Esuli nel mondo di A. Galante Garrone

Esuli nel mondo IL RISORGIMENTO E GLI EMIGRATI Esuli nel mondo L'emigrazione politica del Risorgimento: è un tema posto in nuova luce dalla storiografia di questo dopoguerra, e non a caso. La dittatura fascista aveva spinto fuori della patria non pochi cittadini, ridando cosi vita a un fenomeno che sembrava ormai confinato nelle lontane memorie risorgimentali. E il primo frutto di questa vissuta esperienza, spesso dura e drammatica, è stato il dissolversi di ogni visione oleografica dell'esulato. D nome stesso di esule aveva finito per infastidire. Salvemini, uno dei nostri migliori emigrati politici, avrebbe ricordato: «Non facevo l'esule. L'esule persona sacra, l'esule sopito nella notte bruna con gli agnelli alla pastura, mi seccava a morte, negato come sono alle romanticherie e alla retorica». E Aldo Garosci. a cui dobbiamo la prima, fondamentale opera sull'emigrazione antifascista, la intitolava Storia dei fuorusciti. Al di là di questa visione più realistica, più sfrondata di ogni abbellimento romantico, di ciò che fu l'emigrazione del Risorgimento, dobbiamo registrare un altro frutto della più recente storiografia: lo sforzo di vedere più a fondo i nessi tra questi italiani sbalzati fuori della penisola e gli altri Paesi, quali influenze esercitarono e quali ne ritrassero, quale fu in definitiva l'incremento di idee, di esperienze sociali e politiche, in una parola di civiltà, in Italia e fuori d'Italia, che si deve a questi nostri emigrati. Un primo, esauriente bilancio di questa svolta storiografica è stato compiuto da Maria Adelaide Fonzi Columba. nella Bibliografia dell'età del Risorgimento in onore di A. M. Ghisalberti. Alcuni libri usciti negli ultimi tempi si collocano in questo ricco filone di ricerche: la raccolta di Scritti politici, di Giuseppe Pecchio con un'ampia introduzione a cura di Paolo Bernardelli (Roma. Istituto per la Storia del Risorgimento italiano. Biblioteca Scientifica): il lavoro di Paola Casana Testore. Giacomo Durando in esilio (1831-1847), a cura del Comitato di Torino del predetto Istituto: e. da ultimo, la grande biografia dedicata da Aldo Garosci ad Antonio Gallenga (edita dal Centro Studi piemontesi, e già ampiamente recensita su queste colonne da Giovanni Spadolini). Alcuni Paesi appaiono in questi studi: la Spagna e il Portogallo. l'Inghilterra, un po' la Grecia e gli Stati Uniti E. naturalmente, vi appaiono in modo diverso, a seconda del temperamento dei singoli emì grati, delle loro precedenti esperienze, dell'ambiente e anche del momento in cui si trovano ad agire. Prendiamo la Spagna, que sto Paese che. con la guerra di popolo contro Napoleone con la costituzione di Cadice aveva dato un mito all'Europa (il «mito spagnolo», cosi ben lumeggiato da Giorgio Spini) Il liberale Pecchio — di cui il Bernardelli ha ben caratteriz zato gli spiriti radicali, che lo avevano tanto allontanato da un Confalonieri — giunge in Spagna durante il «triennio co stituzionale». quando ancora sembra sopravvivere il vento rivoluzionario che aveva squassato l'Europa della Santa Alleanza. Pecchio ha simpatia per i comuneros. Non combatte in campo, come il prode Pacchiarotti e tanti altri italiani: ma. dal suo osservatorio madrileno, ammira l'intrepidezza dei costituzionali e. col pensiero alle rivoluzioni recentemente fallite in Italia, conclude che possono vincere solo le rivoluzioni sostenute dalla grande massa del popolo. Avverte ancora intorno a sé gli echi e il prestigio della guerriglia, della guerra «per bande» combattuta strenuamente dagli spagnoli contro le armate napoleoniche (e il militare piemontese Carlo Bianco trarrà in quegli stessi anni, e dalla sua personale esperienza, l'ispirazione per il suo famoso trattato): e ammira il popolano e guerrigliero che gli dice: «Dove c'è una montagna in Spagna, là c'è la libertà». Ma. sempre col pensiero all'Italia, sente che il problema essenziale che ora viene maturando è quello della libertà costituzionale. In un primo momento, è anch'egli affascinato dal modello della costituzione di Cadice: e ritiene che il sistema monocamerale sia una fondamentale garanzia di eguaglianza e di democrazia. Più tardi, in Inghilterra, muterà idea (e dirà che il governo con una sola Camera è un pallone senza mongolfiera, un vascello senza zavorra). Anche il piemontese Giacomo Durando, rifugiato in Por¬ s togallo e in Spagna dopo essersi compromesso nella congiura torinese dei «cavalieri della libertà», continua a pensare all'Italia. «Nelle eterne marce dall'Aragona a Castiglia... io andavo ruminando il gran problema d'Italia». La sua esperienza di militare combattente, in duri scontri che hanno talvolta l'asprezza e la ferocia della guerra civile, e in formazioni spesso raccogliticce, e in un momento che ormai vede allontanarsi nel tempo e dileguare il mito della guerra per bande (ed è ben significativo, come la Casana giustamente rileva, che manchi ogni riferimento a quest'ultima nei suoi scritti), si farà sentire, molti anni dopo, nel celebre libro Della nazionalità italiana. Questa dura esperienza militare sarà messa a frutto nella futura trasformazione dell'esercito piemontese in esercito italiano. E cosi pure l'ideale di una robusta monarchia costituzionale, intravisto dal Durando nella penisola iberica, orienterà o rafforzerà le sue future scelte politiche. Decisiva, per il Pecchio. l'influenza dell'Inghilterra, di questa «isola fortissima» come egli diceva (e aggiungeva: «Mi rallegra persino il cimitero che mi raccoglierà un giorno»), del Parlamento, della stampa, delle istituzioni scolastiche, della realtà economica, della irresistibile forza dell'opinione. «E' in queste taverne, è tra il fumo della pipa e la schiuma della birra che nasce e si forma il primo stato dell'opinione pubblica». Gli opuscoli del Pecchio. quasi tutti rari e sconosciuti, ci fanno sentire il suo progressivo aderire alle istituzioni britanniche come a un modello ispiratore. Quando. dall'Inghilterra, si recherà nella Grecia insorta, vedrà quelle lotte con occhio ben più disincantato di quel che non avesse in Spagna pochi anni prima. Affermerà con forza la necessità di disporre di truppe regolari e disciplinate (avvicinandosi così a quelle che saranno le idee del Durando). E sempre più affascinato dal modello britannico (di cui pur non gli sfuggono alcuni limiti), propende verso una soluzione di monarchia costituzionale per l'Italia, e accetterebbe persino i Savoia, nonostante la sua avversione per Carlo Alberto. E' diventato scettico sull'efficacia politica dei nostri emigrati, e fin dagli Anni Trenta, poco prima di morire, si orienta, profeticamente, verso una soluzione diplomatica del problema italiano, patrocinata dall'Inghilterra, dopo una guerra della Francia contro l'Austria. Durando, Pecchio. Gallenga sono sempre più lontani da Mazzini: per sorda diffidenza il primo, per animoso sdegno il secondo, per odio-amore il terzo. In loro e in tanti altri emigrati, possiamo scorgere le ragioni della solitudine di Mazzini, e misurare insieme la forza e l'altezza e l'efficacia europea della sua propaganda. Su di lui. rimando alle bellissime pagine di Garosci (che nel libro su Gallenga ha scorci potenti sulla storia del Risorgimento). Per finire, una curiosità amena. Ecco come Gallenga. dopo tanti anni vissuti nella verde Inghilterra, rivede Torino e i suoi abitanti: «Il Torinese ha paura del sole, ha paura dell'umido... Voi lo vedete stivalato, impacciato, farsi strada sotto i portici, sotto i freddi, umidi, mefitici suoi portici, fiacco, languido; storto anche e sciancato, spesso, in forza di sedentarie abitudini; spesso con etera che sembra fare oltraggio al vivo e robusto suo clima». Anche in questo, come in tutto il resto. Gallenga non riusciva a contenere la sua impulsiva ed esagerata maldicenza, il suo gusto dissacrante. A. Galante Garrone