La materia vivente in continua riparazione di Francois Jacob

La materia vivente in continua riparazione Lo scienziato del giorno: Jacob La materia vivente in continua riparazione I titoli dei libri di Francois Jacob mi paiono raccordarsi con perletta continuità alle idee centrali delle sue ricerche in laboratorio. «La logica del vivente», poi «Evoluzione e bricolage-, adesso «Il gioco dei possibili-, uscito in questi giorni a Parigi, editore Fayard. Fu in efletti la logica del vivente la vera protagonista della teoria della regolazione genetica, sviluppata da Jacob in stretta collaborazione con Jacques Monod e André Lwoff e che valse ai tre biologi del Pasteur il premio Nobel per la medicina e fisiologia. Jacob e Monod «scoprirono» resistenza di alcuni componenti essenziali della funzione genetica nei batteri. Metto scoprirono tra virgolette, in quanto allora, nel 1961, questi componenti nessuno li aveva mai visti, nemmeno Jacob e Monod. Si trattava di «esseri di ragione», di entità postulate sulla base della pura deduzione teorica, sulla base, appunto, della logica del vivente. Proprio a Francois Jacob si deve la scoperta dei messaggeri genetici, i cosiddetti mDNA. molecole caratterizzate da una vita media talmente breve da sfidare, allora, ogni metodo di cattura e di visualizzazione. Oggi, grazie a tecniche adeguate, li si possono addirittura fotografare al microscopio elettronico. Agli inizi degli Anni Sessanta, comunque, erano solo degli «ètres de raison». La logica del sistema, inesorabilmente, ne suggeriva l'esistenza. Lo stesso si può dire del «repressore», un vero e proprio interruttore molecolare, capace di attivare o di bloccare in modo molto specifico certi geni. Si calcolò che potevano esserci, tutt'al più. due o tre di queste molecole in ogni cellula batterica. Isolarle, metterle in provetta era in quegli anni un'utopia. Eppure Jacob e Monod, sempre fedeli alla logica ferrea dei meccanismi studiati, non esitarono a postulare l'esistenza del repressore. Alcuni anni dopo, grazie ad esperimenti tra i più sottili ed ingegnosi della storia delle scienze di questo secolo, Walter Gilbert e Mark Ptashne dimostrarono che Jacob e Monod avevano visto giusto, avevano letteralmente visto, ma con l'occhio della mente, l'ago in un pagliaio grande come una cattedrale. In tempi più recenti, il professor Jacob si è occupato di embriologia, mettendo tra l'altro in evidenza dei gruppi molecolari o «antigeni» che affiorano sulle membrane delle cellule nei primi stadi della vita fetale e poi scompaiono, salvo a ricomparire di nuovo in certe forme tumorali. Fenomeni come questo rimettono un po' in discussione la razionalità, o meglio, la ottimalità delle strutture viventi. Questi antigeni fetali, affioranti e immergenti in specie diversissime, sono degli invarianti, delle strutture comuni, ancestrali. Essi. tradiscono allo stesso tempo una straordinaria persistenza, un'inerzia delle forme biologiche, e una incessante riutilizzazione del vecchio in contesti nuovi. La logica del vivente, sottolinea da alcuni anni Jacob, non è quella lucida e efficiente dell'ingegnere, bensì quella approssimativa e pasticciona del bricoleur. La candela non è l'antenata della lampadina elettrica, ci ricorda Jacob in una recente intervista a L'Express. Non è rimaneggiando una candela, migliorandola e perfezionandola che Edison inventò la lampadina. L'evoluzione tecnologica può ripartire da zero, o da tutt'altre strade, per realizzare certe funzioni Invece in biologia ogni lampadina è. per necessità, la di¬ scendente di una qualche candela. Il «gioco dei possibili» si limita a una variazione di quanto già esiste, cosi come esiste. L'evoluzione del vivente è opera di improvvisazione, di tentativi, di rabberci, di latta-filo-e-colla {tinkering). Da qualche tempo Jacob non ha cessato di sottolineare che i mattoni della vita sono sempre i soliti. La «creatività biochimica», la fase di evoluzione della materia durante la quale si formavano e scomparivano molecole nuove, è finita da gran tempo. Poche migliaia di tipi molecolari e circa duecento tipi di cellule sono tutto ciò di cui dispone la natura per forgiare, senza posa, nuovi tipi di vita, nuove varianti e. in rari casi fortunati, nuove specie. I mattoni sono sempre gli stessi, ma varia enormemente l'assemblaggio. I tempi e i ritmi della regolazione genetica, variando in un gioco di possibilità praticamente illimitato, possono fare con questi mattoni una ranocchia, un topo, uno scimpanzé o un uomo. Per Jacob un bricolage di importanza del tutto particolare è, inutile dirlo, il cervello, questo pasticciaccio della vita evolutiva. Quando Darwin era ancora vivente, studiosi come Huxley e Lyell dovettero ammettere che il cervello umano, per volume e complessità, era assai lontano dal cervello delle scimmie, anche delle più evolute. Non si vedeva come esso avesse potuto formarsi per un cumulo di piccole variazioni. Lyell scrisse a Darwin che doveva esserci stato un salto (leap) Questi confidò, per lettera, all'amico Alfred Russell Wallace che il solo sentir parlare di un salto lo faceva mugolare di stizza («/f makes me groan»). Chissà se oggi, a cento anni esatti dalla sua morte. Darwin mugolerebbe nel leggere del bricolage di Jacob, o dei lavori «saltazionisti» dei biologi di Harvard. Richard Lewontin e Stephen Gould, assai vicini alle posizioni di Jacob. Questi studiosi stanno rapidamente e irreversibilmente spostando l'asse delle teorie evoluzionistiche, infulcrandolo ora anche sulle discontinuità, i salti, la non-ottimalità e il bricolage. Che ne penserebbe Darwin? In fondo sono tutti figli suoi. M. Piattelli Palmarini Francois Jacob

Luoghi citati: Parigi