Quaranta le aree sicure per le centrali nucleari

Quaranta le aree sicure per le centrali nucleari Le Regioni dovranno ora discuterle con il Cnen Quaranta le aree sicure per le centrali nucleari ROMA — Il discorso energetico è sempre lo stesso: «.Andare avanti con i risparmi, col carbone, col nucleare per ridurre la dipendenza dal petrolio-. Questa volta è il presidente del Cnen, Colombo, che lo fa ripetendo le parole già usate dal presidente dell'Enel, Corbellini, e dal ministro Andreatta. Anche le organizzazioni sindacali concordano, ponendo l'accento sulla sicurezza. Ma chi è cosi pazzo da non mettere questa condizione al primo posto quando si discute sulla scelta nucleare? La speciale commissione nominata dal ministero dell'Industria per un'indagine sulla sicurezza delle centrali nucleari ha presentato i risultati (se ne discuterà a Venezia dal 25 al 27 di questo mese di gennaio) e le conclusioni (dalle quali si sono dissociati soltanto due membri, il prof. Giorgio Nebbia e il prof. Carlo Mussa Ivaldi) sono che una centrale elettronucleare rientra nel numero delle attività produttive a rischio elevato, ma proprio per questo motivo è sottoposta a test continui di sicurezza impiantistici e tecnologici i cui standard sono, in Italia, i migliori tra quelli applicati nei vari Paesi. Comunque la Commissione insiste perché siano -intensificate le ricerche sulla sicurezza, in stretto collegamento con quanto si fa negli altri Paesi» e si rivolge anche alla Comunità europea perché -diffonda tra gli Stati membri tutte le conoscenze disponibili-. I tecnici del Comitato non si lasciano andare a dire molto di più: parleranno a Venezia, ma, come ha precisato già nel novembre scorso il vice presidente del Cnen, Salvetti, essi non intendono andare oltre le conclusioni scientifiche sulle garanzie di sicurezza: le decisioni spettano ai politici. Da prendersi, come stabilisce la legge n. 393 del 2 agosto 1975, «in accordo con le Regioni e gli enti locali interessati-. Lo scoglio più difficile da aggirare è stato, in questi quattro anni e mezzo, quello della definizione del sito: il disaccordo è stato totale. Non soltanto per i noti motivi di opposizione antinucleare, ma anche per mancate o impreci se conoscenze di situazioni idrologiche, geologiche, sulla sismicità dei terreni, sul clima. Ora questi dati non dovrebbero più mancare: il Cnen ha concluso la compilazione della «Carta dei siti»; il governo l'ha inviata il 9 gennaio alle Regioni che il 10 febbraio saranno invitate ad un incontro per dire «che cosa ne pensano-. Va precisato che non si tratta di un'indicazione definitiva, cioè dei punti nei quali costruire, bensì di «aree ottimizzate- che presentano -favorevoli caratteristiche insediative e sulle quali andranno poi fatte le "scelte puntuali al momento della qualificazione del sito- come precisa la relazione del Cnen. Una prima scelta, insomma, fatta -in relazione ai parametri rilevati dal punto di vista della sicurezza e della protezione ambientale-. Ne emergono una quaranti na di aree -variabili da un mi nimo di 25-30 chilometri qua drati ad un massimo di 100-150- sparse un po' su tutto il territorio nazionale, ma scelte con questi criteri: distanti non meno di 10 chilometri dalla periferia di centri con oltre 20 mila abitanti e non meno di 20 chilometri da centri con più di 100 mila; distanti non più di dieci chilometri da corsi d'acqua con portata minima di almeno 12 metri cubi al secondo per 355 giorni l'anno; oppure collocati su una fascia costiera di 3 chilometri e su un'altitudine di non più di 25 metri dal livello del mare. Ma molti siti sono da scartare perché -caratterizzati da intenso uso residenziale o turistico del territorio, da vincoli naturalistici o fortemente interessati da vincoli militari, ovvero presumibilmente affetti da caratteristiche sismotettoniche particolarmente sfavorevoli-. Di conseguenza le località che possono accogliere un insediamento nucleare si riducono a ben poche. Diciamo che la Pianura Pa- dana è quella che ne presenta 11 maggior numero e sono, tutto sommato, le aree su cui si discute dal '75: il Po tra la confluenza con la Dora Baitea e quella col Tartaro; poi ancora il Po ai confini tra Piemonte e Lombardia; ancora tra Lombardia ed Emilia-Romagna e tra il Veneto e l'Emilia. Ma, avvertono i compilatori, -queste aree sull'asta del fiume devono essere considerate interdipendenti in relazione alla ricettività termica del fiume-. Ancora due aree nel Lazio e' poi sulle coste, ma qui 1 vincoli paesaggistici o turistici o militari (Sardegna) sono consistenti. Si salvano da qualsiasi vincolo due fasce della penisola garganica, due o tre sulla costa meridionale della Sicilia, due su quella occidentale della Sardegna. Domenico Oarbarino

Persone citate: Andreatta, Carlo Mussa Ivaldi, Corbellini, Domenico Oarbarino, Giorgio Nebbia, Salvetti, Tartaro