Quel sottile piacere di star bene a tavola di Renato Rizzo

Quel sottile piacere di star bene a tavola Mini-inchiesta sulla buona cucina a Torino Quel sottile piacere di star bene a tavola Per le guide gastronomiche la nostra città non esiste - Rispondono gli chef dei ristoranti più noti: «Ci sono ottimi posti per estimatori» Se è vera l'affermazione «ognuno di noi è ciò che mangiar,, chi sono, oggi, 1 torinesi? Con quale spirito si accostano alla tavola gli eredi degli -inventori, della bagna caoda, del brasato al barolo e del fritto misto? Mangiano soltanto per vivere o nel cibo sanno, invece, trovare quel sottile piacere epicureo che. partendo dallo stomaco, raggiunge la mente e si decanta, nel passaggio da fisico a metafisico, da Sapore a Gusto? Un'occhiata ad alcune recenti guide gastronomiche del nostro Paese rivela una Torino relegata in un grigio limbo culinario. Nessuno, delle centinaia di ristoranti clt-, tadini, che raggiunga l'Olimpo dell'ottimo: uno soltanto che si attesta in una posizione di tutto rispetto, ma non riesce ad attingere alla laurea. E' forse il segno d'un progressivo avanzamento della pallida fettina o dell'asettico surgelato nelle nostre simpatie gastronomiche? La spia d'una dolorosa regressione? I ristoratori torinesi respingono questa ipotesi-limite e difendono il palato dei loro clienti e, di conseguenza, il loro lavoro: «La nostro cucina — afferma uno dei più ricercati chefs europei, titolare d'un locale di corso Re Umberto — è sema dubbio la più ricca d'Italia: un panorama di grandi piatti forti e delicati, un ventaglio ineguagliabile di cibi che vanno dagli antipasti al dolce». Ma di fronte ad una cucina cosi originale, come si comporta il torinese? 'E' quasi sempre un cliente che sa mangiare ed appressa l'esecusione di certe pietanze». Magnifica' la cucina, buongustaio il cliente: dov'è, allora, la ragione di questo declassamento? •Non voglio entrare in polemica parlando di Torino considerata spesso in molti settori una specie di Cenerentola. Diciamo, piuttosto, che è nata una pletora di ristoranti dove' si bada più alla quantità che alla qualità del cibo, locali dove non si fa cucina, ma semplice gastronomia». Di parere opposto lo chef d'un ristorante di corso Turati: «La cucina piemontese a Torino, praticamente, non esiste più. C'erano, una ventina d'anni fa,2o3ristoranti tipici eccesionali, ma oggi la traditone pare spenta, almeno cosi dicono i miei clienti». E aggiunge: «Il torinese in questi ultimi tempi ha imparato di nuovo a mangiare ed un po' di' merito per questa inversione di tendensa me lo prendo anch'io». Qualche cifra. Per lui i clienti dei ristoranti si dividono cosi: «Venti per cento di| super intenditori, 30 per cento di persone che sanno appressare la buona cucina, 50 per cento di gente che vuole solo riempirsi la pancia». Lasciamo la parlata toscana di questo chef per ascoltare quella più larga della titolare d'una famosa trattoria tipica piemontese di via Bellezia: «La cucina della nostra regione è tramontata? Ma neppure per sogno. Diciamo piuttosto che ci sono ristoratori che credono di metter su un locale tipico solo sistemando alla porta una bella insegna in dialetto». Anche a lei la solita domanda: i torinesi sanno mangiare? «Certo, e sanno anche bere. Occorre, però, non prendere in giro né la cucina né il cliente. Esempio: per fare un buon brasato si deve aver pasiensa e lavorare un giorno intero per ottenere un fritto misto come si deve, bisogna lasciare da parte la friggitrice ed usare dieci padelle diverse per i dieci diversi ingredienti. La gente si accorge delle differenze». In questa «tavola rotonda» a distanza fra ristoratori, l'opinione d'un altro cuoco che ha un locale in via dei Mercanti: «Si parla di cucina decaduta, ma è già un discorso superato perché da almeno una decina d'anni la gente ha ritrovato il gusto di certi cibi». E il limbo culinario in cui secondo certe indagini, sembra annaspare Torino? La voce è unanime fra tutti gli intervistati anche dopo la logica ed inevitabile lancia spezzata «prò domo sua» : «Non esageriamo. In una città dove si sa mangiare esistono natural¬ mente fior di ristoranti (cari e meno cari) che meriterebbero d'essere menzionati su qualsiasi guida». C'è anche chi, come la diplomatica titolare d'un locale di via Giulia di Barolo, preferisce l'approvazione dei propri «habitués. ai diplomi da appiccicare sul vetro o da inquadrare in oro: «Anche con un ristorante, modesto e sensa grandi pretese si può lavorare bene rendendo un servigio non solo alla cucina ed al palato del cliente, ma anche al suo portafoglio». Artisti della «haute cuisine», funamboli dell'elaborazione, maestri di mille piatti, artigiani di semplici menù: Torino sembra davvero non essere una provincia culinaria dagli esangui profumi di cibi. Porse anche Epicuro si sarebbe fermato felicemente qualche giorno all'ombra della Mole. Renato Rizzo

Persone citate: Mercanti

Luoghi citati: Italia, Torino