Più lontano un accordo Pechino-Mosca ma i cinesi non hanno chiuso la porta di Alain Jacob
Più lontano un accordo Pechino-Mosca ma i cinesi non hanno chiuso la porta L'interruzione delle trattative per la «normalizzazione» Più lontano un accordo Pechino-Mosca ma i cinesi non hanno chiuso la porta NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE PECHINO — La decisione di rinviare le trattative sinosovietiche, annunciata sabato, riflette l'irrigidimento cinese nell'attuale crisi. Pochi giorni dopo l'ingresso delle truppe russe in Afghanistan, Pechino aveva informato l'Urss che la sua presenza in un Paese confinante con la Cina costituiva un ostacolo •supplementare» alla normalizzazione dei rapporti fra 1 due Paesi, ma si era guardata dal mettere in dubbio il proseguimento dei negoziati. All'epoca della visita In Cina del ministro americano della Difesa Brown, fonti cinesi autorizzate erano state ancora più esplicite nell'osservare che le conversazioni sino-sovietlche riguardavano 1 rapporti bilaterali e non dovevano quindi essere condizionate dalla crisi internazionale. C'è dunque stato un cambiamento di atteggiamento. Il significato di questo gesto è tuttavia limitato. La prima fase del negoziato era terminata all'inizio di dicembre a Mosca; la seconda doveva svolgersi a Pechino, ma non s'era fissata una data. Fonti degne di fede indicano però che in ogni caso le delegazioni non si sarebbero incontrate prima del Capodanno cinese, il 16 febbraio, probabilmente a fine febbraio o inizio marzo. C'è quindi un che di gratuito nell'affermare che colloqui previsti a un mese di distanza non potranno svolgersi •nell'attuale situazione». Può trattarsi di un messaggio per Mosca: se le «circostanze» non saranno cambiate entro qualche mese, il dialogo non potrà riprendere. Nel momento in cui gli Usa o qualcuno dei loro alleati decidono sanzioni contro l'Urss, sarebbe parso strano che la Cina non modificasse nello stesso senso la sua attività diplomatica. Si noterà tuttavia che su altre misure contro Mosca, come la non partecipazione alle Olimpiadi, finora Pechino è rimasta muta. Come sempre, la diplomazia cinese si sforza di distinguere 1 tempi brevi da quelli lunghi. L'obiettivo di una normalizzazione del rapporti sino-sovletlcl resta. Pechino dice soltanto che qualsiasi progresso è impossibile •nelle attuali circostanze». Si tratta soltanto dell'Afghanistan? ci si può domandare tenendo conto delle preoccupazioni cinesi per la salute di Tito. Qualsiasi cosa si sia detta in passato a Pechino sull'egemonismo e l'espansione dell'Urss, l'invasione afghana ha provocato la stessa sorpresa che In Occidente e induce a nuove preoccupazioni sulle ambizioni di Pechino. Di qui a pensare che Mosca potrebbe approfittare della scomparsa del presidente jugoslavo per ristabilire a Belgrado e a Bucarest posizioni più «egemoniste» il passo è breve. E' quanto suggerisce un commento violentissimo pubblicato ieri dal Quotidiano del Popolo in cui l'autore non esita a paragonare la condotta della «banda di politici senea fede né legge» che dirige Mosca a quella di Hitler in Europa alla vigilia della seconda guerra mondiale. «La detonazione di Kabul ha scosso il mondo», si afferma, poiché costituisce «una grave escalation nella politica aggressiva dell'Unione Sovietica» e dimostra che questa è pronta, di fatto, ad •affrontare ogni rischio». •Quale sarà la pros sima vittima?», si domanda 11 giornale: •Numerosi sono i Paesi che oggi sono preoccupati per la loro indipendenza, per la loro sicurezza». La Cina è praticamente impotente davanti alle operazioni di forza e dubita della de terminazione degli Stati Uniti a opporvlsi efficacemente. Può tuttavia far sapere al Cremlino che rifiuta, nell'attuale stato delle cose, di fare come se nulla fosse procedendo con trattative per la «normalizzazione» con una potenza le cui azioni mettono in pe ricolo l'ordine internazionale che appena si cominciava ad accettare a Pechino. Alain Jacob Copyright "Le Monde" e per l'Italia "La Stampa"
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