Spina jugoslava di Frane Barbieri

Spina jugoslava Spina jugoslava DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE BELGRADO — La malattia di Tito ha fatto riscoprire di colpo i Balcani come uno dei punti nevralgici del mondo: quello che sono sempre stati nella storia. Il grande gioco strategico si è subito spostato nella zona. Era inevitabile: la partita si gioca ormai su tutto lo scacchiere mondiale. L'accesso balcanico al Mediterraneo non fa che chiudere dall'altro lato le stesse vie maestre attorno alle quali è in atto la dura contesa per il Golfo Persico. Washington ammonisce l'Urss a non attentare all'indipendenza jugoslava. Mosca trova nelle 'insinuazioni» sulle sue pretese mire antijugoslave 'il pretesto per coprire il disegno della Nato di ingerirsi negli affari jugoslavi». Belgrado capta il senso dell'operazione: «Si cerca di trasferire il clima di tensione e di confronti fra i blocchi da altre regioni mondiali verso la Jugoslavia'. Sono parole del portavoce ufficiale. Bisogna allora chiedersi: chi punta sulla Jugoslavia, con quali pretese e quali prospettive? L'Occidente nel Paese di Tito non può più vincere. Le illusioni ci sono, ma sarebbe catastrofico coltivarle. Ciò non toglie che l'Occidente nella Jugoslavia possa perdere ancora. L'Urss può perdere a sua volta, ma può anche puntare su una vittoria. La Jugoslavia consolidata cosi com'è, cioè titoista, rappresenterebbe pur sempre per Mosca una sconfitta: primo, perché contava di averla già conquistata dopo la guerra; secondo, perché l'impatto del titolsmo nel mondo comunista può causare altre perdite per l'Urss. E' difficile supporre che il disegno globale del Cremlino non comprenda il riassorbimento del comunismo titoista. L'Occidente se ragionevole e realistico, benché non abbia dato troppo spesso prova di tali qualità, dovrebbe preferire la salvaguardia del ^E'fntrèccio balcanico si presenta cosi estremamente composito. I suoi sbocchi non sono misurabili in base al semplice conteggio delle forze strategiche in campo. Anzi, in un primo momento almeno, per la partita risulteranno più determinanti le mosse degli alfieri diplomatici e le infiltrazioni dei cavalli saltanti che non gli spostamenti delle pesanti torri super-armate. Ceausescu parla anche di pericoli imminenti e decreta la mobilitazione della guardia popolare. Può avere la sue buone ragioni. Da tempo si pensa che Mosca, come primo passo, seguendo la famosa variante del domino, cercherà di ridurre la Romania alle condizioni degli altri membri del blocco di Varsavia, contando di poter restringere in seguito lo spazio dell'autonomia jugoslava a quello oggi goduto dalla Romania. Le due visite consecutive di Cernenko e di Rusakov, rispettivamente membro del Polltburo e segretario del Pcus, a Sofia, parlano di una riattivizzazione dell'avamposto bulgaro. Infatti, coincide con la visita il rilancio delle rivendicazioni sulla Repubblica jugoslava della Macedonia, elevata dalla rivista di partito di Sofia ad una 'questione virale per la Bulgaria: Si è registrato pure un tentativo di approccio all'Albania in un articolo del moscovita Novoe Vremja. Tirana ha risposto picche in quanto, malgrado gli screzi, non ha interesse a prestarsi al gioco antl-jugoslavo: proprio la Jugoslavia 'rappresenta, geograficamente, la barriera protettiva del peculiare autonomismo alba-, nese. Viaggiatori venuti da Budapest a Belgrado raccontano di aver visto truppe sovietiche nella zona di confine. Ma ci sono state sempre, dai tempi della rivolta ungherese. Erano soltanto camuffate nei profondi boschi recintati. Se oggi i soldati sono stati mandati a spasso nelle citta, può darsi che ciò sia accaduto per far risaltare la loro presenza. Ai fini di una pressione psicologica piuttosto che militare. Un eventuale recupero della JspubudpnctcrsldmlaallsgmqtmcTgtsgs Jugoslavia può essere nei disegni di Mosca soltanto un'operazione a tempi lunghi, non un affare da risolvere a colpi bruschi e plateali. O almeno un lavoro in due fasi: di graduale isolamento all'esterno e' penetrazione soave all'interno, da capitalizzare alla fine con un colpo violento. L'opera di isolamento è stata messa in atto già da tempo, con i tentativi di restringere il retroterra della politica jugoslava nel Terzo Mondo, con l'azione cubana e presentando la Jugoslavia come «un elemento destabilizzante» per l'Europa (lo ha detto Zhivkov a Schmidt). Insistendo a voler abbracciare la Jugoslavia nella cosiddetta comunità socialista (insistenza sempre respinta da Belgrado) si congiungeva il disegno dell'isolamento internazionale con quello della penetrazione interna. Negli ultimi anni fra polemiche ed abbracci, Mosca ha cercato di mettere il Paese di Tito nella condizione del figlio bizzarro della famiglia internazionalista. Dando per sottinteso che in tale famiglia gli screzi, quando diventano gravi, è chiamata a risolverli l'autorità del padre. Quando 1 contrasti si facevano aspri, come è successo recentemente per i non allineati, la Cambogia e l'Afghanistan, Mosca ha cercato di attutire 1 toni della polemica e in primo luogo di spersonalizzarla. Non ha mai osato confrontarsi con Tito in persona, calcolando, chissà, di potersi erigere nel momento opportuno a interprete del pensiero di Tito in conflitto con 1 suol successori, 'revisionisti e deviazionisti». Tito non ha lasciato spazio ad una simile, eventuale manovra, impegnandosi a tracciare bene la linea di demarcazione: con 11 non allineamento a L'Avana e con il sistema di autogestione all'interno, dando 11 suo pieno avallo alle tesi dell'ultimo libro di Kardelj, preso di mira dai sovietici. Certo il Paese e la direzione collegiale non saranno mai più compatti ed attenti come nel momento del trapasso, che sarà necessariamente di emergenza. Si può prospettare un ritorno volontario a una direzione più concentrata. Lo imporrà la scomparsa di Tito, Frane Barbieri (Continua a pagina 2 In ottava colonna)

Persone citate: Ceausescu, Cernenko, Rusakov, Schmidt, Zhivkov