Küng: «Perché resto cattolico» di Hans Kung

Küng: «Perché resto cattolico» UN ARTICOLO DEL TEOLOGO DI TUBINGA IN POLEMICA CON ROMA Küng: «Perché resto cattolico» «Sono nato nella Chiesa e non voglio lasciarmi strappare il sente legato alla Chiesa di tutte le nazioni e di tutti i secoli e sono stati contro la libertà di coscienza, la libertà di ricerca e i bene più prezioso della mia vita» - E' cattolico - dice - chi si raccerta nella sua totalità; pur respingendo gli errori che vi diritti dei singoli - «Chiesa cattolica, sì; Inquisizione romana, no» Io resto cattolico. Perché? Non è facile rispondere a questa domanda, nel bel messo di una polemica vivissima, quando ogni scritto diventa quasi intollerabile, quando, dopo una procedura unica e sleale, un'altissima istanza ecclesiastica mi rifiuta la definizione di ^teologo cattolico»; quando sì tenta di espellermi, dopo ventanni di insegnamento, dalla mìa facoltà cattolica e, sema andare tanto per il sottile, di cacciarmi ai margini della mìa Chiesa, nel momento in cui ho appena celebrato il mio venticinquesimo anniversario di sacerdozio. Bersagliato e minacciato, posso spiegare la mia lealtà e dire ciò che credo? Poiché questa è la situazione, perché resto cattolico? A dire il vero, non si tratta solamentedi un fatto personale. Tramite migliaia di lettere, telegrammi, appelli telefonici, sono assalito come da un'implorazione angosciante di una folla di cattolici del mondo intero, invasa da tristezza, collera e dubbi. Le autorità di Roma potranno nuovamente abolire la libertà della teologia, intimidire i teologi e rimetterli in carreggiata, in virtù di un potere spirituale? I vescovi non saranno altro che esecutori e dovranno imporre, ai gradi inferiori, le direttive romane? Malgrado le belle parole e la buona educazione ecumenica, l'istituzione ecclesiastica ritornerà ad essere, tramite fatti e gesti non ecumenici, una «cittadella» (cardinale Ottaviano rigida, inospitale e sterile nella nostra società moderna? Il Papato Innanzi tutto una precisazione; non è affatto il gusto del dibattito teorico che mi fa porre la questione, ma l'urgenza della difesa. Poiché non sono io che ho dubbi sulla mia «cattolicità», ma certe autorità e certe gerarchie. Perché dunque resto cattolico? Per me, come per molti altri, la risposta sarà soprattutto questa: perché non voglio lasciarmi portar via, mentre sono in vita, ciò che mi è stato caro e prezioso. E' un fatto: io sono nato in questa Chiesa cattolica. Assai presto, ho conosciuto Roma e il «papato», meglio della maggior parte dei teologi cattolici, e non ne ho serbato, nonostante tutte le calunnie, alcun risentimento anti-romano. Non sono contro il papato né, a maggior ragione, contro questo Papa, ma mi sono sempre battuto per un «servizio di Pietro» purificato, questo è vero, dal suo assolutismo. Mi sono costantemente dichiarato in favore di un autentico primato pastorale, inteso come responsabilità intellettuale, direzione spirituale e spinta attiva per il bene della Chiesa. Prima di tutto, intanto, c'è stata Tubinga: la Tubinga protestante con la sua facoltà cattolica. E' qui che, professore dal I960, mi sono affezionato sempre più a questa università la cui brillante storia, dopo la sua fondazione, ha conosciuto successi, ma anche sconfitte. E' da questa facoltà cattolica, nel bel mezzo di Tubinga, che sono nati i miei libri e quelli dei miei colleghi. Senza di essa, non sarebbero stati affatto convincenti o sarebbero stati diversi. Tramite un dialogo permanente con colleghi e studenti, qui ho potuto elaborare una teologia cattolica dalle caratteristiche veramente ecumeniche e che cerca di unire queste due attitudini: fedeltà alla tradizione cattolica e apertura alla cristianità, meglio ancora verso l'ecumene intera. Il dialogo con i colleghi protestanti è stato di un'importanza fondamentale per la teologia cattolica, non per deprezzare e svendere ciò che è cattolico, ma per approfondirlo. Perché dunque resto cattolico? Non soltanto per le mie origini cattoliche, ma anche per amore di questa missione, vitale per me, che è stata la grande occasione della mia vita, che io razionalmente non posso adempiere che dalla cattedra della facoltà di teologia cattolica di Tubinga. Bisogna subito rispondere anche a questa domanda: che significato ha questa realtà cattolica per la quale io vorrei restare cattolico? Nel senso originale del termine e in base all'antica tradizione, può dirsi teologo cattolico ogni uomo che, nella sua teologia, si trova dentro la Chiesa cattolica e ciò vuol dire nella Chiesa universale, totalizzante, tutta. E dovrà esserci su due piani: nel tempo e nello spazio. 1) Cattolicità nel tempo — E' cattolico il teologo che si sente legato alla Chiesa intera, cioè alla Chiesa di tutti i tempi. Non si potranno dunque qualificare alcuni secoli come «non cristiani» o «non evangelici». D'altro canto un radicalismo protestante (da non confondersi con il radicalismo evangelico) rischia, per difetto storico, di voler ricominciare semplicemente da zero e quindi di saltare da Gesù a Paolo, e da Paolo ad Agostino, di balzare poi attraverso il Medio Evo fino a Lutero e Calvino e di là, molto facilmente, a parte la tradizione ortodossa propriamente detta, fino ai Padri della Chiesa o, per meglio dire, ai capi-scuola molto recenti. Il teologo cattolico, d'altro lato, partirà sempre dal fatto che il Vangelo non ha mai mancato di testimoni, e contemporaneamente cercherà di imparare dalla Chiesa. Necessariamente crìtico, egli non dimenticherà mai le frontiere limitate e gli impedimenti — numerosi nei pe- riodi di crisi e di grande pericolo —perla Chiesa dei tempi antichi nella sua sollecitudine e la sua lotta per la fede «una e vera» col suo credo e le sue definizioni che distinguono una buona da una cattiva interpretazione del messaggio. Mai egli dimenticherà le esperienze, positive e negative, dei suoi padri e fratelli in teologia. Dal suo punto di vista giustamente critico, il teologo cattolico è attento alla continuità della fede cristiana, che vive, nonostante tutte le rotture. 2) Cattolicità nello spazio — E' cattolico il teologo che sa legarsi alla Chiesa di tutte le nazioni e di tutti i continenti. Egli non si allineerà dunque soltanto con la Chiesa del suo Paese o della sua nazione e non si isolerà dalla Chiesa intera. D'altro canto un «particolarismo protestante» (da non confondersi con il senso evangelico dei legami comunitari) è sempre Incline ad «ipnotizzarsi» sulla Chiesa locale, la sua fede e la sua vita, e ad accontentarsi di un provincialismo teologico. Il teologo cattolico, al contrario, partirà sempre dal fatto che il Vangelo non ha mai mancato della testimonianza di nessun popolo, di nessuna classe, razza, e cercherà di imparare dalle altre Chiese. Mai, dunque, si abbarbicherà in una precisa Chiesa locale, e non riserverà la sua teologia ad una nazione, una cultura, una razza, una classe, una forma sociale, una concezione del mondo, una scuola determinata. Giustamente al suo posto, il teologo cattolico è attento alla universalità della fede cristiana. E' dunque in questo doppio senso che io vorrei essere e restare un teologo cattolico e difendere la verità della fede cattolica. Tuttavia, questa affermazione di realtà cattolica nel tempo e nello spazio, in profondità ed ampiezza, significa che bisogna accettare tutto ciò che, durante venti secoli, è stato ufficialmente insegnato, ordinato, praticato? La Congregazione romana per la dottrina della fede e la Conferenza episcopale di Germania predicano questa identificazione totale quando parlano della verità integrale, piena, intera della fede cattolica? La verità No. Non si può predicare una tale concezione totalitaria della verità. Poiché la stessa Chiesa ufficiale può difficilmente contestare oggi che, nella storia della dottrina e della prassi cattolica, ci siano stati errori gravi di conseguenze che sono stati in parte corretti dagli stessi papi (in modo tacito, per la maggior parte): scomunica del patriarca ecumenico di Costantinopoli e della Chiesa greca, divieto di liturgia in lingue locali, condanna di Galileo e delta cosmologia scientifica moderna, condanna dei riti cinesi ed indiani e del loro modo di chiamare Dio, mantenimento del potere temporale medioevale del Papa fino al Vaticano I, con tutti i mezzi secolari e spirituali della scomunica, condanna dei diritti dell'uomo ed in particolare della libertà di coscienza e di religione, e infine, ancora nel nostro secolo, le numerose condanne della nuova esegesi storicocritica e condanne sul piano dogmatico, in particolare a proposito del «modernismo» (teorìa dell'evoluzione, senso dello sviluppo dogmatico) e recentemente i provvedimenti di epurazione presi da Pio XII, contemporaneamente giustificati dalle argomentazioni di alti dogmatici, con deposizione dei teologi più importanti prima del Concilio, come Chenu, Congar, de Lubac, Teilhard de Chardin, di cui la maggior parte sono stati teologi conciliari sotto Giovanni XXIII. La cosa non è evidente: è precisamente per amore di ciò che è veramente cattolico che bisogna distinguere. Non tutto ciò che è stato ufficialmente insegnato e praticato nella Chiesa cattolica è stato cattolico. Il criterio di distinzione, per i cristiani cattolici, non può essere altro che il Vangelo nella sua ultima realtà concreta: Gesù Cristo in persona il quale per la Chiesa e, contro ogni altra affermazione, per me, è il Figlio e la Parola di Dio. E' e resta la norma a partire dalla quale tutte le autorità ecclesia stiche devono essere giudica te. Norma alla quale evidentemente il teologo deve anche sottomettersi e davanti alla quale egli deve giustificarsi per una autocritica perma nente in tutta e sincera umiltà. Tutto ciò significa che cattolico non può voler dire ammettere tutto, accettare tutto per obbedienza e per umiltà mal compresa, per l'amore di una pretesa «totalità», «integralità», «integrità». Ci sarebbe una deplorevole complexio oppositorum. Certamente, si è rimproverato spesso al protestante di essere «troppo poco», una scelta riduttiva. Ma d'altra parte non si può risparmiare al cattolico il rimprovero di essere spesse volte «esageratamente troppo», un accumulo sincretistico di elementi eterogenei, erronei, talvolta persino pagani. E che cosa è peggio, il peccato per eccesso oilpeccatoper difetto? Il teologo veramente cattolico deve avere lo spirito evangelico, così come al contrario il teologo evangelico deve avere lo spirito cattolico. Aggiungiamo che, dal punto di vista teorico, questo fatto rende le frontiere teologiche ben più complicate di quanto i documenti dottrinari, così spaventosamente semplicisti, facciano credere, tanto poco essi rivelano della profondità e larghezza cattolica. Perché dunque io resto cattolico? Perché è proprio restando cattolico che posso affermare una cattolicità evangelica, centrata sul Vangelo e ordinata da esso. «Romano» Ma che cosa resta del «romano»? «Cattolicesimo romano» è un neologismo tardivo e che si presta a malintesi. Ancora una volta, io non ho nulla contro Roma! Ma è proprio perché voglio restare teologo cattolico che non posso legare puramente e semplicemente la mia fede cattolica e la mia teologia cattolica alle pretese di un assolutismo romano diventato eccessivo più o meno a partire dal Medio Evo e nelle epoche successive. D'accordo per una evoluzione dottrinale e pratica nel riconoscimento onorifico, ma soltanto una evolutio secundum evangelium, una evoluzione conforme al Vangelo. Una evolutio praeter evangelium, uno evoluzione ai margini del Vangelo, può essere tollerata. Una evolutio contra evangelium, un'evoluzione contraria al Vangelo, deve essere criticata. Applichiamo tutto questo al papato. Ho sempre riconosciuto e difeso un primato pastorale dei vescovi romani — primato che si riallaccia a Pietro e alla grande tradizio¬ ne romana — come un elemento della tradizione cattolica aperto dal Vangelo. Ma il legalitarismo, il centralismo e il trionfalismo romani in materia di dottrina, di morale e di dottrina ecclesiastica — che imperano soprattutto a partire dall'undicesimo secolo, ma sono stati preparati molto tempo prima—non sono sostenuti né dalla vecchia tradizione cattolica né, a maggior ragione, dal Vangelo, e sono stati criticati nel Vaticano secondo. Certi nostri cardinali e vescovi non vogliono riconoscere che, su taluni punti particolari e di dottrina e di pratica, pensano più da romani che da cattolici? Forse il mio collega protestante Walther von Loewenich, specialista di Lutero e del cattolicesimo romano, ha visto giusto, quando si dibatteva sull'infallibilità, scrivendo: «Nel caso di KUng la domanda non è KUng è ancora cattolico?. Ma piuttosto: il cattolicesimo si strapperà da un ristretto legalitarismo dottrinale grazie ad una cattolicità autentica?». La cattolicità, dono e dovere, indicativo e imperativo, origine e avvenire. E' questa tensione che vorrei riuscire a creare nella teologia, e sempre con uno stesso scopo, rendere intelliggibile il messaggio di Cristo agli uomini d'oggi, disposto ad imparare e a correggermi purché ciò avvenga in un dialogo fraterno e tra eguali. Io affermo qui, contrariamente a tutte le affermazioni in contrario tanto spesso ripetute, persino dalla Conferenza episcopale tedesca, che non mi sono mai rifiutato ad un dialogo del genere, nemmeno con le autorità romane, e anzi il dialogo c'è stato parecchie volte con i rappresentanti della Conferenza episcopale tedesca così come con il vescovo del luogo. Ma in tutti questi anni ho sempre dovuto rifiutarmi, invece, ad un interrogatorio tipo Inquisizione. Questa si è conferita tutti i diritti e non ne ha lasciato alcuno all'accusato; è un rifiuto che devo alla difesa dei diritti dell'uomo e del cristiano, come in nome della libertà della scienza teologica. Devo tale rifiuto a quegli stessi che hanno sofferto per queste misure disumane e non cristiane e a quelli, sento dire, che ne soffriranno ancora. La Chiesa cattolica, sì; l'Inquisizione romana, no! Hans KUng Copyright di -La Monde» a -par l'Italia da «La Slampa»

Luoghi citati: Costantinopoli, Germania, Italia, Roma