La paura e i roghi di Gianni Vattimo

La paura e i roghi NELLA STORIA DELL'OCCIDENTE La paura e i roghi In uno dei manuali per gli inquisitori che si sono moltiplicati dal XIV al XVI secolo, la lista degli «eretici», cioè dei ripidi deviami da cui la comunità religiosa e civile deve difendersi anche con il rogo, comprende ben novantasei categorie; tra di esse ci sono gnostici, ariani, pelagiani; ma anche: borboriti, idraparastati, tascodrogiti, batrachiti, entracristi, apotaciti, saccofori, ecc. Non giuriamo sulla esatta grafia di questi nomi, e soprattutto non ci proviamo nemmeno a spiegarli. Li ricordiamo solo per mostrare a che punto fosse arrivata l'ossessione dell'eresia negli autori di questi manuali, e nella società per cui' essi scrìvevano. Ma l'elenco — degno di Borges — rivela anche un'altra cosa: e cioè la «tecnica» con cui, nei secoli cruciali della formazione del mondo moderno, la cultura dell'Europa cristiana ha combattuto le paure da cui era attanagliata, dando loro figure e nomi precisi (ancorché mitici). E' questa, in conclusione, la tesi di Jean Delumeau, uno dei più notevoli storici francesi di oggi, professore al Collège de France, nel libro La paura in Occidente (ed. Sei) sul significato storico della paura nell'Europa moderna. I vari oggetti su cui si è scaricata la paura della società europea non appaiono solo come formazioni nevrotiche create per combattere in modo «magico» e mistificatorio nemici reali ma non superabili; o meglio: anche questo, ma perché le costruzioni nevrotiche hanno effettivamente una loro utilità, non sono puri fantasmi. I pericoli reali cui l'Europa si trova di fronte nei primi secoli dell'età moderna sono ben chiaramente indicabili: le pestilenze e le carestie, le guerre e le rivolte che devastano città e regioni, l'avanzata dei Turchi, gli sconvolgimenti dello Scisma e della Riforma protestante. Questi pericoli reali, soprattutto a causa dell'arretratezza della tecnica — come è evidente nel caso delle pestilenze e delle carestie — difficilmente si lasciano vincere. Mandare al rogo «borboriti» e «idraparastati» non serve certo a migliorare la situazione; non in modo diretto, almeno; serve però a non lasciare che individui e gruppi sociali si lascino distruggere dalla disperazione e dallo scoramento. Sono epoche in cui il coraggio ha forse un senso vitale più decisivo che nella nostra, almeno in condizioni normali; perché, appunto, i perìcoli oggettivi cui la vita è esposta sono più incombenti e continui: basta mettersi per mare per andare incontro al rischio della morte. In questa situazione, i vari1 «mostri» inventati dalla psiche individuale e collettiva per dominare in qualche modo la paura e l'angoscia della morte hanno un loro senso positivo: servono a imporre alla vita sociale un ordine, una disciplina, che, come riconosce Delumeau nella conclusione del suo libro, rendono anche meno incombenti quei pericoli reali da cui in qualche modo dipendono. Attraverso i processi alle streghe, la persecuzione degli eretici e tutti gli altri meccanismi di difesa, la società moderna si dà un ordine e una disciplina che la rendono più capace di resistere alle minacce esteme di ordine naturale e militare; e dunque, che rendono anche, a poco a poco, superfluo tutto il meccanismo difensivo, che infatti, all'inizio del secolo XVIII, si allenta alquanto (finiscono i roghi delle streghe, le persecuzioni di massa contro gli eretici, ecc.), anche — benché non soltanto — in conseguenza dell'ordine e della razionalizzazione sociale che così si è potuta realizzare. Non si tratta però soltanto della tesi più o meno implicita nel laicismo moderno, secondo cui religione e superstizione hanno una loro legittimità come mezzo per disciplinare le masse ignoranti. L'interesse dell'opera di Delumeau, e la sua modernità, sta tutto nello sforzo, riuscito, di capire e descrìvere la «cultura» che dalla paura e dalle sue formazioni «nevrotiche» prende orìgine. Non siamo di fronte solo a processi, codici, episodi di storia civile e politica, ma anche e soprattutto alla storia della spiritualità occidentale, rintracciata e ricostruita anche nell'arte e nella letteratura. Tanto che., alla fine, non solo non riusciamo a immaginare come avrebbe potuto sorgere la società moderna senza la funzione ordinante esercitata, sia pure così sanguinosamente, dalla paura e dal suo uso da crìqculesistcozcnvuqfenppmgdctcndp carte del potere; ma anche non rìusciamo a immaginare, senza questa paura, la storia della cultura dell'Europa occidentale, della sua arte e del suo pensiero. Delumeau tuttavia non sostiene esplicitamente una tesi così smaccatamente «giustif icazionista». Mostra solo l'intreccio inestricabile di positivo e negativo nei meccanismi attraverso i quali la paura diventa un fattore storico rilevante. In questi meccanismi, alcune differenze si evidenziano in modo netto: anzitutto quella tra la' paura delle classi dirigenti e la paura delle masse. Queste ultime hanno timori e angosce legate alle condizioni materiali della sopravvivenza; mentre le classi dirìgenti temono soprattutto i nemici dell'ordine sociale. Ciò si riflette per esempio nella diversa considerazione del demonio presso gli uni e presso gli altri: il diavolo della cultura contadina rivela tratti più bonari di quello della cultura di élite, che lo vede come il segreto ispiratore di ogni dissenso, e di ogni devianza rispetto all'ordine esistente. Ciò non toglie, però, che anche la 'cultura delle masse individui come obiettivo delle sue paure soprattutto il «diverso» in ogni suo aspetto; sicché la paura della diversità sembra non potersi legare soltanto alla preoccupazione, dpica delle classi dirigenti, per la conservazione dell'ordine costituito. Essa affonda verosimilmente le proprie radici in bisogni di sicurezza più ampi e profondi di quelli che si concretano nel potere economico e politico, e che devono essere studia ti a un livello diverso da quello della ricerca storica; la quale tuttavia, per questo ulteriore studio, fornisce, almeno con il libro di Delumeau, una raccolta di materiale stimolante e prezioso. Gianni Vattimo

Persone citate: Borges, Delumeau, Jean Delumeau, Turchi

Luoghi citati: Europa