«I due missili erano dei palestinesi chiediamo alla Corte di assolverci»

«I due missili erano dei palestinesi chiediamo alla Corte di assolverci» «I due missili erano dei palestinesi chiediamo alla Corte di assolverci» Prima che il tribunale di Chieti si ritirasse in camera di consiglio, Giorgio Baumgartner ha voluto leggere una dichiarazione - «Vogliamo essere affidati al servizio sociale» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE CHIETI — L'ultimo round 1el processo per i lanciamissili di Ortona, poco prima che il tribunale si ritirasse in camera di consiglio, in serata, si è concluso con un intervento dell'imputato Giorgio Baumgartner. Egli ha dichiarato: «Non vogliamo la vostra adesione alle nostre idee politiche, ma una sentenza giusta e assolutoria che confermi l'inefficienza delle armi e che esse erano destinate all'estero. Una tale sentenza ci consentirà, in un prossimo futuro, l'affidamento al servizio sociale che di recente non è stato negato a più illustre personalità». L'autonomo ha proseguito: «Abbiamo agito in favore del Fronte popolare per la liberazione della Palestina cui ci unisce un antico rapporto di solidarietà. Quanto è accaduto non ha scalfito la nostra amicizia». Per tutto il giorno la parola è stata dei difensori degli imputati. I legali — dopo la requisitoria del dottor A bruciati, che aveva accomunato i due arabi e i tre autonomi romani nella responsabilità degli stessi reati, detenzione e introduzione di armi da guerra, chiedendo mezzo secolo di galera complessivamente, senza la concessione di alcuna attenuante — si sono divisi su due fronti diversi. L'avvocato Sicari, che difende il siriano Nabiln Nayel, mai raggiunto da ordine di cattura perché la nave su cui viaggiava era già al largo quando i sospetti sulla sua partecipazione all'impresa si precisarono agli occhi degli inquirenti, e l'avvocato Zappacosta, che tutela gli interessi del giordano Saleh Abu Anzek, hanno chiesto l'assoluzione con formula piena per i loro assistiti. Essi hanno sostenuto che le prove sulla responsabilità dei due imputati possono dimostrare tutto e niente, il tribunale dovrebbe avere almeno dubbi che i due non c'entrano per niente con la vicenda. E', vero, hanno detto ricapitolando gli elementi d'accusa: Nabiln telefonò a Saleh a Ortona, ma Saleh ha confermato che erano amici e nei giorni precedenti il siriano era stato suo ospite a Bologna; Saleh aveva il numero di Baumgartner nell'agenda, ma 11 medico romano da anni raccoglieva medicinali per i palestinesi; Saleh la notte del 7 novembre fece di tutto per1 raggiungere Ortona, ma li al mattino si compiva un carico che lo riguardava, e non ha fatto mistero con nessuno di quel viaggio, ha cercato compagnia, ha lasciato ovunque traccia del suo passaggio. Per Pifano, Baumgartner e Nieri 11 discorso è stato ovviamente più articolato. L'hanno sviluppato gli avvocati Causarano, Di Giovanni, Melimi. Due 1 punti più roventi: il reato di introduzione, che comporta la pena più grave, fino a quindici anni di reclusione, e la funzionalità del lanciamissili su cui 1 periti di parte e d'ufficio si erano trovati in opposizione totale. L'avvocatessa Maria Causarano ha esordito riconoscendo come verità Incontrovertibile che i tre erano In possesso delle armi. La lettera del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, sulla cui autenticità il pubblico ministero aveva sollevato perplessità rilevando come essa avesse costituito la falsariga per una tardiva e plausibile difesa, l'ha definita invece «un caposaldo», ritenendo impensabile — fra l'altro — che un'organizzazione politica internazionale scendesse ufficialmente in campo per tutelare tre «perfetti scono¬ sciuti». Per smontare l'accusa di introduzione di armi o di concorso a compiere tale reato, ha usato gli stessi elementi acquisiti dall'accusa. E' stato accertato che i tre partirono in fretta, nella disorganizzazione più completa; alle 9,20 di sera varcarono a Roma il casello dell'autostrada e alle 0,50 quello nei pressi di Ortona, all'una di notte i carabinieri — avvertiti da un vigile notturno—U fermarono sulla piazza della cittadina. Sul pulmino c'era già la cassa, che era stata aperta e richiusa: fra i lanciamissili c'erano due sacchi della nettezza urbana di Roma e il coperchio era stato richiuso con chiodi nuovi, del tipo rinvenuto sul furgone, e martellati cosi bene che i carabinieri dovettero non poco lavorare per sollevare il coperchio. • Quando e dove — ha chiesto l'avvocatessa — furono 'compiute tutte queste operazioni? E perché Ore si sarebbero recati sulla piazza di Ortona, se l'operazione di prendere in consegna i lanciamissili era stata compiuta al porto? Perché non se ne sarebbero subito tornati indietro? Perché avrebbero dovuto aspettare Saleh, garante di una operazione che era già avvenuta senza di lui?». «Una sola è la verità possibile» ha concluso. Quella che 11 Fronte popolare per la liberazione della Palestina ha comunicato al tribunale dopo aver informato i nostri regolari canali diplomatici, la stessa che gli imputati hanno confermato «dopo avere atteso che l'organizzazione politica che ne era depositaria uscisse allo scoperto»: gli ordigni appartenevano ai palestinesi, gli autonomi furono chiamati per fronteggiare una situazione di emergenza, la cassa la prelevarono lungo l'autostrada, dovevano consegnarla a Ortona ad un palestinese, le armi — inservibili — dovevano proseguire e forse essere restituite al venditore- Liliana Madeo Chieti. Daniele Pifano al banco degli imputati (Telefoto Ap).