DAL LONTANO PASSATO A OGGI UNA LUNGA STOMA DI SMEMBRAMENTI, DEPORTAZIONI, REPRESSIONI di Luciano Curino

DAL LONTANO PASSATO A OGGI UNA LUNGA STOMA DI SMEMBRAMENTI, DEPORTAZIONI, REPRESSIONI DAL LONTANO PASSATO A OGGI UNA LUNGA STOMA DI SMEMBRAMENTI, DEPORTAZIONI, REPRESSIONI Polonia, il delitto d'amare la libertà Così è fallito un «modello» di Perché ammiriamo quel popolo Gli avvenimenti polacchi, comunque si concludano, si possono considerare sin d'ora il finale tragico di un dramma lungo e complesso, in molti atti. L'ultimo atto, come si sa, è cominciato nell'estate del 1980, con gli scioperi contro l'aumento dei prezzi deciso dal governo, scioperi che ben presto, a Danzica, portarono all'occupazione dei cantieri navali, alla costituzione del sindacalo «Solidarietà» ed infine, il 30 agosto, alla firma dell'accordo, detto appunto di Danzica, tra il governo e «Solidarietà». Per interpretare questi fatti, con tutto quello che ne è seguito sino ad oggi, occorre però conoscere sia pure sommariamente, gli atti precedenti: a cominciare dal prologo, nel quale sono già nettamente formulati i termini fondamentali dell'intero dramma. Basti solo ricordare che la ..guerra fredda» ebbe proprio uno dei suoi motivi originari nel contrasto tra anglo-americani e sovietici, ancora durante la seconda guerra mondiale, circa il governo che avrebbe retto la Polonia liberata; e che poi, nel gioco perverso di azione e reazione tipico della «guerra fredda», la Polonia fini sotto il tallone dello stalinismo, con l'imposizione quindi di un regime estraneo e odioso ad un popolo profondamente cattolico e accesamente nazionalista. Anche l'economia fu ricalcata sul modello sovietico: come ha detto il novantenne professor Lipinski, un famoso economista polacco, tra i fondatori del «Kor», «una società, .socialista fu creata con .una, cattiva economia, un'economia incompetente, un'economia di sperpero». D'altra parte, la «geopolitica» collocava inesorabilmente la Polonia all'interno del blocco sovietico: donde il dramma di un Paese, costretto dalla dura realtà internazionale, rafforzata dall'inettitudine dei propri governanti, a subire quanto avrebbe rifiutato di sua libera scelta. 11 primo atto del dramma si svolse cosi nel 1956, quando la denuncia dei misfatti dello stalinismo sembrò offrire uno spiraglio di libertà. L'«ottobre polacco» ebbe un'ispirazione essenzialmente politica, appunto come richiesta di libertà; e si concluse felicemente con la caduta del vecchio gruppo dirigente ed il ritorno di Gomulka, già perseguitato nel periodo staliniano. Ma Gomulka era pur sempre un vecchio comunista ortodosso, solo per l'occasione divenuto esponente del nuovo corso; e l'equivoco non tardò a chiarirsi, con un processo di degradazione, di rientro ed infine di annullamento delle conquiste dell'«ottobre». Venne quindi maturando il secondo atto, che ebbe luogo nel dicembre 1970, con la sollevazione, repressa nel sangue, degli operai dei cantieri di Danzica e di Stettino. Questa volta la motivazione era stata essenzialmente economica, sicché Gierek, subentrato a Gomulka, ritenne di poter affrontare la situazione con una politica economica di faciloneria, 11 cui esito catastrofico è all'origine del terzo ed ultimo atto, quello in corso. Nella speranza di soddisfare le aspettative dei polacchi ed insieme di favorire lo sviluppo del Paese, Gierek, da un lato, aumentò i salari, mantenendo stabili i prezzi, dall'altro lato dette il via a massicce importazioni facendo ricorso al credito estero. Nel decennio di Gierek (1970-80) la Polonia ha accumulato un debito astronomico verso l'Occidente, 27 miliardi di dollari in complesso; al punto che la Polonia è addirittura considerata un pericoloso fattore di instabilità per il sistema finanziario internazionale. Prima ancora i nodi sono venuti al pettine sul piano interno, quando si è tentato di arginare il disastro aumentando i prezzi, tagliando le importazioni e destinando all'esportazione un maggior quantitativo di prodotti agricoli. Cominciato quindi come protesta contro l'aumento del costo della vita, il terzo atto ha avuto uno svolgimento del tutto imprevisto, si è trasformato, in sostanza, nello scontro totale tra le forzavecchie e screditate e quelle nuove ed inesperte: le une sballottate fra concessioni ed irrigidimenti, le altre oscillanti anch'esse tra la via della moderazione per consolidare i grandi, insperati successi e la tentazione di spingersi ancora oltre. Ci è impossibile seguire l'accavallarsi degli avvenimenti ed è anche superfluo; perché non è stata questa o quella singola mossa a provocare l'esito tragico, bensì l'inconciliabilità delle posizioni che si - scontravano frontalmente, dopo avere invano tentato d'incontrarsi, anche con la mediazione della Chiesa (incontro del 4 novembre tra Walesa. Jaruzelski e mons. Glemp). La situazione è precipitata, infine, quando alla minaccia di chiedere al . Parlamento leggi speciali si è risposto con la controminaccia dello sciopero generale; a questo punto si sono imposte, tramite i militari, quelle ragioni della realtà politica internazionale che dominano un mondo diviso da oltre trent'anni in blocchi. Come ha scritto ieri Luigi Firpo, non si può scordare «lo scenario cupo e i termini brutali del confronto», non basta «volere la libertà per averla». Ferdinando Vegas Disegno di Garland che si ispirEdward Munch a al celebre quadro «Il grido» di (da «The Daily Telegraph») Eravamo ragazzi, della Polonia conoscevamo soltanto quella poca geografia del ginnasio. Ci fu l'invasione tedesca. Le cariche della cavalleria polacca non valsero a fermare i carri armati. Conoscemmo così i polacchi: con lancia e sciabola contro i panzer. Gente come quella si poteva giudicarla magnifica o folle. Noi ragazzi, ancora sentimentali, l'ammirammo. Imparammo, allora, che non vi è altro paese con una memoria storica più tenace di quella della Polonia. L'hanno tenuta viva il ripetersi delle tragedie. Anzi, di una sola tragedia, che è quella di un paese, senza confini naturali, costretto a subire le conseguenze della posizione geografica: a Oriente si affaccia il pericolo russo, a Occidente preme la potenza tedesca. Finisce la guerra contro i tartari di Gengis Khan, comincia quella contro i Cavalieri deirÓrdi ne Teu tonico. Una millenaria storia dove continuamente si ripetono parole'come: insurrezione nazionale, repressione, persecuzione, deportazione, smembramento. Le tregue sono poche e brevi. Finiscono presto le illusioni, ma rinascono subito dopo ogni insuccesso. Bismarck, fortemente ostile ai polacchi, deve ammettere: «Si sacrificano all'idea nazionale, senza concedersi mai riposo ». Da sempre in perenne lotta contro i russi ortodossi e i tedeschi protestanti, per i polacchi Chiesa cattolica e unità nazionale sono una cosa sola. Essere polacco ha sempre signifi- | | Varsavia: un insorto (19 cato essere cattolico. Ne è uscita una religione di frontiera, dura, ostinata, che non si perde in speculazioni teologiche, ma pare quasi un distintivo nazionale. Si entra in chiesa non soltanto per devozione, ma anche per patriottismo. Quel patriottismo che suggerisce ai padri della Costituzione del 1791 queste parole: «... liberi dagli ordini disonorevoli della prepotenza straniera, apprezzando più della stessa vi¬ 44). Poto di Mariapia Vecchi (da «ta e della felicità personale l'esistenza politica, l'indipendenza dallo straniero e la libertà interna del popolo, par salvare la nostra patria, deliberiamo la presenteCostititzione... ». 1791: uno di quei brevi periodi d'illusione di cui si è detto. Quattro anni dopo, gli smembramenti annientano lo Stato polacco, per quasi due secoli cancellato dalla carta politica d'Europa. Cancellato perfino il nome: questa terra Polonia 2° Millennio») diventa il «paese lungo la Vistola». Ribellioni sempre domate crudelmente, ed è da questo momento che il polacco è. nella immaginazione popolare europea, lo slavo generoso che si batte per l'indipendenza e la fede e l'onore anche quando non può vincere. Molti emigrano portando con sé, come Chopin, «il nastro di una ragazza, un pugno di terra, la Polonia nel cuore». Per tutto l'Ottocento, là dove 1 si combatte per il diritto dei I popoli all'indipendenza, dall'II talia al continente americano, vi sono esuli polacchi, il loro | motto è: «Per la vostra e la nostra libertà». E' combattendo in Italia, a fianco di Garibaldi, che nasce il loro inno nazionale: «Ancora la Polonia non è morta, finché noi viviamo...». La Polonia recupera l'indipendenza nel 1918. Torna a perderla nel 1939. Il nazismo vi infuria come forse in nessun'altra parte d'Europa. I morti sono più di sei milioni: quasi un polacco su quattro. E' come se l'Italia nella guerra avesse avuto oltre dieci milioni di morti. E nell'agosto 1944 l'insurrezione di Varsavia. Incendiata dai Romani, Cartagine bruciò per 17 giorni. Varsavia arde per 170 giorni. «Varsavia ormai non è che un punto sulla carta | geografica» annuncia Hitler al mondo. Il paesaggio polacco è fatto di vaste foreste e piane a perdita d'occhio, con salici e nuvole basse, voli di corvi e di cicogne. Finita la guerra, nel paesaggio polacco apparivano anche innumerevoli croci di legno. Si definisce «generazione deliecroci di betulla» quella 'degli anni della guerra. Nella millenaria storia del paese di «generazioni delle croci di betulla» ce ne sono state troppe. Qualcuno ha detto che «è difficile essere polacco». Perché ogni polacco ha dietro di sé troppe croci, di secoli remoti ed epoche recenti, ed è difficile di¬ menticarsene. Luciano Curino