Calvi, l'uomo dai due cervelli di Marco Borsa

Calvi, l'uomo dai due cervelli L'Ambrosiano e il suo presidente: storia di un gruppo diventato un caso nazionale Calvi, l'uomo dai due cervelli Enigmatico e misterioso, ha creato tra il mondo imprenditoriale e quello politico un intreccio del quale si conosce tutto ma non si capisce nulla - La sua banca aveva nel "71 mille miliardi di depositi, ora è arrivata a 12 mila, con 250 miliardi di utile Tanno - I rapporti non ancora chiariti con le filiali estere MILANO — «Di sicuro uno dei due ha fatto un grave errore«, ha commentato Enrico Cuccia, amministratore di Mediobanca, quando Carlo De Benedetti è entrato nell'Ambrosiano. Se verrà perfezionato anche l'ingresso di Orazio Bagnasco lo stesso errore sarà ripetuto una seconda volta. L'affare Ambrosiano, da una gara appassionante per il mondo degli affari, dove fino a poche settimane fa c'era chi scommetteva su Roberto Calvi e chi su Carlo De Benedetti, si sta trasformando in un caso nazionale, destinato a coinvolgere sempre più lo Stato nelle sue articolazioni e un'opinione pubblica abituata solo da poco a scrutare in profondità quanto avviene nello schivo mondo dei banchieri. Eppure sono dieci anni che l'Ambrosiano è in prima linea. Da quando nel 1972 comprò dalla banca londinese Ilambro e dal bancarottiere Michele Sindona la finanziaria La Centrale fino all'ispezione nel 1978 della Banca d'Italia, di Paolo Baffi e Mario Sarcinelli, che scopri gravi deviazioni nella gestione denunciando fra l'altro alla magistratura una serie di violazioni valutarie (connesse all'acquisto di pacchi di Toro e Credito Varesino) che portarono l'estate scorsa al processo e alla condanna di Roberto Calvi e di una parte dei consiglieri del gruppo. Tre anni dopo l'ispezione, lo scandalo P2 rivelò oscuri intrecci politico-affaristici in cui Calvi giocava un ruolo da protagonista anche su tavoli estranei alla normale attività ban- caria, come il finanziamento ai partiti e ai giornali. L'ingresso nella Rizzoli-Corriere della Sera, che ha acceso faide violentissime nel mondo politico per il controllo del più diffuso quotidiano italiano, è forse la più clamorosa ma non necessariamente la più importante di queste operazioni. A metà del 1976, nel pieno della crisi della lira, faticosamente difesa bruciando le riserve che avevamo ottenuto in prestito dai tedeschi in cambio del nostro oro. Calvi chiese, e prontamente ottenne, di effettuare un investimento all'estero di ben 100 milioni di dollari la cui ultima destinazione è rimasta ignota. Negli stessi anni il Banco Ambrosiano finanziava per decine e decine di miliardi, non ancora del tutto inflazionati, l'acquisto di propri titoli attraverso la società Suprafin, in palese violazione del codice civile. In dieci anni, da una banca di rilievo regionale con meno di mille miliardi di depositi, l'Ambrosiano si è trasformato in un gruppo bancario-finanziario e assicurativo di prima grandezza, il più grosso nel settore privato, con 12 mila miliardi di depositi nelle tre banche (Ambrosiano, Cattolica del Veneto e Credito Varesino). Una formidabile espansione che ha com¬ pletamente trasformato la sonnacchiosa Banca Cattolica del 1970, luogo ili raccolta di alcune fra le migliori famiglie milanesi. Un'espansione accompagnata però dalla snazionalizzazione della proprietà, che si va sempre più concentrando in mani estere celate dal guanto del segreto bancario ma che rispondono sempre prontamente alle sollecitazioni di Roberto Calvi e da una serie di considerevoli investimenti oltre frontiera concentrati, fenomeno perlomeno curioso, nell'America Latina, dall'Argentina al Perù, o al Nicaragua, tutti Paesi che non hanno mai offerto grandi sbocchi agli affari. Con l'interno, invece, i prestiti si vanno addensando verso le grandi imprese pubbliche. Ma che cosa è ora il gruppo Ambrosiano? E' un gruppo di cui, grazie all'abbondante documentazione ormai esistente, si conosce quasi tutto ma non si capisce quasi nulla. Come quando il magistrato, interrogando Calvi sui suoi rapporti con Licio Gelli, scopre che i legami ci sono ma non riesce a stabilire di che natura (il banchiere milanese ammette magari che un appunto fra le carte di Gelli è un suo memorandum ma non sa spiegarsi come sia finito li lasciando intendere che il capo della Loggia P2 poteva arrivare dove voleva). Come quando gli ispettori della Banca d'Italia, dopo un attento esame della situazione patrimoniale del Banco, concludono che il patrimonio è sostanzialmente integro salvo eventuali «buchi» nella parte estera che i dirigenti del Banco si sono rifiutati di far esaminare suscitando il sospetto di voler occultare qualcosa. Roberto Calvi e la sua banca sono un nuovo caso Sindona in cui potrebbero venire coinvolti banche e risparmiatori, come sostiene qualcuno, oppure sono le vittime di una congiura laico-comunista come hanno insinuato ambienti democristiani e socialisti riflettendo probabilmente la convinzione dello stesso Calvi? Duecentocinquanta miliardi di utile all'anno, quasi tutti in Italia, sono il barometro di una certa efficienza. Il gruppo dirigente della Centrale, guidato da Michel Leemans. un belga da dieci anni in Italia, ha realizzato con tenacia e sagacia una strategia di risanamento della finanziaria, concepita dallo stesso Calvi. Accanto ai consulenti come Francesco Pazienza, un personaggio del sottobosco politico romano, o all'ex generale P2, Pietro Musumeci. Calvi ha intorno a sé dirigenti del Banco che, come Roberto Rosone, vengono dalla vecchia tradizione di sobrietà e attaccamento al lavoro. Chi è Roberto Calvi? Quello che ha come consigliere Umberto Ortolani, fratello nella P2 e socio attraverso la Bafisud. una banca dell'Uruguay, o quello che incoraggia i Leemans o i Rosone, cioè dirigenti professionali fuori dalle lotte e dalle cosche politiche? Ha probabilmente ragione l'avvocato Valerio Mazzola che. dopo averlo difeso in primo grado, si è ritirato in appello dicendo che l'uomo ha due cervelli. E se l'uomo ha due cervelli è comprensibile che il gruppo Ambrosiano abbia due anime, strettamente intrecciate fra loro. Al di là della sorte degli uomini il destino dell'istituzione in cui lavorano migliaia di persone e a cui sono legate altre decine (se non centinaia) di migliaia d'investitori e risparmiatori dipende dalla possibilità di sciogliere questo intreccio, dalla capacità di rispondere correttamente alle domande ancora inevase. Risposte che non riguardano più solo gli azionisti, grandi o piccoli che siano, perché sono destinate a influenzare la Borsa e il mercato finanziario, a separare il mondo imprenditoriale da quello politico-affaristico, a sostenere il futuro dell'industria o a incoraggiare gli eredi dei Caltagirone e i loro protettori. «I capitali» dice l'ultima Enciclica di Giovanni Paolo II «non possono essere posseduti contro il lavoro ma non possono essere neppure posseduti per possedere perché l'unico titolo legittimo al loro possesso — e ciò sia nella forma della proprietà privata sia in quella della proprietà pubblica o collettiva — è che essi servano al lavoro». Quando Enzo Biagi ha chiesto a Roberto Calvi come si sentiva, appena fuori dalla prigione, la risposta è stata: «Come un fesso. Lavoror.. Per chi e per clie cosa lavora il cattolico Calvi? Marco Borsa (1. continua) Milano. Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, e Orazio Bagnasco, forse nuovo socio