Letargo il grande sonno della natura

Letargo il grande sonno della natura Letargo il grande sonno della natura OGNI anno, al sopraggiungere dell'inverno, scompaiono come per incanto dalle campagne ghiri e criceti, ricci e topi quercini, marmotte e moscardini, né sì vedono più volare tremuli nell'aria i bruni pippistrelli. Si è iniziato per loro il sonno invernale, l'ibernazione. E' la strategia fisiologica che consente a questi mammiferi di sfuggire con una sorta di morte apparente alla morsa crudele del freddo che potrebbe ucciderli. Un espediente ingegnoso messo in pratica nelle regioni dove gli inverni sono particolarmente rigidi! Nell'animale in letargo la temperatura diminuisce in maniera impressionante. Nel giro di poche ore, quella di una marmotta scende da 37°C a 13°C, la frequenza cardiaca passa da 80 a 4 battiti al minuto, la frequenza respiratoria da 28 a 0,6 atti respiratori al minuto e il metabolismo basale diminuisce di 20 volte. Per settimane o per mesi l'ibernante non si nutre. Consuma però un po' per volta il grasso che aveva accumulato nelle abbondanti mangiate preletargiche, lo consuma in quantità minime, quel tanto di combustibile che basta a tener accesa una tenue fiammella vitale. Al risveglio dal letargo, il topo quercino ha perduto metà del suo peso, il criceto un terzo. C'è chi dorme solo 1 o 2 mesi, come quest'ultimo, chi resta in letargo per circa 3 mesi come il riccio, chi per un semestre come le marmotte, ma indubbiamente il letargo più lungo è quello del Citello dell'Alaska, che dorme per 9 mesi filati. Gliene restano solo 3 per riprodursi, mettere al mondo i figli, allevarli e accumulare riserve adipose per il letargo successivo. L'ibernante non ha sempre quel sonno di sasso che comunemente si pensa. Il criceto non dorme mai più di 3 o 4 giorni di seguito. Si sveglia, poi naturalmente si riaddormenta. Il riccio fa altrettanto. Anche le marmotte si destano ogni 3 o 4 settimane. I motivi di questi risvegli spontanei possono essere vari: la sete, il bisogno di urinare o di evacuare l'intestino, il freddo eccessivo. Gli orsi che dormono d'inverno nei nostri climi non si considerano veri ibernanti, perché la loro temperatura corporea non si abbassa, anche se il numero dei battiti cardiaci scende da 40 a 10 o meno. Eppure l'orsa partorisce nel sonno i suoi piccoli e in quello strano dormiveglia riesce a recidere il cordone ombelicale e a leccare i neonati come un mammifero madre che si rispetti. Tutto ciò dimostra che durante il sonno invernale, il cervello si mantiene sveglio. Marmotta (dorme sei mesi) Si ritiene comunemente che siano l'abbassamento repentino della temperatura ambiente, l'accorciarsi dei giorni e la scarsezza di cibo a provocare il fenomeno del vero letargo, ma esperimenti compiuti sugli scoiattoli terrestri d'America del genere Citellus hanno dimostrato che le cose stanno diversamente. Se si tengono alcuni di questi animaletti in una camera a temperatura costante, dove il periodo di luce sia pari a quello di oscurità, con acqua e cibo abbondanti, gli scoiattoli cadono puntualmente in letargo alla solita epoca, come se funzionasse in loro un misterioso orologio interno. Si deve quindi supporre che, almeno per certe specie, gli stimoli esterni non siano determinanti nello scatenare il meccanismo del letargo. Sembra che il vero «ormone sonnifero» responsabile dell'ibernazione sia l'insulina, la sostanza secreta dalla porzione insulare del pancreas, che governa la glicemia dell'organismo. E lo conferma il fatto che questo ormone, iniettato sperimentalmente nel riccio, produce nell'animale un letargo artificiale. E' probabile che nello stadio preletargico l'ipofisi stimoli il pancreas a produrre maggiori quantità di insulina. Per contro, l'« ormone eccitante» che provoca il risveglio sarebbe l'adrenalina, prodotta dalle ghiandole cortico-surrenali. E' dunque tutto un complesso gioco di fattori interni a base di ormoni quello che determina la particolare vita a basso regime del letargo. Una scoperta che ci ha un po' chiarito le idee su questo misterioso capitolo della biologia animale è quella fatta nel 1963 da due scienziati, uno inglese, l'altro americano, l'uno indipendentemente dall'altro. Il grasso bruno che era stato trovato in vari animali ibernati, tanto che lo si chiamò «ghiandola ibernante», ma di cui si ignorava la funzione, venne ritenuto da entrambi gli studiosi una sorta di termoforo naturale. Scoprirono infatti che mentre le cellule del grasso normale, di colore bianco, contengono ciascuna una gocciolina di grasso, quelle del grasso bruno che sono più grandi ne contengono parecchie e, quel che più conta, posseggono un numero maggiore di quegli organelli microscopici chiamati «mitocondri» che sono considerati le «centrali energetiche» autonome della cellula. Più abbondanti sono i mitocondri, più rapidamente vengono bruciati e ossidati i grassi. Il grasso bruno, proprio perché le sue cellule sono ricche di mitocondri, produce 20 volte più calore del grasso comune. Alla luce di questi risultati, molti fatti prima inesplicabili diventano comprensibili, per esempio la presenza del grasso bruno nei neonati dei mammiferi, anche in quelli non ibernanti. Quando un piccolo viene alla luce, abbandona il tepore del corpo materno e viene a trovarsi improvvisamente in un ambiente incomparabilmente più freddo. Ecco che allora il suo grasso bruno entra in funzione e gli fa da termocoperta. Analogamente, quando la temperatura dell'ambiente diminuisce, il grasso bruno riscalda l'animale ibernante quel tanto che basta per mantenerlo in vita. Ma se il freddo incalza, il grasso bruno sviluppa calore e l'animale si sveglia per cercarsi magari un ricovero più riparato. Orso (letargo parziale) Resta da chiedersi. Come mai soltanto alcuni mammiferi delle zone temperate cadono nel letargo invernale, mentre altri come cervi o stambecchi, lepri, volpi o lupi, sopportano tranquillamente i rigori del freddo senza cercare rifugio nel sonno? Charle Kaiser fa l'ipotesi che gli ibernanti siano di origine tropicale, e ancora incapaci di regolare la perdita di calore, debbano ibernare per sopravvivere. Ma è solo un'ipotesi. I. Lattes Coifmann Topo quercino (perde metà peso) Ghiro (letargo profondo)

Persone citate: Charle, Ghiro, Kaiser, Lattes Coifmann

Luoghi citati: Alaska, America