L'amaro miele dei monaci perseguitati di Giorgio Calcagno
L'amaro miele dei monaci perseguitati Romanzo: Terzi L'amaro miele dei monaci perseguitati IN un convento, forse benedettino, di un paese rimasto da designare sulla carta geografica, i monaci riuniti per la cena in refettorio si trovano all'improvviso prigionieri. Sono arrivati i soldati (di quale esercito?), hanno chiuso porte e finestre, hanno sequestrato e ucciso il superiore. I monaci non capiscono i motivi della segregazione e tanto meno le accuse, tutte fittizie, che gli occupanti scaricano su loro. Possono soltanto subire, più tardi, l'ordine di espulsione, che li costringerà a disperdersi, privati del loro abito, invisi alla gente del paese. Come le api che preparavano il miele per il convento, anch'essi devono fuggire, dissolversi nel mondo. Il confessore del gruppo non accetta la sorte degli altri, cerca di sapere il perché. Dietro gli addebiti ufficiali e pretestuosi, c'è una società civile che non può accettare la convivenza e, in qualche caso, la concorrenza di una società religiosa, per il proprio sviluppo. La realtà di uomini che hanno fatto una scelta alternativa è intollerabile; e deve essere cancellata. I mezzi di cui i governanti dispongono sono forti, riescono a espugnare tutte le isole di resistenza; ma si riveleranno insufficienti. Quando anche l'ultima comunità sembra distrutta, nel paese si riformano altri nuclei, che tornano a trasmettere, clandestini e numerosi, l'antico messaggio. Nella sua luce catacombale, apparente apologo sulla prossima fine del cristianesimo, La fuga delle api nasconde una dichiarazione di fede nella sua vitalità. Il tono del racconto non è mai drammatico, anche quando il protagonista rievoca la persecuzione di cui è vittima. La stessa voluta indeterminatezza di luoghi e di tempi sembra voler smitizzare le possibili ombre di apocalisse. Più che le violenze subite, in fondo secondarie, interessa a questi uomini l'interrogazione sulla fedeltà alla propria scelta. Spossessati di beni marginali, e forse abusivi, hanno recuperato l'identità della fede. Il saldo è, per loro, attivo. Un libro di questo genere si regge su un equilibrio difficile: deve toccare problemi oggi diventati anche troppo caldi, senza stabilire punti di contatto precisi, che degradino il racconto a un occasionale pamphlet. Sarebbe quasi corrivo pensare a un paese dell'Est, o una repubblica sudamericana — o l'Italia di domani? — come il risvolto di copertina vorrebbe suggerire. Terzi cerca di evitare il rischio puntando sulla atemporalità della narrazione, che scorre piana, quasi ironicamente impartecipe; anche se tutte le annotazioni specifiche, i personaggi, gli ambienti hanno un sapore molto vicino di cronaca. Il linguaggio ne risulta così frugale che scivola nel quotidiano; circola, in questa fantasia, un'aria di quasi sospetto realismo: ma è coerente alla impostazione del libro. Non c'è più posto per il privilegio del sacro, nemmeno nella scrittura. Giorgio Calcagno Antonio Terzi, La fuga delle .api, Bompiani. 143 pagine, ^9000 lire.
Persone citate: Antonio Terzi
Luoghi citati: Italia
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