Il «grande gioco» nell'Afghanistan di Mario Ciriello

Il «grande gioco» nell'Afghanistan DUE SECOLI DI BATTAGLIE TRA GLI IMPERI RUSSO E BRITANNICO Il «grande gioco» nell'Afghanistan Così gli inglesi chiamarono la lunga partita affrontata per precludere a Mosca «la porta dell'India» - Le loro truppe, alle quali si accodavano avventurieri e temerari guerriglieri, subirono spaventose sconfitte dai ribelli afghani: il 6 gennaio 1842 delle migliaia di soldati britannici in ritirata solò uno sopravvisse - Toccherà ai sovietici rivivere quelle esperienze? DAL N08TR0 CORRISPONDENTE LONDRA — E così, dopo quasi due secoli, la Russia sembra aver vinto il great game, il grande gioco. Rudyard Kipling, oggi, piangerebbe: e con lui tutte quelle generazioni d'inglesi che, in mille modi, con astuzia o con valore, con saggezza o con ferocia, con le armi o con i soldi, impedirono a Mosca di dominare l'Afghanistan. Questo infatti era il great game, un termine sportivo, sfacciatamente inglese, per descrivere una partita geopolitica tra due imperi, il russo e il britannico. Posta del gioco: la signoria di quelle giogaie e di quei passi che portavano all'India e alla Persia e, dall'India e dalla Persia, al Mar Arabico e al Golfo Persico. Il tempo ha trasformato la scena, l'India si è divisa in India e Pakistan, la Persia è divenuta Iran: ma, fondamentalmente, le paure e le ambizioni che determinavano il great game non sono scomparse. Il petrolio le ha anzi ingigantite: due terzi del greggio destinato all'Occi- dente attraversano ogni giorno lo Stretto di Hormuz. Una volta, vietare l'Afghanistan ai russi significava vietar loro l'India e l'accesso ai •mari caldi»: oggi, il great game ha per obiettivo supremo i rifornimenti petroliferi, l'ossigeno dell'economia moderna. Purtroppo, è crollato il baluardo del British Empire e nulla. l'ha rimpiazza to. Nella storia è inutile rimpiangere il passato: ma non è •nostalgia», è realismo dire che la fine di ogni impero lascia pericolosi vuoti che si rivelano talvolta incolmabili. Lo si è visto in Europa, con la caduta dell'impero austro-ungarico. Lo si vede ora nel Golfo Persico e in Asia dove la pax americana non ha certo raccolto tutte le responsabilità sostenute un tempo dalla pax britannica, da quello che era un vero e proprio impero planetario. Questo impero, protetto ovunque dalla Royal Navy, aveva un unico tallone d'Achille, l'India nord-occidentale, la tormentata regione che fascia l'Afghanistan me-. ridionale, ai piedi dell'Hindukush, con il famoso Khyber Pass. Versò il Khyber Pass avanzano adesso iT-72 sovietici. Il giornale russo Novosty diceva nel 1885: «Bisogna assolutamente impossessarsi di Herat, in Afghanistan, e aprire cosi una finestra in direzione Sud-Est. E' una comoda tappa dalla quale muovere poi, con un ulteriore balzo, verso l'Oceano Indiano, a realizzazione del destino storico della Russia». Era dall'alba del 1800 che i russi marciavano verso l'Afghanistan, abbattendo Stati indipendenti come Khiva, Khokand e Bukhara (l'antico emirato di Bukhara diveniva nel 1924 una repubblica sovietica). L'Afghanistan, dunque, era la scacchiera del great game. Ben tre afghan wars, guerre afghane, ha combattuto l'Inghilterra per precludere a Mosca questa, •porta dell'India»: guèrre tremende, feroci ma dimenticate. Forse le cominciano a ricordare oggi i russi, che più si allontanano da Kabul più trovano resistenze, più perdono uomini. E' una storia che gronda sangue, quella dell'Afghanistan, una nazione che potrebbe avere per motto nemo me impune lacessit. Xenofobia e un ribellismo congenito si fondono creando una miscela esplosiva che distrugge leaders locali e invasori stranieri. La prima •guerra afghana», quella tra il 1838 e il 1842, ne offre l'esempio più tragico. Gli inglesi entrarono in Afghanistan per detronizzare un leader che pareva disposto a cedere alle pressioni moscovite: ma l'impresa li distrusse e perirono, tutti meno uno, in una delle più spaventose ritirate della storia militare. L'emiro che aveva avviato' con i russi quello che chiameremmo oggi un •dialogo» si chiamava Dosi Mohammed. Forse le ansie britanniche erano eccessive, dopotutto non era apparsa a Kabul che una •missione» russa: ma Mosca spalleggiava pure gli attacchi persiani contro la fortezza afghana di Herat e premeva in varie direzioni. Il 10 dicembre 1838 il corpo di spedizione anglo-indiano — The Army of the Indus — lasciava l'India per l'Afghanistan. Erano circa 15 mila soldati, accompagnati da 30 mila cammelli e da non meno di 38 mila camp followers, le due parole con cui gli inglesi descrivono tutti coloro che si accodavano un tempo alle formazioni militari. Una vera moltitudine. Una moltitudine bizzarra e babelica. Fabbri, maniscalchi, sellai, armatoli, sarti, lavandai, cuochi, stallieri, tutti con le mogli e spesso con i bambini,.le zie, i cugini e i nonni: una schiera di prostitute, varie migliaia, confluite da tutta l'India, e scortate dalle famiglie e da amici. Saltimbanchi, pagliacci, commedianti, musicanti, cartomanti, venditori di tappeti e di acqua, di immagini religiose e di •tonici miracolosi». Poi gli avventurieri, di molti Paesi, i cacciatori di fortuna, i biscazzieri e i bari e gli yellow boys, i ragazzi gialli, una banda •privata» di temerari guerriglieri al servizio dell'anglo-indiano James Skinner. Il 6 agosto 1839, gli inglesi entrano a Kabul, v'insediano 11 loro protetto, Sha Shuja. Dost Mohammed fugge, è accolto dall'emiro di Bukhara che subito però l'imprigiona. La pace era breve, durava meno di un anno: poi cominciavano gli attacchi, le imboscate, gli assassini. I fanatici musulmani chiamati ghazi e gli uomini della tribù Ghilzai impedivano agli inglesi di occupare stabilmente i valichi tra Afghanistan e India (più a Nord, l'emiro di Bukhara, Nasrullah <il folle», faceva .decapitare il capitano Arthur Conolly, inventore dell'espressione the great game. Conolly aveva cercato di ottenere la liberazione del colonnello Charles Stoddard, che con lui veniva invece decapitato). Unico successo: Dost Mohammed ricompare a Kabul, si arrende, è esiliato in India. Il 2 novembre 1841, una fol- la assaliva la British Residency e trucidava a coltellate il resident (il rappresentante di Londra) sir Alexander Burnes e il fratello. Due giorni prima di Natale, sir William MacNaghten, il ministro plenipotenziario presso la corte, tentava di avviare un negoziato di pace con il figlio di Dost Mohammed, Akbar Khan, che invece lo attirava in una trappola: e lo ammazzava. Il cadavere mutilato di sir William, appeso a un gancio, penzolava per giorni in una macelleria del bazar. Gli inglesi decidevano di abbandonare l'Afghanistan: e il 6 gennaio 1842, 4500 militari britannici e indiani più 12 mila camp followers lasciavano Kabul. Non fu una ritirata, fu un inferno. Le colonne avanzavano tra la neve, nella tormenta, attraverso i valichi, mentre i tiratori afghani le decimavano dalle alture e l cavalieri le dilaniavano con cariche improvvise, fulminee. Muoiono donne e bambini, soldati e ufficiali (gli ultimi cinque assassinati in un villaggio), muoiono di freddo o di fame, di arma o di disperazione. Muoiono tutti gli inglesi, uno soltanto si salva, il medico militare Brydon. Giunge il 13 dicembre al primo forte inglese, a Jalalabad. E' uno spettro, curvo sul suo pony sanguinante. Gli afghani lo avevano inseguito fino a poche miglia dalle mura, si era difeso a sciabolate, spezzatasi la lama aveva scagliato l'elsa contro l'ultimo nemico. A Jalalabad, dove si ignorava la tragedia, il colonnello Dennie, giubilante, indica la remota figura di Brydon e grida: «Tutto bene, ecco la staffetta». Gli inglesi tornavano a Kabul pochi mesi dopo, invocavano vendetta. U loro protetto, Shah Shuja, era stato ucciso: imponevano un nuovo regime e per alcuni anni riuscivano anche a imporre la propria volontà. Ma, nel 1878, l'emiro Shir Ali Khan riceve una missione russa e ne re-, spinge una britannica. Se-, conda •guerra afghana», chedura dal 78 all'81, con nuove e spietate lotte (nel 79, è assassinato l'ambasciatore inglese a Kabul). I britannici •lasciano sul trono un sovrano abile e forte, Abdorrahman, sotto il cui regno è tracciata la •linea Durand», la frontiera tra Afghanistan e India. La terza guerra, dal 3 maggio al 9 agosto 1919, è in realtà un successo afghano, ne consacra l'indipendenza dall'India inglese. . Esauritosi militarmente, il great game continuava diplomaticamente, ma dopo il 1950 la capacità britannica d'influenzare gli eventi scemava con rapidità. Oggi è l'Occidente tutto che deve giocare il great game, perché la posta è ancora più preziosa e vitale. I russi frattanto dovranno rivivere in Afghanistan molte delle esperienze inglesi, due loro fanti sono già stati scorticati vivi. Elicotteri e altri moderni armamenti li renderanno meno vulnerabili, ma non sarà mai un'occupazione facile. Uno storico inglese che anni fa ripercorse la strada della spaventosa ritirata del 1842, chiese a vari capitribù: «Cosa accadrebbe se vi invadesse un altro esercito straniero?». Risposta: «Lo stesso». Mario Ciriello