Nella tragedia a passo di valzer di Francesco Rosso

Nella tragedia a passo di valzer UNA VITA DI FRANCESCO GIUSEPPE, MENTRE SI RIMPIANGE L'AUSTRIA FELICE Nella tragedia a passo di valzer Monarca assoluto, fra un massacro in Ungheria e uno in Italia, per 70 anni dominò la scena europea - Ma per una nuova biografia, fu uomo mediocre, privo di passioni - Come si innamorò di Elisabetta di Baviera - Gli piacevano il ballo e le parate - Mentre la sua famiglia si sfaldava tra manicomi e drammi, fece guerra alla Serbia e segnò il crollo dell'impero Nelle biografie dei personaggi illustri per meriti propri, o perché il destino li ha fatti nascere in luogo e momento di particolare interesse, lo sfondo sociale, o storico, prevale sovente, fino ad offuscare il protagonista, a spingerlo in secondò piano in ruolo di comprimario. Costringere in simile ruolo limitativo Francesco Giuseppe d'Asburgo, imperatore d'Austria e re d'Ungheria, sarebbe stato impresa ardua, perché egli dominò, pressoché solo e per quasi settant'anni, la scena europea come un autocrate medioevqle. - ' Benché sia stato un periodo di profondi rivolgimenti, con un'Europa che andava allegramente verso la catastrofe, Francesco Giuseppe non lasciò mai offuscare il proprio prestigio di supremo reggitore di popoli anche se la sua personalità, guardata dal buco della serratura, si rivela di sconcertante mediocrità. Più che l'ultimo erede del Sacro Romano Impero, egli si rivelò un bravo contabile, privo di slanci e di passioni autentiche, quasi un genio dell'indifferenza, o dell'autocontrollo. Cosi, almeno, appare dall'attentissima e avvincente biografia di Frana Herr (Francesco Giuseppe, ed. Rizzoli. 14.000 lire) il quale si è preoccupato di sfumare avvenimenti e personaggi, sempre tragici, per lasciare solo alproscenio l'imperatore, dal momento die Francesco Giuseppe, anche come uomo, si è sempre identificato col ruolo che gli era stato assegnato fin dalla nascita, un monarca assoluto in uniforme gallonata di generalissimo. Ci sono brevi parentesi in cui l'uomo affiora con le sue debolezze sentimentali, specie nella folgorazione amorosa per Elisabetta di Baviera, divenuta presto Sisi, eppoi nel suo inalterato, paziente amore per quella Sisi, divenuta sua moglie, che quasi lo detestava e soggiornava più sovente in Grecia, in Egitto, nelle Azzorre che in Austria. Per il resto, si può dire che egli abbia sempre «studiato da imperatore», a ventanni era già la statua di un monarca e per tutta la sua lunga esistenza fu sempre «impera-r tore per grazia di Dio e dei cannoni». Il suo svago era' giocare ai soldati, nel senso die gli piaceva assistere agli esercizi e alle parate militari pur non essendo un militarista; e gli piaceva oltremodo ballare, il valzer in specie, pur non essendo un mondano. Non si rese mai conto di sopravvivere a sé stesso, nemmeno quando comprese che la «sua Austria» sarebbe morta con lui. perchépiù yiessuno sarebbe riuscito a dominare quel nido di vespe dell'impero austro-ungarico, nel quale i fermenti liberal-radicali, i nazionalismi nascenti, la rivalità delle potenze emergenti, l'ambiziosa e avida Russia degli zar, l'ancor più avida Prussia degli Hohenzollern e di Bismarck. rappresentavano minacce mortali. I moti rivoluzionari del. 1848 furono presto domati; studenti e liberali che, già al¬ lora, avevano gridato «la fantasia al potere», rientrarono nei ranghi un po' per virtù dell'elusivo Metternich, molto per la determinata vocazione all'assolutismo di Francesco Giuseppe. Tra un massacro in Ungheria e uno in Italia, l'Austria parve ritrovare i momenti più alti dei secoli gloriosi; se non era più l'impero di Carlo V, sul quale «non tramontava mai il sole», era pur sempre il più vasto impero d'Europa, dopo la Russia, una vastità che però aveva in sé i germi del disgregamento. I ducati, principati, regni di Germania ancora inseriti nel sistema austriaco del defunto Sacro Romano Impero, erano in preda a forza centrifuga, e ormai guardavano a Berlino più che a Vienna. L'Ungheria cercava la sua identità nazionale, come l'Italia, la Croazia, la Boemia, e coi nazionalismi nascevano i problemi linguistici, ancora insoluti oggi. A tenere ben forte il coperchio di quel calderone in ebollizione c'era Francesco Giuseppe, sul quale il tempo e le tragedie scivolavano come pioggia sul marmo. L'Europa era in subbuglio, profugo a Vienna, Trotzky elaborava la teoria della «rivoluzione permanente» e fonda- va la Pravda, Hitler limava il suo antisemitismo mentre l'Austria eseguiva parate militari, si entusiasmava alle evoluzioni dei cavalli tipizzane e Vienna ballava, ballava, ballava. Se per un certo momento il compositore in voga era stato Schubert. ben presto si piazzò alla ribalta il giovane Johann Strauss, che ancor oggi fa ballare la gente con TI bel Danubio blu. L'Europa andava verso la catastrofe, ma a passo di valzer. E' strano come a leggere queste pagine, in cui è condensata la storia del mondo di ieri, un mondo di certezze, come raccontò più tardi l'austriaco ebreo suicida Stephan Zweig, la tragedia assuma quasi sempre il moto dell'operetta. Non dimentichiamo Lehàr. Persino t nomi di certe regioni austriache, la Lodo-' miria, a esempio, o la Cisleithania, richiamano alla mente La vedova allegra e quanto accadeva in Italia, Ungheria, Boemia, Bosnia ed Erzegovina sembra già sceneggiature di film, con al centro battaglie sanguinose. La descrizione della tragedia di Solferino, una piaga mai rimarginata nel cuore di Francesco Giuseppe, richiama alla mente la battaglia nel film Senso, di Visconti. Tutto pare già cinematografo; la'fucilazione a Querétaro di Massimiliano, tragico, fittizio imperatore del Messico; l'omicidio-suicidio di Rodolfo, erede al trono, e dell'amante Maria Vetsera a Mayerling; il regicidio dell'ormai vecchia e folle imperatrice Elisabetta, la già inquieta Sisi sul lungolago di Ginevra, per mano dell'anarchico italiano Luigi Luccheni sono stati tante volte ridotti per il cinema, e alla lettura i personaggi ricompaiono coi vestiti e le fisionomie degli attori che li hanno interpretati sullo schermo, quindi privi dell'alone di tragedia, umana e dinastica, che li ha realmente avvolti. Mentre la sua famiglia si sfaldava tra manicomi e tragedie passionali, Francesco Giuseppe, che «sarebbe stato un buon prefetto di polizia» per la formazione burocratica ricevuta, ma anche per inclinazione congenita, continuava a «giocare ai soldati». Decise di annettersi la Bosnia e Erzegovina, un «deserto di sabbia e pietre» che già aveva in amministrazione, e fu l'inizio della fine. L'uccisione a Serajevo dell'erede al trono, l'arciduca Francesco Ferdinando d'Austria-Este e di sua moglie Sofia fu la conseguenza di quell'annessione e dell'iniziativa di far svolgere manovre militari proprio in quei territori. La dichiarazione di guerra alla Serbia mise in moto la reazione a catena degli interventi che travolsero gli Asburgo, gli Hohenzollern, i Romanov e i loro imperi. Francesco Giuseppe non vide la fine della tragedia, sparì dalla scena in un brumoso novembre del 1916, già certo della rovina conclusiva. Aveva sempre intuito il corso degli avvenimenti, ma non possedeva la forza e l'immaginazione per dominarli Era un burocrate, non un politico. «La formulazione di una politica, gli aveva detto Metternich, non è ancora fare politica. Fare politica richiede fermezza, coraggio, audacia». Francesco Giuseppe aveva soltanto la fermezza^ dell'autocrate corazzato contro le sventure. Quando gli dissero che l'erede al trono era stato ucciso a Serajevo, liquidò la questione con la domanda: «Come sono andate le manovre?». Era un burocrate che «giocava ai soldati» sema preoccuparsi se giocava anche la vita di milioni di uomini e il futuro dell'Europa. Francesco Rosso L'imperatore Francesco Giuseppe a ottantanni, in costume da caccia (Archivio«LaStampa») sentimentali specie nella folper quella Sisi divenuta sua lora avevano gridato «la fan