La fiamma vacilla

La fiamma vacilla La fiamma vacilla Il noto commentatore americano James Reston rimproverava pochi giorni fa a Reagan di «voler risolvere il problema polacco accendendo le candele sulle finestre». Ora il presidente va molto al di là della platonica candela e chiama in causa direttamente Mosca, indicandola come mandante e responsabile dell'azione repressiva di Jaruzelski. Il «gruppo per la Polonia» formato ad hoc alla Casa Bianca subito il 13 dicembre, dopo vari indugi e le consuete «gare» televisive fra Haig e Weinberger, ha finalmente deciso che era un nonsenso colpire con sanzioni Varsavia e non Mosca. Non era davvero necessario scoprire che il maresciallo Kulikov super-visionava da un bunker di Varsavia l'operazione per stabilire che Jaruzelski non poteva agire senza Mosca, tanto meno contro Mosca. E Reagan, con le otto ritorsioni, si rivolge al mandante invece che all'esecutore. La Casa Bianca alza il tiro e cambia bersaglio proprio quando la Pravda già esultava, sostenendo che «la trappola tesa dagli americani per provocare l'interferenza sovietica in Polonia non aveva funzionato». Secondo l'organo moscovita, Washington aveva ordito una «provocazione mostruosa» che consisteva nell'aggravamento programmato della crisi polacca, fino a indurre l'Urss a immischiarsi nelle vicende del Paese. La trappola doveva servire da pretesto per interrompere la distensione e le trattative internazionali. Invece, concludeva euforicamente il giornale del Cremlino, «la Polonia risolve da sola i suoi problemi». La crisi polacca stava diventando, nell'interpretazione della Pravda, quasi un punto di forza della politica sovietica: i polacchi venivano soffocati dai soli polacchi, mentre Mosca si esimeva da ogni responsabilità, anzi poteva vantarsi dell'autonomia e della fiducia concessa ai Paesi sudditi dell'impero, lasciando loro la scelta fra l'occupazione e l'autoccupazione. Reagan invece indica nella crisi polacca la crisi dell'Urss. Con le sanzioni adottate martedì ritorna alla linea strategica che tende a mettere a nudo la debolezza strutturale dell'altra superpotenza, o almeno a impedirle di tradurre in forza la propria debolezza (come ha cercato di fare appunto con gli avvenimenti polacchi). Il cero acceso da Reagan la vigilia del Natale sulla finestra della Casa Bianca in segno di solidarietà con la Polonia non ha avuto troppi seguaci, soprattutto in Europa, propensa a vedere in ogni candela di Reagan un missile Pershing. La nuova iniziativa del Presidente Usa potrebbe trovare lo stesso seguito delle candele. A due anni di distanza, chi si ricorda ancora dell'embargo per l'Afghanistan? Non perché gli europei fossero contrari alle ritorsioni, ma perché si erano convinti che ci avrebbero ri messo almeno quanto l'Urss, e anche più dell'Urss. Nel determinare la loro condotta verso Mosca e Varsavia, le cancellerie europee valutano incerte se attenersi agli accordi di Yalta o alla dichiarazione di Helsinki. Yalta fu applicata sia per l'Ungheria che per la Cecoslovacchia: con molte proteste verbali, si finì col riconoscere il diritto di Mosca di portare ordine nella sua zona d'influenza. Helsinki si spinge al di là dell'equilibrio meccanico fra i due ermetici blocchi, basa la distensione sul diritto dei popoli all'autodeterminazione, sui diritti umani, sui rapporti e sugli interessi multilaterali degli Stati europei. Sembra ancora troppo azzardato scordarsi di Yalta per impugnare Helsinki. Così si ripiega su una via di mezzo: ci si dichiara contenti che a Varsavia non ci sia stato tuttora un intervento straniero, omettendo di identificare in quello di Jaruzelski un intervento pur sempre armato e ordinato dall'esterno. Il punto saliente, quasi simbolico di questa linea di mezzo è l'arrivo, ieri, del vicepremier polacco Rakowski a Bonn. I tedeschi hanno le loro ragioni particolari per auspicare una rapida stabilizzazione a Varsavia: mai i sovietici potrebbero consentire una riunificazione delle due Germanie senza insediarsi stabilmente nella Polonia, che diventa così l'avamposto strategico dell'Urss. I polacchi sono destinati sempre a pagare i conti tedeschi. Oltre ai motivi delle due Germanie, emerge però ancora una volta una differenziazione di fondo, che si esprime nelle diverse risposte al quesito: agire per compromettere il socialismo reale, o cercare di influenzare le sue trasformazioni? La risposta di Washington era altalenante, ma propendeva quasi sempre verso la prima alternativa, quella della sfida, come fa oggi Reagan. Gli europei erano a loro volta piuttosto portati a un ruolo di accorto condizionatore e stimolatore degli sviluppi riformistici dell'Est.