Bonn, i fiduciari del dialogo con l'Est di Frane Barbieri

Bonn, i fiduciari del dialogo con l'Est L'ALTERNATIVA DELLA FINLANDIZZAZIONE E' APPLICABILE IN EUROPA? Bonn, i fiduciari del dialogo con l'Est Tali sì definiscono i socialdemocratici tedeschi - Difendono la nuova «Ostpolitik» del cancelliere Schmidt dall'accusa demo- _ cristiana di portare il Paese aU'autofinlandizzazione - Dicono: «Noi e la Francia siamo stati costretti a renderci autonomi dalla tentennante politica americana» - Non rinunciano aU'«ombrello» protettivo Usa, ma rocchio è rivolto alla riunificazione DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE BONN —Sarà ancora valida la sentenza di Nietzsche: «Fra 1 tedeschi la domanda che cosa sia la Germania rimane senza una risposta»? Me lo chiedo sentendo le interpretazioni dei rappresentanti degli schieramenti politici opposti. Secondo i democristiani, oggi risulta più che mai evidente quanto gli accordi firmati da Brandt nello slancio della prima Ostpolitik fossero stati «la più grande vittoria dell'Urss»; da una parte avrebbero riconosciuto irrevocabilmente i confini scaturiti dalla guerra, compresa la spaccatura della Germania, mentre dall'altra avrebbero ottenuto concessioni ritrattabili e per molti versi già ritrattate. Per i socialdemocratici, al contrario, i trattati avrebbero reso permeabile il muro d'acciaio che divideva le due Germanie e le due Europe. Una permeabilità in ambedue le direzioni o in una sola? Questo il dilemma, che riguarda già i giudizi sulla nuova fase della Ostpolitik, quella sviluppata dal cancelliere Schmidt. Il deputato Alois Mertes. specialista in politica estera della Cdu. non ha dubbi: «La nuova Ostpolitik ci porta alla autofinlandizzazione». A sostegno del suo verdetto mi racconta un'esperienza personale. Tempo fa Mertes fece parte della delegazione del Parlamento tedesco in visita al Soviet Supremo dell'Urss. Durante i colloqui Leonid Zamiatin, stretto collaboratore di Breznev, ha esposto un curioso concetto dei rapporti tra Bonn e Mosca: l'Urss sa benissimo che la Germania federale è legata agli Usa nelle questioni della sicurezza, però allo stesso tempo mette in rilievo che Bonn collabora con Mosca nelle questioni inerenti la limitazione degli armamenti. Mosca considera realisticamente i legami di Bonn nell'alleanza occidentale, bencìié faccia presente che non esiste il tanto proclamato pericolo dall'Est per la Germania federale, il che sarebbe riconosciuto ormai anche dai socialdemocratici tedeschi. Nell'attuale fase di distensione tra Est e Ovest la Repubblica federale dovrebbe controbilanciare e completare i propri legami di sicurezza verso gli Usa con un particolare rapporto di amicizia con l'Urss. Mertes cosi interpreta la portata della proposta di Zamiatin: «Ciò significa che la Germania federale dovrebbe, nel quadro del cosiddetto blocco americano, sostenere le proposte dell'Urss e spiegare ai propri amici occidentali la natura difensiva della potenza d'urto sovietica». Un'ipoteca Secondo Mertes (mi chiede se queste tesi non riecheggino quelle da me sentite a Helsinki) la nuova Ostpolitik di Schmidt segue per sommi capi la linea suggerita dai sovietici. Pensa davvero che la Germania e l'Europa, per la loro forza non paragonabili alla Finlandia, possano accettare un'ipoteca sovietica del genere? «Non penso che Mosca aspiri a trasformare l'Europa in un proprio satellite. L'Urss si sente accerchiata. Punta sull'Europa per rompere l'accerchiamento. Non le interessa in primo luogo sovvertire l'ordinamento democratico e l'economia capitalistica. Le interessa spaccare l'Occidente, estromettere gli Usa dal continente europeo. Vuole un'Europa ricca, ma debole allo stesso tempo per far si che nella politica dei governi europei gli interessi sovietici siano sempre considerati al primo posto. Tutte le guerre contro la Russia sono sempre partite dall'Europa e Mosca ora vuole controllarla, offrendole anche dei vantaggi economici. Proprio come ha fatto con la Finlandia». Non crede in un condizionamento nel senso opposto. l'Europa industriale che fa scattare le riforme nel sistema sovietico? Mertes non ci crede e dà le colpe ai socialdemocratici per il fatto che credono fin troppo in questa ipotesi. Un giudizio più tagliente sulla Ostpolitik della Spd lo sento dal capo editorialista del Die Welt. Mi mostra un'intervista in cui hanno chiesto a Egon Bahr se sarebbe pronto a offrire aiuti agli oppositori nei Paesi dell'Est alla stessa maniera in cui auspica die siano dati ai movimenti di liberazione africani. Il ministro socialdemocratico ha detto di no, sostenendo che l'aiuto ai dissenzienti nei Paesi comunisti metterebbe in pericolo la pace, mentre in Africa non si corre un simile pericolo. Perciò il mio interlocutore aggiunge: «Ecco la chiave per capire la condotta dei socialdemocratici. La Spd sa che le società all'Est sono un disastro e che la gente vive oppressa. Però i socialdemocratici credono che in assoluto il socialismo sia migliore del capitalismo. Di conseguenza puntano sulla trasformazione del deteriore socialismo burocratico e autoritario in un socialismo democratico, considerando che il capitalismo in nessuna versione può essere buono e valido. Arrivano a dirci, lo stesso Bahr, che abbiamo molte cose da imparare dalla Ddr. Nella Spd sono convinti che il crollo del sistema sovietico comporterebbe una catastrofe. La sostituzione di un socialismo burocratico con una forma moderna di capitalismo e di libertà per loro risulta antistorica. Vogliono, aiutare l'Urss e non sfruttare le sue debolezze. Così finisce che pure la campagna per i diritti umani lanciata da Washington risulta contraria agli interessi della pace. O, per assurdo, la comprensione dei tentativi che fa Mosca per domare la dissidenza diventa una politica di difesa dei diritti umani». Di fronte ai sintomi di un'aumentata sensibilità nei confronti delle esigenze di Mosca si prospetta un'altra ipotesi: quella cioè che parallelamente a un distacco politico e psicologico degli europei, anche gli Usa trovino dei motivi per distanziarsi dall'Europa. Sostiene infatti un autorevole esperto in strategìa, Weinstein: «Oggi la politica della sicurezza è la politica del terrore. La comoda impressione che l'Europa possa vivere nell'ombra della potenza di terrore americana non è più giusta. Il terrore «Il terrore finora prodotto in Occidente, spiega Weinstein, risulta pericolosamente diminuito come fattore di sicurezza e di dissuasione. In gran parte per i disguidi degli europei. Gli Usa penseranno in primo luogo a se stessi. L'Urss ha acquisito un vantaggio psicologico. L'indecisa e tentennante accoglienza in Europa dei piani americani potrà avere come effetto un allontanamento degli Usa. Si prospetta una graduale deamericanizzazione e di conseguenza una graduale finlandizzazione dell'Europa». Affrontiamo, a questo punto, la pessimistica ipotesi con uno degli «imputati»: il professor Horst Ehmke, autorevole esponente della Spd. una specie di ministro degli Esteri ambulante del partito socialdemocratico, fautore di molti intrecci intereuropei e intertedeschi, personaggio chiave degli allacciamenti tra la socialdemocrazia tedesca e gli eurocomunisti, particolarmente il pei. Dunque, le apparenze ingannano o si verifica davvero una spaccatura nella politica occidentale? Un distanziamento va attribuito alla condotta americana o ai ripensamenti e alle tentazioni degli europei, tedeschi in primo luogo? Risponde Ehmke: «Il fattore decisivo per quello che sta succedendo in Europa è lo stato quasi catastrofico della polìtica americana. Gli europei e i sovietici sono diventati incerti sui passi che Washington potrà intraprendere. La campagna elettorale non migliorerà di certo le cose. Noi e i francesi ci siamo trovati costretti a prenderci un'autonomia nei confronti dei tentennamenti della politica americana. Speriamo anche di poterla influenzare: ci sentiamo fiduciari della distensione. Tenendo in conto che alla debolezza della Casa Bianca fa riscontro anche una debolezza del Cremlino, temiamo che si possano verificare fatti che finirebbero 'col gravare sull'Europa. Non si tratta di un nuovo orientamento nella politica europea o tedesca, ma di un tentativo di mantenere salda la linea che consideriamo ragionevole nelle condizioni di gestione politica, fra Washington e Mosca, estremamente incerte». Osservo: da quanto mi sta dicendo traspare comunque una censura europea nei confronti della strategia americana. Nasce forse da qui l'ipotesi finlandese, di un'Europa, cioè, die, osservando le esigenze di sicurezza dell'Urss, accetta il ritiro degli americani dal continente, ponendosi in una posizione di proficua neutralità, e prendendo il ruolo di partner preferenziale di Mosca. Ribatte Ehmke: «L'ipotesi può essere anche giusta, ma il problema è che ora non funziona. L'Europa non si convince che la sua indipendenza possa reggere senza la garanzia americana. Anche se consideriamo i motivi della politica sovietica in Europa come difensivi, ispirati alla sicurezza, occorre tener presente che Mosca tuttora stenta a dominare la situazione scaturita dalla guerra. In Polonia c'è una situazione esplosiva. Nella Ddr aumenta il rancore antisovietico. Le reazioni sono imprevedibili, Perciò l'Europa non può porsi in una situazione in cui eliminando gli americani, sì troverebbe in balìa della buona volontà dell'Urss. Questo non lo farebbe nemmeno Berlinguer». Cerco di capovolgere l'ipo tesi: «Non va forse presa in considerazione la possibilità che Washington, di fronte al distanziamento critico degli europei, si distacchi a sua volta dall'Europa? Tanto, per molti aspetti economici e strategici, la può considerare più che complementare come una concorrente nel Terzo Mondo, per esempio in Cina, ma anche nell'Urss». Ehmke: «Bisogna rendersi conto che molte cose sono cambiate nei rapporti globali. La Comunità europea è oggi la più grossa potenza economica del mondo, superiore agli Usa e all'Urss. L'Europa ha le possibilità di allacciarsi prima degli altri al Terzo Mondo. Tuttavia, non vedo motivi validi per un di¬ stacco. L'Europa è il maggior consumatore dei prodotti agricoli americani. Gli Usa hanno un bilancio positivo con l'Europa. D'altro canto, il dollaro mantiene il suo valore per merito nostro e non per quello degli americani. Lo facciamo perché non esiiste un'altra valuta internazionale. «Senza il nostro appoggio. continua Ehmke, il dollaro crollerebbe e il marco salirebbe alle stelle. Non gioverebbe a nessuno. Per gli Usa, staccarsi equivarrebbe al suicidio. D'altro canto, noi ieuropei siamo tuttora convinti che senza una protezione intercontinentale americana saremmo troppo deboli Idi fronte all'Urss. Perciò l'alleanza rimane in piedi. Nel suo quadro, però, aumenterà di molto il peso e l'influenza; dell'Europa». E in Europa aumenterà il peso della Germania? Risponde: «Noi tedeschi possiamo formulare gli interessi dell'Europa solo insieme con gli europei. Noi risultiamo una potenza economica e militare soltanto finché i nostri vicini europei saranno disposti ad accettarci come tali. Come oggi stanno le cose in Europa, i tedeschi non possono difendere i propri interessi nazionali senza difendere gli interessi europei». Tuttavia, obietto, c'è qualche differenza fra la Germania e gli altri europei in quanto la sorte di una parte della nazione tedesca dipende da Mosca. Si dice d'accordo: «Dobbiamo essere coscienti che noi tedeschi dobbiamo essere interessati ai buoni rapporti con l'Unione Sovietica, in quanto anche se Mosca non potrà risolvere da sola la questione tedésca, la soluzione storica dipende dalla decisione di Mosca». A questo punto dopo la peculiarità dei rapporti fra Bonn e Mosca, salta fuori finalmente anche la visione dei socialdemocratici sull'evoluzione della questione tedesca nel quadro dell'evoluzione del socialismo nel continente. Ecco la formula di Ehmke: «Come la dimensione internazionale della questione te¬ desca e della questione europea in generale si chiama distensione, cosi la sua dimensione interna si identifica con le riforme. Le riforme sociali non sono necessarie soltanto all'Occidente. Esse sono necessarie all'Est come la pioggia dopo la siccità. Noi dobbiamo muoverci avanti verso un socialismo democratico. L'Est deve ancora imboccare la strada della riforma di un regime burocratico dittatoriale in un socialismo umano. La storia futura della Germania non si potrà concepire senza una futura evoluzione del socialismo. E qui entriamo infine nel campo dell'eurocomunismo ». Se non di fronte alla finlandizzazione, ci troviamo senza dubbio di fronte a una germanizzazione delle prospettive europee. Ovviamente non è la stessa cosa, ma non promette nemmeno di lasciare inalterato l'assetto del continente. Frane Barbieri