Dossi, ambasciatore degli «scapigliati»

Dossi, ambasciatore degli «scapigliati» DOCUMENTI INEDITI SULLO SCRITTORE Dossi, ambasciatore degli «scapigliati» Quando il governo di Francesco Crispi cadde improvvisamente il 31 gennaio 1891, Alberto Pisani Dossi, che dello statista siciliano era stato l'onnipotente capo di gabinetto al ministero degli Esteri, si ritirò in una sua proprietà a Mainerò di Casteggio (Pavia), in attesa della nuova destinazione. Gli fu offerta la Legazione di Bucarest, che egli rifiutò. Si parlò poi del Montenegro. Intanto i mesi passavano. Alla fine di settembre, il presidente del Consiglio, Rudinì, che aveva assunto anche il portafoglio degli Esteri, ruppe gli indugi e gli comunicò che il re, su sua proposta, lo aveva nominato ministro in Colombia. Pisani si rivolse a Crispi con una lettera accorata, che è anche un segno di tutti i tempi e di tutte le burocrazie. «Gli attuali padroni della Consulta, vi si legge, non potendomi mandare di fatto all'altro mondo, tentano di mandarmivi in senso figurato. Quale colpa io abbia commesso, salvo quella di essere stato, come sempre, fedele suo, non so». Adagio. L'opera di Alberto Pisani Dossi, quale diplomatico, è tutta da rivalutare e meriterebbe un lungo discorso. Non vi fu settore della Consulta che egli non abbia rinnovato o aggiornato: dall'organigramma del ministero alla creazione dell'Ufficio Coloniale (si attribuisce a lui la scelta del nome «Eritrea» per la colonia del Mar Rosso), dal regolamento del concorso per la carriera diplomatica a un insieme di altre norme legislative sul servizio consolare, sull'emigrazione, sulle scuole italiane all'estero, sui rapporti con la stampa, ecc. ecc. * * Ma l'operazione non era stata indolore. Pisani aveva recato alla Consulta lo stesso impeto sconsacrante e di rottura proprio della «Scapigliatura». E aveva fatto vittime illustri: nel giro di tre anni una trentina di funzionari, tra cui l'ambasciatore a Londra Corti, e quello a Pietroburgo, il notissimo Giù seppe Greppi, furono collocati a riposo o in aspettativa. Una percentuale altissima per i modesti organici di allora. Quest'opera di «spiemontesizzazione» della carriera, come taluno la interpretò, non poteva non provocare risentimenti. Né erari mancati mormorii, quando si venne e sapere che Pisani era stato promosso consigliere di Legazione con un decreto datato due giorni prima delle dimissioni di Crispi! Il caso più clamoroso fu l'allontanamento del torinese Giacomo Malvano, direttore della Divisione «Affari Politici», che Crispi e Pisani consideravano l'ispiratore della politica «conigliesca» dell'Italia. Trasferito a Tokyo, Malvano preferì rassegnare le dimissioni dalla carriera e entrare al Consiglio di Stato. Caduto Crispi, Rudinì aveva chiamato proprio Malvano a dirigere la Segreteria generale del ministero degli Esteri. Posto che questi manterrà — se si esclude il periodo del successivo governo Crispi — sino al settembre del 1907 Il più lungo periodo mai rico-. peno dalla stessa persona alla Segreteria generale, tanto più rilevante in quanto Malvano era consigliere di Stato, e non apparteneva più alla «carriera» degli Esteri. ★ ★ Ad Alberto Pisani non rimase altro che chinare il capo e partire, come gli consigliò lo stesso Crispi. Bogotà era considerata allora una sede disagiata e secondaria, una specie di punizione per un diplomatico della statura e delle amicizie del Pisani. Ma la scelta della Colombia la si dovette anche a un precedente di cui certo Malvano non si era dimenticato: l'«affare Cerniti», di cui si erano occupate a lungo le cronache italiane. Il marchigiano Ernesto Cerniti, valoroso combattente delle patrie battaglie, si era fatto in Colombia una grossa fortuna che però, nel 1885, gli era stata confiscata e saccheggiata dal governo rivoluzionario insediatosi a Bogotà. Molti degli articoli apparsi sulla crispina La Riforma e che, in polemica con la Perseveranza, criticavano la «condotta timida e dimessa» della diplomazia italiana, erano stati scritti o ispirati da Pisani Dossi, che del Cerruti era grande amico. Non appena Crispi assunse il potere, l'«affare» si risolse sollecitamente, e il governo colombiano fu condannato da un lodo arbitrale a risarcire il Cerruti. Alberto Pisani Dossi, prima di partire per Bogotà — e siamo già a metà gennaio del 1892 — pensò bene di sposarsi: «Fu un momento per me fortunato, scrisse nelle "Note Azzurre", perché colla caduta del governo Crispi e conseguente mio ozio, tornavo ad avere tempo di fare all'amore e di scrivere della letteratura». Fortunato anche perché, come ebbe a dire re Umberto a Domenico Farini, la moglie Carlotta Borsani gli portò una dote di due milioni di lire, cifra allora enorme. Inoltre, donna di forte sentimento religioso e di mite ma tenace carattere, fu compagna ideale e non certo priva d'influenza su di lui. Dalla Colombia Pisani indirizzò a Crispi altre lettere sconsolate. Ma adempì anche, egregiamente, al suo compito d'inviato, redigendo almeno una quindicina di rapporti, scritti di suo pugno, con una calligrafia chiara e regolare e con uno stile ordinato, piano, espositivo, ben diverso daquello dei suoi saggi letterari. Due dispacci del maggio e del giugno del 1892, sulle elezioni generali e sulle condizioni politiche e sociali del Paese, ci offrono un quadro quanto mai illuminante di una situazione, colta nelle sue componenti essenziali. Il 3 novembre gli nacque a Bogotà la figlia Bianca, che fu tenuta a battesimo dal delegato apostolico, mons. Sabatucci, alla presenza del ministro degli Esteri e del corpo diplomatico. «Accenno a tale circostanza, così si legge nel rapporto inviato al ministro degli Esteri, Brin, al solo fine di mostrare il carattere conciliante di questo delegato pontificio, e perchè la medesima potrà qui avere qualche influenza nello smentire le fandonie che continuamente si smerciano dai pulpiti e dai giornali colombiani sugli ostili rapporti tra le due Potestà in Italia, la prigionia del Papa, le usurpazioni sabaude, ecc.», Brin gli formulò «particolari felicitazioni», aggiungendo: «Il fatto che il battesimo fu amministrato da codesto delegato apostolico è prova del suo carattere conciliante e del tatto di V.S.». L'accenno al «tatto» acquista sapore se si pensa che Pisani era tenuto in conto di massone e di ateo. Pisani Dossi lasciò Bogotà per un congedo di due mesi (più il viaggio) alla fine di aprile del 1893. Il clima aveva peggiorato i disturbi nervosi di cui soffriva da sempre, sino a provocargli «una breve ma forte assenza cerebrale». Ottenuta una proroga, questa venne a spirare quando Crispi, ritornato al potere nel dicembre dello stesso' anno, lo reintegrò nel posto di capo di Gabinetto agli Esteri, mentre Malvano si «rifugiava» al Consiglio di Stato. L'esilio colombiano di Alberto Pisani Dossi era durato, in tutto, poco più di un anno. Enrico Serra Dossi, in un'incisione dal quadro di Tranquillo Cremona