La giustizia vista dal cittadino
La giustizia vista dal cittadino La giustizia vista dal cittadino Cóme ogni anno i procuratori generali di tutta Italia hanno fatto il punto sulla giustizia (La Stampa, 12 gennaio). Il bilancio, per le loro stesse parole, è ancora una volta negativo. Concordo con Giovanni Conso quando afferma che la contestata cerimonia inaugurale dell'anno giudiziario è pur sempre un'occasione per comunicare con l'opinione pubblica e con gli altri poteri dello Stato, ma vorrei tentare una volta tanto di considerare i problemi della giustizia dal punto di vista del semplice cittadino. Prima di tutto ricordiamoci che la «giustizia» dovrebbe essere l'ultima e massima difesa dell'individuo: contro le sopraffazioni, le violenze, gli arbitrii, là dove non basta 11 buon diritto di una parte, dove gli infiniti meandri della burocrazia trasformano in fantasma senza nome una controparte «pubblica», dove il più debole o il più mite non riesce a far valere la sua ragione, là allora si ha il dovere e il diritto di appellarsi alla giustizia, che non è entità astratta, ma «è» il pretore, 11 giudice, il pubblico ministero. Persino quando il potere politico sbaglia, quando fa leggi ingiuste, quando prevarica, il cittadino può sperare che la magistratura — nei suoi vari organi e rispettive competenze — corregga secondo giustizia gli errori altrui. Fra 1 due poteri, quello politico e quello giudiziario, c'è o dovrebbe esserci assoluta indipendenza: ma è 11 secondo ad avere l'ultima parola. E allora domandiamoci perché il cittadino non solo non spera nella giustizia, ma teme l'intervento della magistratura, anche quand'egli è vittima e non Imputato; perché preferisce subire un torto, anche grave, pur di non ricorrere ai giudici. Parlo ovviamente del cittadino onesto, sprovvisto della malizia di chi ha imparato a usare avvocati e tribunali come strumento di ulteriori sopraffazioni. Non credo che la causa di. questa sfiducia stia soltanto nella mancanza di cancellieri e di dattilografe, nella carenza, o nella sovrabbondanza di leggi, nella mancata riforma del codice di procedura penale. Basta avere un'occasionale esperienza di procedimento giudizario o assistere a un processo per rendersi conto di quanto la giustizia si identifichi, si incarni in «quel» magistrato. Del resto, anche le cronache dei giornali su inchieste giudiziarie o processi, per quanto affrettate e inesatte, danno un'idea di quanto possa essere soggettiva — come metodo, come interpretazione, come giudizio — l'opera dei magistrati. E allora, dato a Cesare quel che è di Cesare, attribuite alla classe politica le sue colpe, 1 procuratori generali il prossimo anno provino a dcmaiv darsi se i magistrati sono davvero preparati, per cultura e competenza specifica, al loro «mestiere»; se vi dedicano un equo tempo; se intendono la giustizia come giustizia o come potere; se sono «sopra le parti» o se sono — per simpatia o antipatia, per affinità o diversità partitica (!), per scelta di una o altra classe sociale — essi stessi parte in causa. Si chiedano infine quanto realmente, concretamente, dipenda o non dipenda da loro stessi la lunghezza dei procedimenti. Luigi Scaglia, Novara
Persone citate: Giovanni Conso
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