Il tiranno non abita più qui
Il tiranno non abita più qui Un'antologia sui veri rapporti tra il regista e l'attore Il tiranno non abita più qui Il signore della scena, Introduzione e cura di Maria Grazia Gregori, ed. Feltrinelli, pag. 240, lire 5000. Ecco come si può ricostruire la genesi e documentare la progressione in atto di uno dei problemi cruciali del teatro d'oggi, il rapporto attoreregista, in termini di assoluta concretezza, di esemplare chiarezza, restando, quel che più conta, sotto le fatidiche duecentocinquanta pagine. Maria Grazia Gregori, docente e critica teatrale militante, ha scritto questo libro con i suoi allievi della scuola del Piccolo di Milano, nel senso che lo ha sperimentato con loro nel vivo della pratica di¬ dattica (i libri di studio dovrebbero nascere tutti cosi, a scuola prima che per la scuola). Voleva spiegare loro (futuri interpreti o insegnanti, a loro volta) come erano andate le cose tra i due fratelli-rivali della scena novecentesca. Uno era stato davvero 11 tiranno, il demiurgo, di cui spesso si favoleggia? L'altro era stato realmente sottomesso, plagiato addirittura? Invece di vuote, astratte teorizzazioni la Gregori ha preferito far parlare almeno alcuni protagonisti, ma non attraverso brani risaputi e in qualche modo canonizzati, ma nelle pieghe più riposte e gelose della loro riflessione drammaturgica. Ed ecco allo¬ ra Dullin, Tairov, Radlov e Reinhardt, cioè quattro pretesi despoti della drammaturgia novecentesca, spiegarci il modo duttile, sfumato con cui rivendicano all'attore tutto il suo insopprimibile magistero critico, altroché pretendere di soffocarlo o reprimerlo (di Radlov, un eccellente allievo di Mejerchol'd, sono queste, che io sappia le prime pagine a comparire in italiano) ! Poi ci sono tre lunghi saggicerniera tra il passato prossimo e l'inquieto, contraddittorio presente, due firmati da Franco Quadri e Roberto De Monticelli, cioè dei due critici più colti e sensibili, sul fronte rispettivamente della ricerca e di una intelligente tradizìo- ne: e uno di Bernard Dori, l'osservatore più attento e partecipe della scena europea da Brecht a oggi. Più che dare risposte o tracciare consuntivi, sono tre saggi che sollevano domande: ma, anche qui, con proprietà di linguaggio e grande empiria di riferimenti. Le risposte, del resto, ci sono nelle nove interviste della Gregori ad altrettanti protagonisti nostri contemporanei: cinque italiani (Strehler, Ronconi, Eduardo, Bene, Barba — a proposito, è ancora pugliese o è ormai cittadino della libera Danimarca?), quattro stranieri (Brook, Chéreau, Stein, Schall). La ricchezza di precisazioni inedite, che si può mettere a profitto dalla lettura di questi [dialoghi fitti fitti è sorprendente (l'intervista a Schall, il genero di Brecht e primattore del Ber liner, è la più inattesa: tutto documenta meno che un'idea di Teatro di Regime). Una sola, sommessa obiezione alla curatrice: questa (come avrebbe osservato ventanni fa qualche buon Insegnante universitario dinanzi a certe nostre giovanili ricerche dichiaratamente «partigiane») è una storia tutta e soltanto di grandi personalità. Ma se la Gregori avesse percorso lo stesso itinerario sul versante dell'anonimato — studiando cioè i rapporti del regista non leader con l'attore senza particolare pedigree — che risultati ci avrebbe proposto? Guido Davico Bonino
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