Catturati «pezzi da novanta» nella retata contro la mafia di Enzo Laganà

Catturati «pezzi da novanta» nella retata contro la mafia Reggio Calabria; gli interrogatori dei 78 arrestati Catturati «pezzi da novanta» nella retata contro la mafia osunusraecrmnenea provincia calabrese: 84 omicidi, tre scomparsi e 90 tentati omicidi REGGIO CALABRIA — Si procederà con il rito sommario nei confronti dei centoventi imputati di associazione per delinquere a sfondo mafioso per i quali la procura della Repubblica di Locri ha emesso altrettanti ordini di cattura. Per accelerare i tempi, e quindi sperare di poter dare inizio al processo nella prossima primavera, il sostituto procuratore dott. Ezio Arcadi ha già iniziato gli interrogatori dei 78 mafiosi arrestati. I centoventi della mafia ionlca-reggina appartengono a cento cosche delle quali i carabinieri hanno scoperto la composizione individuandone legami e «rapporti d'affari». Anche i magistrati sono convinti che questa volta non si è colpita, come spesso finora, la sola manovalanza del crimine, ma si è andati ben più su, tanto che sono finiti dentro addirittura «pezzi da novanta», i cosiddetti imprenditori dal troppo facile arricchimento con attività tutt'altro che lecite e comunque coinvolti nel riciclaggio di denaro sporco frutto dei quaranta seque- stri di persona che i carabinieri attribuiscono in diversa misura ai centoventi denunciati. Solo che, al di là dell'imponente «blitz» che ha inferto senza dubbio un duro colpo alla mafia della Locride, permane diffuso lo scetticismo sulla estinzione del grave fenomeno sociale che affligge la provincia di Reggio, come dimostrano 1 sintetici dati consuntivi dello scorso anno: 84 omicidi e tre scomparsi (un record nazionale assoluto); 90 tentati omicidi, 486 attentati a scopi estorsi vi. Dice il giudice istruttore del tribunale di Palmi, dott. Augusto Di Marco: «C'è una carenza dello Stato preoccupante; tutti gli apparati statuali in Calabria sono carenti. Il problema è politico perché ci vuole una lotta unitaria di tutte le componenti sociali per combattere, non dico per sconfiggere, la mafia». Invece lo Stato è assente anche nelle sue componenti più specializzate in questa azione contro la delinquenza organizzata. Ci sono stazioni dei carabinieri, soprattutto nelle zone più mafiose della provincia, dove i militari sono appena tre, e quindi l'attività di polizia giudiziaria è limitata ai casi più clamorosi e comunque resta legata a fatti isolati non visti in un assieme o in una continuità di delitti. Carenti anche gli organici della magistratura, specialmente a livello periferico. Basti pensare che di tutte le otto preture del circondario di Palmi, solo una è coperta. Ma questo non è, stando agli esperti, che uno, e non il principale, degli aspetti del propagarsi del fenomeno mafioso. Al convegno promosso dalla Regione Calabria qualche anno addietro e che è rimasto un episodio politico isolato (la speciale commissione regionale per una indagine sul fenomeno mafioso in Calabria non ha svolto in quattro anni neppure una seduta!), si indicarono altre cause ritenute determinanti per l'impotenza nella lotta alla mafia. Tra queste, in primo piano, la mancanza di controlli sulle attività e soprattutto sul patrimonio del singoli. Anche nel processo svolto un anno fa a Reggio Calabria a carico di sessanta mafiosi o presunti tali, fu messo in evidenza come il segreto bancario, assieme al ricorso a comodi prestanome costituisca una trincea pressoché invalicabile dietro la quale ci sono il riciclaggio di denaro sporco e connivenze con la pubblica amministrazione che, quasi sempre e ovunque, sia pure in forme apparentemente ortodosse, favorisce i nuovi appaltatori che altri non sono che mafiosi o loro «uomini di paglia». Proprio queste connivenze restano ancora oggi — nonostante l'ultimo colpo che carabinieri e magistratura hanno inferto con i centoventi ordini di arresto — il nodo inestricabile nel quale si nasconde la chiave di volta del propagarsi del crimine organizzato in provincia di Reggio. Lo stesso dott. Di Marco, ma prima di lui lo hanno fatto altri suoi colleghi, ricorda la sentenza di rinvio a giudizio del giudice Cordova, e la sentenza del tribunale di Reggio nelle quali erano affiorati aspetti che andavano approfonditi, come quelli relativi alila gestione dei sub-appalti nella zona di Gioia Tauro. Qui lo Stato ha speso centinaia di miliardi per infrastrutture pressoché inutili, dopo la decisione di non realizzare più il quinto centro siderurgico. Una grossa fetta di. questo denaro è finita nelle tasche delle organizzazioni mafiose che hanno imposto la loro legge e i loro prezzi. Legge e prezzi che tutti sanno, ma che fingono di ignorare. Soprattutto a Roma. Enzo Laganà

Persone citate: Augusto Di, Cordova, Di Marco, Ezio Arcadi