vecchie, curve sotto 1 pesi, con gli sguardi feroci e materni, e i vecchi che sembrano alberi morti, e i bambini col viso di vecchi, col loro occhi arrossati dal tracoma, avvolti nelle coperte nel freddo vento d'inverno e tuttavia incantevoli come spiriti familiari, e una vedova dall'antica beltà patetica e sfiorita: alcuni, troppo pochi, dei personaggi vivi di un villaggio tra le argille. Essi ci guardano: se noi li avessimo guardati come curiosità, come folklore, non li avremmo mai visti. Se 11 abbiamo potuti vedere e rappresentare è perché 11 abbiamo guardati con la stessa intimità e con lo stesso distacco con cui guardiamo noi stessi. Carlo Levi (1953) T L mio quadro «La grande [ vacca» nasce da un racconto sogno di una vacca al pascolo e di una lepre o biscia che cercano il latte: incominciano verso la fine di maggio, luce di estate bianco argento. Con un disegno a matita e l'uso di una tempera a base di uovo, olio di lino e ambra, su una tela grezza. E' iscritta in un cerchio, può dilatarsi in un otto 0 diventare una esse. «Lesale» di; Giarolo, sentieri pietrosi, boazze, cardi: una notte che c'era la luna e il cielo era di un grigio che tendeva all'azzurro; pesci saltavano nel ruscello vicino. Trovare la meccanica dello scalciare. Rami di fascine e foglie per terra, sassi, ginepri; luna di giorno, sole che va e viene, tra nuvole contro luce. Due potevano guatare spaventati tra il fogliame o una Angiolina-Teresina con un vitello in braccio. * Un nome di vacca Bertona, Cerltta, Grilla. Bionda, Rossa. Pastura, Grisa, Pomina. La voce: brama per fame, brugisce per fastidio, braghera per spavento. La biscia, una spirale in prospettiva. L'esecuzione: un tono freddo (terra verde), una luce calda (Siena), ombra (grigio freddo). Ombre della vacca tra le pietre: mostrerò che in quelle terre sono passati 1 tedeschi. Ho pensato a un telalo d'ossa che ricopre la pelle come la tela di un ombrello le stecche linguette di fuoco spuntano nei prati tra i noccioli. In uno studio ho messo delle nuvole un volume che si sfilacciava nel vento; il sole è a traiettoria parabola — ma è la terra che si avvolge. Alle sei di sera in aprile il sole tra i monti tramonta, scende dietro i monti, Prealpi e Alpi, e dietro la Bovisa batte sui nembi di traverso; luce, mezza tinta, tinta, ombra. Altre ombre battono a terra e trascorrono nel vento in topografie nere. Almeno in tre momenti il quadro poteva sembrare finito; ho messo colore in pasta e poi diluvio velature con trementina e olio di lino; alla fine ottenni dei prosciughi molto irregolari e in certe parti risputava la resina della trementina. Un giorno sono an-, dato dal pittore Ennio Tomiolo e con lui ho discusso il procedimento: i tempi di esecuzione dovrebbero essere almeno tre; disegno, a pasta di colore, l'Impostazione del chiaro-scuro, velature di diverse colorazioni, rifinitura in pasta. Si è deciso assieme di operare una velatura a tampone con olio e una resina, in proporzione di olio di Uno quattro parti, ambra una parte. Piero Leddi (i973j Idisegni «Occupazione delle terre Incolte in Sicilia» sono legati alla mia infanzia, alla mia gente, al miei avi contadini, a mio padre agri-' mensore, ai giardini di limoni e di aranci, alle pianure del latifondo familiari al mio occhio e al mio sentimento, da che son nato. Alcune di queste facce le vidi la prima volta nella divisa militare dell'altra guerra. Volti sui quali si erano addensati, accanto ai vecchi, nuovi segni di sofferenza. Ricordo volti che non lottavano più e 11 pianto delle spose, in quegli anni, e delle madri. Ricordo il volto impassibile di un vecchio contadino a cui mio padre dovette annunziare la morte del figlio al fronte, che sembrò accogliere la notizia con Indifferenza, quasi non lo riguardasse, che parlò un poco del raccolto e della pioggia e quando usci da casa nostra cadde a terra morto di dolore. Ricordo 1 carrettieri ai quali mi accompagnavo sulle trazzere, al tempo dei miei primi disegni, e le loro canzoni, sotto 11 sole, che non mi sono più uscite dalla mente. Ricordo i contadini in rivolta la sera che bruciarono i casotti del dazio, nell'agitazione contro 11 «comune chiuso» nel 1919; e fu quella la prima volta che vidi una bandiera rossa agitarsi nel cielo notturno ai bagliori delle fiamme. Poi i contadini cominciarono a frequentare la stanzetta che avevo adibita a studio; ad assistermi e a farmi da modelli in quel primi esercizi. Venivano tutti i giorni da me giovani e vecchi contadini, modelli e amici, contadini e poeti; spesso la sera ci vedevamo con Ignazio Buttitta poeta e comunista, con Giacomo Giardlna, pecoraio e poeta, che oggi fa il venditore ambulante tra Baglieria e l'interno, autore di pagine tra le più belle e fresche che siano mai state scritte sui contadini (pagine di un romanzo autobiografico che non fu mai pubblicato). Dipinsi anche, in quegli anni, il ritratto di Giuseppe Nicolosl Scandurra, contadino e decano dei poeti siciliani. I loro volti mi riapparvero poi sempre e popolarono 11 mio primo quadro di grandi dimensioni La fuga dall'Etna, nel quale raccontavo l'esodo dei contadini cacciati dall'eruzione. Nel 1946 e '47 tutta la Sicilia entrò in agitazione per la occupazione delle terre. Fui an ch'io in Sicilia in quel periodo, partecipai alle loro riunioni, alle loro discussioni, alle loro agitazioni. I volti della mia infanzia si mischiavano ai nuovi volti, i vecchi al giovani, alle donne, ai bambini affamati, Gli occhi umidi di commozione dei vecchi sui carretti alle facce decise dei giovani. I contadini si muovevano all'alba e addirittura nel cuore della notte, coi muli, gli asini, 1 carretti, gli aratri, le zappe, le bandiere. Qualcuno cantava, qualcuno suonava il mandolino o la chitarra. Quei suoni si mischiarono poi al suono delle fucilate Quelle tirate dal moschetto '91 della «forza pubblica» ovvero della gente chiamata a difendere 1 baroni e quelle tirate dalla doppietta del sicari della mafia. Cominciò la strage del capilega, 36 combattenti contadini uccisi in un anno. Da Gerolamo Li Puma ucciso in presenza del figlio undicenne mentre zappava la sua vigna, agli altri, a D'Alessandro, a Cangelosi, al contadini, bambini, uomini e donne massa crati a Portella della Ginestra, fino all'ultimo di qualche mese fa il contadino comunista Damiano Lo Greco ucciso in piazza a Piana dei Greci perché protestava contro la passeggiate di guerra del generale americano in Italia. Contadini siciliani che hanno nel mio cuore il primo posto, perché io sono uno del loro, e 1 cui volti mi vengono continuamente davanti agli occhi qualunque cosa io faccia. Contadini siciliani che sono tanta parte della storia d'Italia e che hanno dato tanto contributo di sangue alla storia che essi, sotto la guida della classe operala, stanno scrivendo per 11 nostro paese, per una Sicilia Indipendente e capace di rompere quella gabbia di miseria, di mafia, di; feudo che la opprime da secoli, in una Italia libera dalle sue piaghe. Indipendente e pacifica. Il mio amore per l contadini siciliani è solidarietà con le loro lotte, è parte stessa, benché minima, della loro lotta. Questo senso vuole avere la presente raccolta. Questi disegni non sono fatti per gli amici del caffè Greco, dell'Age d'Or o della Brasserie d'Alesla, non per la Biennale, per 11 Salon, per la Quadriennale, per l'Art Club. Non sono fatti per questi ambienti, per queste Istituzioni, nel senso che non sono fatti solo per loro. Ma per tutti, per tutto il popolo italiano e, primi fra tutti, 1 contadini siciliani; per 1 contadini di Bagheria, di Misilmeri, di Bauclna, di Valguarnera, di Lentlni, di Comiso, per mio nonno Ciro Guttuso garibaldino, e per mio padre Gioacchino Guttuso, agronomo e libero pensatore. Renato Guttuso (1951> QUASIMODO mi ha detto di avere scritto che hò ritrovato l'uomo e — In esso — la mia misura di artista. Questo a Cotogno, tra i. contadini. Io non me n'ero accorto, se non dal risultati artistici, non certo dai miei pensieri. Laggiù, di diverso c'era questo: essere la vita degli al-1 tri un fatto quotidianamente uguale al mio e viceversa. Sentivo che la conclusa felicità di un quadro continuava anche fuori, oltre al quadro. O l'infelicità. E' forse questo lo spazio morale di un'opera? Certo è buono constatare la continuità reale di un momento della nostra emozione al di fuori di noi, come verità del nostro sentire e saper scegliere. La constatazione fatta da Quasimodo, mi pare importante anche per lui in quanto poeta. Ciò che dice di me deve essere posto come sua stessa condizione. Ne sono certo. La vita altrui è giustificata e compresa nella logica continuità dell'azione nostra. Come un cielo che, spegnendosi, ne riveli uno nuovo, ugualmente cielo. La vita della campagna, presenta aspetti di continuità, di azioni 'e di gesti non sofisticati, sia pure pesanti e spesso ottusi, ma necessari. Le sue idee sono le azioni stesse che vi si compiono, largamente e lungamente sperimentate. I pensieri che agitano le città, sono di un ordine diverso, perché non tutto ciò che vi si compie risulta necessario e spesso si ragiona per sottintesi e per rilanci, come se si potesse scavalcare la realtà della storia. La campagna fa sentire acutamente la continuità letificante del mondo. Essa è compresa In tempi scanditi sulle stagioni. Non v'è un lavoro tematico perché tutto è continuità, una cosa dentro l'altra, all'Infinito. Renato Birolli (19451 Franco Francese «Il bracciante che dorme», 1957 Franco Francese «Il bracciante che dorme», 1957 rubbiani «T'amo pio bove», 1956: