Colonia, crisi diversa di Sandro Doglio

Colonia, crisi diversa ANCHE L'OPULENTA GERMANIA NELLA ZONA DELLE TURBOLENZE Colonia, crisi diversa Con dieci milioni di abitanti, grattacieli, una rete di autostrade e ferrovie, sembra una fetta d'America - Qui nasce la prosperità tedesca - Politici, banchieri, imprenditori lottano per far scendere il costo del denaro dal «proibitivo» 12-13 per cento al 7-9 per cento - Il sindacato dei metalmeccanici: «Faremo il possibile per salvare l'intesa col padronato» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE COLONIA — Con Londra e Parigi, questa è la .metropoli» più grande d'Europa. Ma più che città europea nel senso tradizionale della parola, questa sembra una fetta d'America. E' una specie di Los Angeles che si allarga per un raggio di sessanta chilometri a volo d'uccello dalle guglie messe antiche e messe rifatte del duomo di Colonia. A Sud si spinge-oltre Bonn, la capitale della Repubblica federale, e Bad Goedesberg, la città degli ambasciatori, fino quasi a sfiorare Koblensa; a Ovest assorbe la vecchia Aquisgrana di Carlo Magno; a Nord comprende la ricca Duesseldorf, le laboriose e fumanti Essen, Bochum, Duisburg, Dortmund; a Est va fino a Wuppertal (dove si dice domini la mafia italiana), e a Leverkusen dove sorge il colosso della Bayer. Nomi tutti legati a industrie, prodotti, ricchesse naturali, punti di riferimento del potere e della storia. Quasi una casa dopo l'altra: soltanto dai nomi sui cartelli stradali ti accorgi di cambiare città. La chiamano «metropoli del Reno-Rhur», dal fiume che ne è la spina dorsale e dal bacino minerario che le dà ragione di vita e ricchessa. Ci invono dieci milioni di persone tra tedeschi e immigrati, ma ancor di più — con le frotte di pendolari — sono quelli che ci lavorano. Una rete a maglie fittissime di autostrade, ferrovie, metropolitane, fiumi e canali navigabili lega come una ragnatela fabbriche e miniere, uffici e case, sane pedonali e splendidi parchi, edifici amministrativi e raffinerie. Qui lavora il governo e tiene seduta il Parlamento. Qui gli industriali tedeschi hanno la loro centrale, i possenti sindacati i loro palassi e i centri-studio: qui si decidono i rapporti sociali dell'intera Germania. Qui ci sono carbone e ferro, industrie chimiche ed elettroniche, catene di montaggio per automobili e acciaierie. Qui — soprattutto — nasce quasi metà della prosperità tedesca. E' il solo «centro- d'Europa nel quale tante attività pratiche e decisionali siano raggruppate o confinanti. Il Mediterraneo è lontano: l'inverno è profondo; il cielo talvolta assume i colori dei quadri fiamminghi. Ma non è soltanto a causa del clima che quell'idea di Europa che ci si può fare a Parigi, a Bruxelles, persino a Londra (non parliamo neppure di Roma o Atene o Madrid), trova in Germania difficili punti di riferimento. Si è più prossimi, ancora, a Una certa immagine dell'America: quella del gigantismo, dei grattacieli, del benessere diffuso, dell'efficientismo, della marea di gente indaffarata che percorre a piedi o in macchina le strade, e via via fino ai ristoranti dai nomi anglosassoni nei quali ti servono una birra o un bicchiere di latte con un gigantesco panino a più strati, e in dieci minuti hai finito di mangiare. Un misto di Neiv York e di Los Angeles, con qualche cattedrale gotica in più. Un paese forse ancora più prospero degli Stati Uniti, ma sensa i poveri della Bowery, sensa il ghetto di Harlem (semmai con qualche isolato di turchi, qualche strada abitata da italiani o da greci o da jugoslavi). I dati statistici segnano record e massimi mondiali: sembra di leggere il «Guinness» dell'economia. Ha scritto Bertrand Fessart de Foucault che in Germania «il Mercato Comune non è vissuto come la nascita di una entità continentale, ma come la prima tappa del disarmo doganale mondiale». C'è uno spacco netto tra la Germania e il resto d'Europa. Anche se da qualche tempo sono apparsi pure qui i segni a noi familiari della crisi: diminuiscono gli investimenti, aumentano i disoccupati, cresce l'inflasione, si rosicchia il potere d'acquisto. «La Germania sente e subisce il cambiamento che viene dal resto del mondo», nota Severino Chiesa, manager della "Ferrerò" in Germania: «L'economia non cresce cosi facilmente come negli anni scorsi: il costo del denaro è aumentato; si profila uno sviluppo zero. Ma mantenere qui uno sviluppo zero significa restare ancora in buona posizione. Per un Paese che da trent'anni vive in stato di crescita, osserva W. Perino. presidente della "Deutsche Fiat", quest'aria di crisi è uno choc; fa rudemente comprendere che il miglioramento non è automatico. Anche se ciò può essere interpretato come un piccolo vantaggio, perché tutti comprenderanno che un ulteriore progresso non può venire che dall'applicazione, dal lavoro». Crisi, dunque. Ma con qualche sfumatura, e con un diverso linguaggio dei partners. «La differenza fondamentale con l'Italia, suggerisce Chiesa, è che il tedesco ha il senso dello Stato. Se l'italiano è un marcato individualista, il tedesco si esprime di più e meglio in una vita collettiva. Si sente forte se lo Stato lo protegge, ed è disposto a osservarne le leggi». E oggi in Germania le leggi sono rispettate da tutti, la polisia è efficiente, il terrorismo è confinato a ruoli quasi insignificanti; la democrasia funsiona, e non c'è quasi malcostume politico. Ciò non significa che la Germania sia il migliore dei mondi possibili o che siano tutte rose e fiori, ma bisogna ammettere che ci sono punti di partensa solidi; in ogni caso differenti da quelli sui quali poggia la situatone per esempio in Italia o anche in Francia. La crisi tedesca di oggi è in realtà un grande nodo politico. Per superare /"impasse la Germania deve decidere se usare gli strumenti dell'economia liberale («Che da trentanni — gran padrino Erhard — hanno permesso la crescita continua»), o scendere a patti con lo Stato assistensiale, per usarlo come tampone allo scettro della disoccupatone e dell'ìnflasione, che ai tedeschi fa ricordare l'incubo degli Anni Venti, quando l'unità di conto era il milione, poi addirittura il miliardo, e chi lavorava veniva pagato giorno per giorno, e aveva diritto a un'ora di libertà in fine mattinata per poter andare con la valigia seppa di banconote a fare acquisti, prima che i pressi aumentassero di qualche altro sero. I socialisti al governo propongono 50 miliardi di marchi (pari a trentamila miliardi di lire) di opere pubbliche, per dare ossigeno al mondo del lavoro. I liberali, i democristiani, i banchieri e gli imprenditori lottano per far scendere il costo del denaro dal «proibitivo» 12-13 per cento attuale al 7-9 per cento, considerato ottimale per una ripresa. «Anziché progettare spese di miliardi per costruire inutili piramidi pubbliche nella speranza di combattere la crisi, il governo dovrebbe amministrare in modo più rigido gli investimenti per l'edilizia sociale», sostengono gli industriali di Duesseldorf: «Rischiamo di finire come altri paesi in cui tutto éMissbrauch, tutto è abuso. Oltretutto, aggiungono, se a costruire sono i privati, le opere sono migliori e costano meno». Sul treno — rapidissimo e puntualissimo — che porta a Duesseldorf, Jochen Bosler. 43 anni, impiegato in una acciaieria, rappresentante sindacale, mi spiega: «Il problema numero uno di oggi sono i disoccupati. Bisogna fare il possibile affinché diminuiscano. Chi ha un lavoro, in fondo, la crisi quasi non l'avverte; ma le preoccupazioni maggiori sono per gli anziani pensionati e per quelli che restano a spasso, e che nessuno più vuole assumere». Il disoccupato in Germania riceve un sussidio pari al 66 per cento dello stipendio medio dell'ultimo anno (straordinari e premi compresi). Dopo 72 settimane, se è ancora disoccupato ha diritto a un contributo inferiore (grosso modo il 50 per cento del salario), e ciò praticamente a tempo indeterminato. «Ma al momento del licenziamento, ricorda Hoerst Kahn, responsabile del personale in una grande asienda chimica, l'ope.aio o l'impiegato riceve sempre una congrua cifra di buonuscita, anche dieci o addirittura 20 mila marchi. E chi ha una qualche specializzazione è certo di non restare neppure un mese senza posto. Nonostante il milione e mezzo di disoccupati, c'è infatti anche adesso penuria di specialisti e di qualificati». Anche le assicurasioni sociali rischiano di essere uno dei punti caldi della polemica sulla crisi e della discussione sul modo di affrontarla. Se ne è fatto un dibattito l'altra sera in televisione, e si è constatato che molti vorrebbero che il risparmio della spesa pub- blica cominciasse per esempio dai milioni di marchi spesi in sempre maggiore quantità per sovvensionare corsi di riqualificasione sulla cui efficacia si avansano seri dubbi; molti vorrebbero anche che venisse abolita — con risparmio di milioni di marchi — la clausola del diritto per i lavoratori di stare assenti dall'impiego fino a tre giorni sensa giustificasione medica, ma con salario pieno. Siamo in epoca di rinnovo dei contratti, e nella cattedrale sindacale di Duesseldorf è difficile avere esplicite dìchiarasioni di moderasione o di disposisione a qualche sacrificio. Ma ciò nonostante il linguaggio non è mai aspro; la Germania resta il paese con il record negativo degli scioperi; le «piattaforme» di richieste non sono deliranti, e fra le righe delle dìchiarasioni ufficiali si può leggere una certa disponibilità al compromesso. «Faremo tutto il possibile, mi dice un esponente dell'I.G. Metall, il possente sindacato dei metalmeccanici, per salvaguardare la buona intesa con il padronato, sistema che ci ha regalato il "miracolo", una economia in miglioramento costante, la prosperità». Proprio il sindacato metalmeccanico ha chiesto per il 1982 un aumento salariale del 7,5 per cento, ma tutti lasciano intendere che non è utopia sperare in un accordo finale attorno al 5 per cento, cioè un punto e messo abbondante al di sotto dell'indice di infusione, che in Germania è del 6,5-6,7 per cento. «Io credo che pur di trovare il modo di ridurre il numero dei disoccupati, l'operaio tedesco sia al limite disposto a perdere anche un pizzico del proprio potere d'acquisto». C'è moderasione nel linguaggio da entrambe le parti, insomma. Ma c'è pur sempre braccio di ferro tra socialisti e liberali, pur con tutte le sfumature e le cautele che la composita tavolossa dei partiti tedeschi impone. Ed è in gioco qualcosa di più della contìnuasione del benessere tedesco. Sandro Doglio Colonia. Veduta aerea della grande metropoli sul Reno dominata dalle guglie di ì celebre duomo (Publifoto)

Persone citate: Bertrand Fessart De Foucault, Bowery, Jochen Bosler, Kahn, Perino, Severino Chiesa