Con Abbado e Strehler scopriamo il Lohengrin segreto

Con Abbado e Strehler scopriamo il Lohengrin segreto Con Abbado e Strehler scopriamo il Lohengrin segreto MILANO — Due esordi, di due generazioni successive: Claudio Abbado dirige per la prima volta un'opera di Wagner, Giorgio Strehler firma per la prima volta una regia wagneriana. Si è parlato (meglio, si è sus-i surrato) in questi giorni di visioni critico-musicali diverse. C'è chi propende per una cupa malinconia, per una «fiaba stregata», c'è chi opta per un romanticismo più raffinato a suadente. Il primo è il regista, il secondo il direttore. Ma non ne amano parlare chiaramente: «Vedrete tutto lunedi», è l'unica cosa in cui concordano (e in cui concordano con il maggior «contestatore» dell'allestimento, il tenore René Rollo, berlinese quarantaquattrenne, cento «Lohengrin» alle spalle, un «Otello-, forse tra qualche anno, chissà anche qui. Su tutto lo spettacolo vige il segreto. Giornalisti, critici e curiosi sono allontanati con garbo ma con fermezza da ogni «spiata» in teatro. E' la prima volta da molti anni che nessuno è ammesso alla prova generale. Contrabbandiere infiltrato, sono riuscito a vedere, se non a scoprire integralmente, tutti i segreti di questo allestimento. E' vero, chiedo durante una delle «chiusissime» prove, che «Lohengrin» è un'opera quasi «italiana», quasi verdiana, così com'è stato detto — forse frettolosamente e impropriamente — che «Otello» e «Falstaff» sono al contrario «wagneriane»? Abbado è riluttante in proposito. «Certi paralleli mi sconcertano. La melodia del Lohengrin, più "distesa" di altri capolavori wagneriani, può anche far pensare all'opera italiana di quegli anni: ma io ci sento altre cose, ci vedo il sinfonismo di Schumann, la malinconia di Weber, semmai il suono corposo e caldo che ho tentato di dare a quest'edizione. So che i "sussurrati", i "pianissimi", i "fortissimi", saranno giudicati con severità, come se me li fossi inventati io: ma so anche che le proporzioni sonore di questa partitura vanno raccolte in un 'omogeneità uniforme che non può, non deve badare a queste dispersioni sonore, in realtà soltanto apparenti». E Strehler? Giù la maschera del personaggio con i soliti pantaloni neri e il maglione a collo alto. Infaticabile, cinico e decisamente arrabbiato con qualche cantante o con il coro intero, urleggiante di fronte ai costumi di Ezio Frigerio ma non di fronte alle sue scene, otto colonne di stampo prettamente gotico che scivolano sulle loro ruote su un cristallo nero e cercano di fondere plastica e metallo, in dieci scene diverse filtrate da un velo anch'esso di plastica. «Lo spettacolo, dice Strehler. non supererà le tre ore e mezzo di durata, diversamente dai soliti allestimenti del Lohengrin proprio in virtù di una scenografia che si muove slittando su castelli altissimi, grigio fumo, pensata in continuo movimento. Se i cantanti ci stanno, bene. Se vorranno far sentire il sangue in scena, bene, altrimenti peggio per loro. «Hanno già parlato tanto (ma chi l'ha vista, poi?), dell'apparizione della navetta trainata dal cigno sulla quale sta seduto Lohengrin: la suggestione visiva e spettacolare invece dovrà avvenire (se avverrà) con la maggiore semplicità possibile, con il buio e le trasparenze che Frigerio ed io abbiamo utilizzato già per Temporale di Strindberg, e mi pare con risultati non disprezzabili. «Ombre e luci, luci e ombre, riflessi di palcoscenico e riflessi di psicologie. Con semplicità, senza incantesimi: con naturalezza, con un quadro enorme di specchi che moltiplichi l'infinità crudeltà del copione. Già, perché di crudeltà si tratta, altro che di lirismo puro Il Lohengrin non è più stato messo in scena alla Scala dal 1966. L'ultima edizione — quindici anni fa — venne diretta da Wolfgang Sawallisch, finalmente in lingua tedesca dopo un allestimento, dieci anni prima, di Antonio Votto in un orribile italiano. E', si sa. l'opera giovanile prediletta da Wagner e dai suoi ammiratori, ma anche un'opera diseguale e tormentata, che chissà perché non è mai stata annoverata nel numero dei «capolavori» come le opere della tetralogia wagneriana. Quindici anni sono molti, per un teatro che vuol «far repertorio» e dimentica un'opera del genere. «Lo farò a Bayreuth fra tre anni», mi dice Abbado. «Karajan me lo chiede per Salisburgo da qualche tempo. La mia soddisfazione maggiore sarebbe invece quella di "esportarlo" proprio nella "patria" wagneriana per eccellenza». Cosa significa accostarsi per la prima volta a Wagner, a più di quarantanni? «Il mio primo Wagner? E' vero in senso "assoluto", non è vero in senso pratico, perché ho diretto in concerto tante "ouverture", qualche brano di Lohengrin, l'intero secondo atto di Tristano e Isotta. Per quel che riguarda il Lohengrin e in particolare il rapporto tra "Libretto"e "Musica ",è la musica che prende con decisione il sopravvento sul testo letterario: il "wort-ton-drama" è di là a venire: il libretto è soltanto uno stimolo per l'espressione musicale. Un esempio soltanto, per contraddire chi avvicina Verdi a "questo" Wagner; il finale del prim'atto venne composto da Wagner assai prima del libretto, chiamiamolo "canovaccio", se pensiamo che Lohengrin è più una presenza scenica che non un personaggio psicologicamente definito». Interpreti di lusso: agli ordini di Abbado. di Gan-' dolfi e di Strehler. cantano dopodomani René Kollo, Anna Tomovasintow, Elisabeth Connel. Siegmund Nimsgern, Lajois Miller e Aege Haugland. E' un cast affiatato anche se «malizioso», che ha creato qualche problema a questo spettacolo attesissimo e inquieto. «In fondo, dice Strehler, il Lohengrin è l'opera di Wagner in cui i contrasti si manifestano con maggior forza. C'è una forma di godimento e di di¬ sagio insieme. Estasi e odio, insomma: nel libretto e nella partitura». Ma in questo disagio, quale ruolo appartiene a Lohengrin, in particolare? «Lohengrin — sostiene Strehler — è il più solitario, in assoluto, degli eroi wagneriani. E' un eroe miracoloso ma remoto. E' sovrumano e magico insieme. E'un prodigio, un "ein winder", un cigno che canta al suo popolo». Prendiamo le date. Lohengrin, andato in scena la prima volta nell'agosto 1850, è radicalmente legato agli «scritti rivoluzionari» di Wagner. Nel suo saggio (del 1848) intitolato «L'uomo e la società presente» leggiamo: «E' cominciata la lotta dell'uomo contro la società presente». Aggiunge Strehler: «E' la società umana ben nota dai tempi di Feuerbach. La società del futuro avrebbe il dovere di condurre gli uomini a una felicità sempre più alta e più pura, perfezionando le loro qualità spirituali morali, fisiche e politiche». Ma i diritti dell'uomo? E la lotta per questi diritti? Strehler ha scelto questo Wagner per un'idea: «Repubblicanesimo e riformismo paternalistico, Feuerbach e Proudhon, i filosofi e gli spiriti tedeschi che nel '48 culmineranno nel Manifesto: non è solo questo, il Lohengrin, ma è "anche" questo». Giorgio Polacco Vigilia inquieta per l'opera di Wagner alla Scala: parlano i protagonisti Cdd( Copertina del primo libretto del Lohengrin (1850)

Luoghi citati: Milano, Salisburgo