Il ministro ha detto la verità? di Vittorio Gorresio

Il ministro ha detto la verità? Taccuino di Vittorio Gorresio Il ministro ha detto la verità? Abbiamo cominciato questo 1980 all'italiana, politicamente parlando. E' bastato che un ministro — il professor Massimo Severo Giannini — si sfogasse nel corso di un'intervista concessa ad Arturo Motti del settimanale Oggi perchè tutta la scena nazionale si animasse in un largo dibattito, inconcludente come tanti altri ma comunque ricchissimo di spunti giuridico-costituzionali, patriottici, moralistico-culturali e populistici. E' veramente il nostro genere, è il modo in cui crediamo che si faccia polìtica: «Rispecchia un po' lo stato di confusione in cui versa l'Italia, ha detto il corrispondente romano del Financial Times di Londra, Paul Betts. Anche se la situazione è molto seria gli italiani hanno la tendenza a drammatizzarla oltre il necessario. Invece di eccitarli con polemiche furiose e poco costruttive sarebbe invece il momento di mantenerli calmi». Ma il nostro genio nazionale è diverso. Poiché il ministro Giannini parlando a' settimanali, a quotidiani e alla Tv, ha detto cose che tutti sanno e tutti pensano circa lo stato del Paese e 11nefficienza delle istituzioni, ed è arrivato a confessare il suo proprio rimpianto di non essere andato all'estero per vivere sereno e più tranquillo, un'onda anomala di patriottismo si è abbattuta imprevista su di lui: «Ma milioni di italiani non se ne, vanno», gli ha obbiettato il Corriere della Sera. «Perché Giannini non va a Ca-r racas?», è stato il titolo di un editoriale della Repubblica che aveva il tono di una sfida. Dando un esempio di lodevole buona volontà, Camilla Cederna ha dichiarato al Messaggero: «L'Italia va a rotoli? Ecco un motivo di più per restarci». Più furioso di tutti, Fabio Mussi, responsabile della stampa e propaganda del pei: «La situazione del Paese è resa più grave dalla presenza di imbecilli come Giannini. Se dipendesse da me, io manderei all'estero subito». E questo è stato il patriottismo insorgente e resistenziale. E' seguita difatti un 'altra raffica di condanne a Giannini per aver egli detto che in Italia ormai siamo alle soglie del qualunquismo diffuso. Ha dovuto di- fendersi: «Non sono io il qualunquista della situazione, non può essere qualunquista uno che come me si è formato alla scuola di Pertini il quale è stato il mio maestro e comandante partigiano». Però lo stesso Pertini gli ha mosso un accorato rimprovero per la intervista data a Oggi. E' apparsa come una bacchettata del Presidente della Repubblica sulle dita di un ministro colpevole di uno sgarro politico, e Giannini ha tentato di difendersi malamente: «Ho l'impressione che l'amico Pertlni sia stato preso da un momento di rabbia e ne^ono molto dispiaciuto». ISubito l'Unità lo ha rimbeccato affermando che a, Per tini non è lecito attribuire impulsi rabbiosi, ma anche attorno all'interven-* to del Presidente della Repubblica non sono mancate le polemiche in questa prima settimana dell'incipiente 1980. Sono scesi in campo i giuristi a discettare sulla legittimità della deplorazione del Quirinale. Costituzionalmente, come si è letto in una nota della segreteria del pri, «Spetta al presidente del Consiglio valutare fino in fondo il caso Giannini». Anche l'ex presidente della Corte Costituzionale Paolo Rossi ha espresso la sua ponderata opinione:: «Capisco, ha detto, che il Presidente della Repubblica si sia sentito colpito dalle affermazioni di Giannini. Però non è il capo dello Stato che revoca o concede la fiducia». Torto o ragione che abbia avuto Giannini a dir la sua, il Presidente della Repub¬ blica non era dunque, strido jure, intitolato a replicare. C'è sempre molto da imparare ad ascoltare i giuristi^ per concludere la rassegna delle opinioni formulate sul caso citerò ancora il sottile ed elegante dibattito culturale che si è svolto tra Giannini e Lucio Caracciolo della Repubblica, per stabilire una buona volta se l'Italia di oggi sì possa o no paragonare all'antico regno di Pergamo, centro dell'arte e della filosofia del suo tempo, lasciato dall'ultimo monarca, Attalo III, in eredità all'impero romano. Dibattito molto istruttivo, sema dubbio, sebbene un poco divagante: le accuse di Giannini erano di ben altra natura, ma nella loro sostanza, nel loro merito effettivo, non è entrato nessuno dei cento polemisti mobilitatisi fra il Capodanno e la Befana. Giannini aveva detto che nel governo e nel Parlamento ci sono persone degnissime, gente di prim'ordine. fior di competenti volonterosi e onesti, ma che ciononostante il nostro sistema politico non funziona. Che non funzioni tutti lo sappiamo e secondo Giannini, costituzionalista di vaglia, la colpa è dei partiti. Questi dovrebbero essere, come i sindacati e la pubblica amministrazione, «produttori di idee». E invece non ne hanno, addirittura mancano di una linea politica: «I rappresentanti di uno stesso partito, si è lamentato questo ministro scomodo, mi dicono una cosa nella commissione Bilancio, un'altra nella commissione Affari costituzionali, e un'altra ancora nella commissione Sanità. Allora, mi domando, qual è la linea del partito?». Sappiamo che i partiti pensano a altro che a darsi una linea e che è questo il malanno del sistema. Ma se per caso accade che un ministro desolato o intemperante scoperchi la marmitta dove bolle la nostra pubblica inefficienza, ecco furor d'inchiostri e fulmini di parole in nome della patria, del popolo, del diritto e della cultura. Ma ha detto, o no, la verità il professor M. S. Giannini? Nessuno coglie la domanda, noi discutiamo di politica comodamente adagiati sulle nuvole, e le stelle, se vogliono, stanno a guardare.

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