Una lettera dei palestinesi conferma «Sono nostri i lanciamissili di Pifano» di Liliana Madeo

Una lettera dei palestinesi conferma «Sono nostri i lanciamissili di Pifano» E stata presentata dai difensori ai giudici di Chieti Una lettera dei palestinesi conferma «Sono nostri i lanciamissili di Pifano» L'Olp sostiene che gli autonomi stavano consegnando le armi a un suo rappresentante «Abbiamo informato l'ambasciatore italiano a Beirut, che ha riferito al suo governo» Chiesta la citazione di Cossiga come testimone - Il tribunale si è riservato di decidere DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE CHIETI — Una .verità» sui due lanciamissili sovietici trovati in possesso degli autonomi romani Daniele Pifano, Giorgio Baumgartner e Luciano Nieri, rinviati a giudizio insieme con il giordano Abu Saleh, è giunta da lontano e capovolge la versione che gli imputati avevano finora fornito sulla vicenda, chiama in causa 11 governo e l'ambasciatore italiano a Beirut, coinvolge il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, rinvia ad accordi intercorsi in passato fra il nostro paese e l'Olp, troverebbe conferma addirittura in una ricostruzione sul «caso Pifano» fatta in dicembre da un'autorevole rivista inglese che collegava l'episodio allo scandalo delle tangenti Eni. La clamorosa «verità» è contenuta in un documento in lingua inglese, indirizzato al presidente del tribunale di Chieti, che reca la data del 2 gennaio e ha l'intestazione « International relations Committee» del «Comitatocentrale del Fronte popolare per la liberazione della Palestina». L'avv. Mellini, deputato radicale e difensore di Baumgartner, ha consegnato la lettera al tribunale ieri mattina in apertura dell'udienza, la prima dopo l'inizio ufficiale del dibattimento il 17 dicembre Il documento sostiene che i due lanciamissili sono di proprietà dell'organizzazione e inefficienti, stavano transitando in Italia, dovevano essere consegnati ad un palestinese, «già noto al popolo italiano perché in passato ha or- ganizzato raccolte di medicinali per il popolo palestinese». Costui, rottasi l'auto che trasportava la cassa, si rivolse a Baumgartner, che «le organizzazioni palestinesi conoscono perché egli spesso raccoglie medicinali e altro materiale medico per il popolo palestinese dandoci un aiuto umanitario». Gli fu detto solo che doveva trasportare il materiale rotto, nessuno gli parlò di lanciamissili, nessuno chiese nulla né a Nieri né a Pifano, «che non conosciamo direttamente». Secondo la versione del Fronte popolare, a Baumgartner fu chiesto di «prelevare una cassa lungo il tratto finale dell'autostrada Roma-Pescara e di portarla a Ortona». Qui l'avrebbe presa in consegna il palestinese che lo aveva chiamato. Con la vicenda non avrebbero alcun rapporto né Saleh Abu Anzek (che ieri è stato colto da malore in aula) né la nave siriana Sidon che, per gli inquirenti, avrebbe scaricato gli ordigni. Subito dopo l'arresto di Pffano, «fummo contattati dall'ambasciata italiana in Libano alla quale spiegammo tutti gli aspetti della vicenda. Chiedemmo che queste informazioni fossero trasmesse al governo italiano. Alcuni giorni dopo, l'ambasciata ci dette conferma che il governo era stato informato in modo esatto e completo. Desideriamo confermare che siamo e vogliamo rimanere amici del popolo italiano». Questo il documento, che traccia una linea di difesa per gli imputati, e in base al quale i difensori hanno subito chiesto la citazione come testi di Cossiga, dell'ambasciatore italiano a Beirut, di un rappresentante ufficiale del Fronte di liberazione. Il tribunale, dopo una breve camera di consiglio, ha respinto le eccezioni della difesa sulla regolarità del giudizio direttissimo, ma si è riservato una decisione sulle richieste di citazione di testimoni. Nel pomeriggio è cominciato l'interrogatorio degli imputati. I tre hanno saldato insieme la versione originaria con quella «offerta» dal documento. Pifano ha detto di non aver mai visto la cassa, di sapere che si compiva un trasporto di «materiale rotto». Nieri ha confermato il prelievo della cassa sull'autostrada, poi s'è messo alla guida. Baumgartner ha ammesso di aver schiodato la cassa e creduto che contenesse materiale ottico. A Roma, intanto, né conferme né smentite sono giunte dalla Farnesina, dal Viminale, dal governo. Palazzo Chigi ha fatto sapere che «informerà le autorità competenti». Da quanti hanno seguito la vicenda Eni, è stata ricordata invece la rivelazione riportata da La Stampa il 22 dicembre scorso, che fece la «Middle East Newsletter», edita a Londra e di solito molto bene informata sulle vicende medio-orientali. La pubblicazione sosteneva che una parte delle tangenti Eni, il 3,5 per cento, pari a 55 milioni di dollari, andò all'Olp. «In cambio, l'Olp aveva promesso di ritirare il suo sostanzioso arsenale di armi che da anni si trova in Italia e che veniva messo occasionalmente a disposizione dei gruppi di terroristi italiani... L'Olp aveva incominciato a portare via un po' delle sue armi finché a novembre le cose cominciarono ad andare storte quando a Ortona Pifano, leader degli autonomi romani, è stato arrestato con in mano due lanciamissili che doveva caricare a bordo di una nave libanese pronta a salpare per Beiru t». La versione anticipata dalla rivista inglese troverebbe a sua volta un riferimento «storico» negli accordi intercorsi dopo il '73 fra le autorità ita¬ liane e le organizzazioni pale stinesi, per evitare interfe^ renze e attentati sul territorio nazionale. A tali intese fanno riferimento i parlamentari radicali che ieri hanno pre sentato un'interpellanza al presidente del Consiglio per sapere se era stato informato sulle circostanze riferite dal documento presentato al tri bunale di Chieti, se ha verificato le informazioni del Fronte popolare e avvertito l'autorità giudiziaria, «se l'eliminazione di materiale bellico di proprietà del Fronte popolare dal territorio italiano faceva parte degli accordi precedentemente raggiunti dal governo con questa organizzazione e quindi se l'episodio del trasporto dei due missili rientrava nei predetti accordi e cioè se il trasporto era praticamente autorizzato dal governo italiano». Liliana Madeo