La perfidia del potere di Giovanni Bogliolo

La perfidia del potere Un pamphlet antimonarchico di 4 secoli fa La perfidia del potere Etienne De La Boétle: «Discorso sulla servitù volontaria», a cura di Luigi Geninazzi, ed. Jaca Book, pag. 115, lire 2200. Poche opere, come il Discorso sulla servitù volontaria, hanno dovuto subire le interpretazioni contrastanti di lettori costantemente divisi tra l'entusiasmo e la disistima; poche opere, come questo esemplare libello, sono state fatte segno di appropriazioni e di stravolgimenti faziosi. Hanno cominciato gli ugonotti a utilizzarlo, ancora inedito e affidato alla non troppo severa custodie di Montaigne, come pamphlet antimonarchico e in questa veste è poi ricomparso a più riprese, e sempre in momenti di grande tensione rivoluzionaria, in mano a polemisti e ideologi delle più vaste estrazioni, cattolici e utopisti, comunisti ed anarchici. Contemporaneamente e sul versante opposto un'altra schiera di interpreti ha voluto, sulla scia di Montaigne, neutralizzare la portata politica del Discorso e presentarlo come un esercizio scolastico di retorica, ricco si di nobile entusiasmo e di precoce amarezza, ma rivolto più allo studio dei classici dell'an¬ tichità che non all'analisi della realtà contemporanea. Il mistero della reale portata di quest'opera è destinato a sussistere fino a quando non si riuscirà a sotrarre la personalità del suo autore dall'abbagliante luce riflessa del suo grande amico Montaigne che, nel tesserne il commosso elogio funebre, ne ha esaltato l'intelletto e la probità, ma ne ha anche imposto un'interpretazione che, anche se non rende pienamente ragione del suo pensiero, è però impossibile contraddire: è Montaigne che, deprecando il cattivo uso politico del Discorso, insiste sull'occasionalità e sull'immaturità della sua redazione; è ancora Montaigne che, per attenuarne la portata rivoluzionaria, garantisce della provata fede monarchica e legittimista del suo amico fraterno; è Montaigne infine che, a maggior gloria di La Boétie, inserisce nei suoi Saggi una serie di non eccelsi sonetti anziché questo suo scritto giovanile «in onore della libertà, control tiranni*. * * Troppe cautele per non creare attorno a quest'opera un interesse anche sproporzionato al suo effettivo valore e per non rendere definitiva- mente indecifrabile il mes saggio di questa violenta requisitoria contro la tirannide che si risolve in un'accusa di cecità e d'inerzia alle sue vittime o in un'amara constatazione dell'ineluttabilità del destino di servitù a cui l'uomo volontariamente si sottopone. Non è dunque un testo che possa incitare all'insurrezione e alla lotta, ma piuttosto una meditazione intrisa di scetticismo. Il suo potenziale rivoluzionario si trova nascosto caso mai tra le pieghe della forbita argomentazione e passeranno secoli prima che venga svelato in tutta la sua modernità: La Boétie è infatti il primo trattatista politico che non si pone la questione di quale sia la migliore forma di governo e che, nel parlare di tirannide, non si riferisce ad una degenerazione di un potere legittimo, ma alla struttura in se stessa perfida e alla natura comunque illegittima di ogni forma di potere. E' soprattutto questo aspetto che rende poco credibile le accorte attenuazioni di Montaigne e che fa supporre nell'integerrimo magistrato La Boétie una forza di pensiero ben maggiore di quella che la morte prematura gli ha consentito di esprimere e che i suoi primi lettori vi hanno saputo scoprire. Perciò ogni età vi ha trovato sempre nuove occasioni di sintonia, magari, come illustra Luigi Geninazzi nella sua penetrante introduzione, -appropriandosene l'interpretazione autentica o la lettura più acuta e portandola all'interno delle misure usate per giudicare le lotte del momento*. * * Più che una nuova interpretazione, c'è da attendersi — o da paventare — che anche questa riesumazione dopo il silenzio più che secolare (la precedente traduzione, datata 1864, era opera di Pietro Fanfani) provochi un'inedita fruizione del Discorso di La Boétie o qualche impensata e ardimentosa annessione; tanto più ragionevole appare dunque l'invito del suo ultimo curatore a scoprirvi -l'inizio di un pensiero "negativo" sul potere che emerge nei momenti critici della nostra storia e rappresenta un modello teoretico di pensiero lontano tanto da ogni piatta sociologia delle forme di potere come pure da ogni "rifondazione del politico"*. Giovanni Bogliolo

Persone citate: Etienne De, Luigi Geninazzi, Pietro Fanfani