E' giustificabile il golpe in Polonia? Le risposte di un'assemblea pci a Roma di Ezio Mauro

E' giustificabile il golpe in Polonia? Le risposte di un'assemblea pci a Roma E' giustificabile il golpe in Polonia? Le risposte di un'assemblea pci a Roma Due le principali posizioni: «A Varsavia non c'era terza via, altrimenti si diventava un'altra stella americana» - «Democrazia e socialismo all'Est son termini inconciliabili» ROMA — Berlinguer ieri a «Tribuna politica- ha rinnovato la condanna del pei sulle vicende polacche, e ha confermato l'intenzione dei comunisti di compiere una profonda riflessione sulle società dell'Est. Ma come reagisce la base comunista? Un significativo test potrebbe essere la cronaca dell'attivo tenuto dalla federazione romana del pei lunedi notte sugli avvenimenti di Varsavia. ROMA — «Adesso ha la parola il compagno Bertone», dice a un certo punto Maurizio Ferrara. E' il segretario regionale del pei nel Lazio, e stasera tocca a lui regolare il gran traffico di inquietudine, rabbia, delusione che s'incrocia in questa assemblea dei comunisti romani, convocata in tutta fretta per discutere sulla Polonia. Il vecchio teatrino di via dei Prentani è pieno di gente, di attese, di fumo. Li in mezzo accanto ad Ingrao, davanti a un microfono e a un foglio per gli appunti, in una notte uguale ad altre del '56 e del'68, forse Ferrara ripensando all'Ungheria, a Praga e all'Afghanistan si e ricordato di un verso che aveva scritto anni fa, dove diceva che la storia è fatta «di lutti e guai». Ma adesso, si è alzato in piedi il «compagno Bertone», e bisogna ascoltarlo. -Ma lo sapete — chiede subito — che Solidarnosc era pieno di operai comunisti, costretti a cercare lì. fuori dal partito, la loro organizzazione nazionale e di classe?». La gente lo sa, e batte le mani. E Bertone va avanti, spiega che la colpa del caos è del gruppo dirigente del partito, che per 35 anni ha governato da solo, che ha cercato di resistere al rinnovamento fino all'ultimo minuto dell'ultimo giorno, «e intanto affondava e si scioglieva, tanto che adesso tra quel partito e la società confusa, c'è solo più l'esercito». Ecco, dice Bertone con rabbia, «a questo si sono ridotti i comunisti in Polonia: a un gruppo dirigente isolato, che deve governare con l'esercito». E la conclusione è amara: -Dobbiamo avere la forza di ammettere che quel modello socio-politico è fallito, non è governabile e riformabile. E il comunicato della direzione del pei sbaglia, quando continuiamo a dire che democrazia e socialismo sono inscindibili, mentre sappiamo che questo vale per noi, mentre là, all'Est, la storia dimostra che sono invece inconciliabili». La sala applaude. Bertone ha finito, e si alza subito a parlare Fiorani, per raccontare la sua domenica -piena dì delusione» davanti alle noti- zie polacche, e anche i suoi scomodi interrogativi. -Io non so più. Mi chiedo: non ci sarà anche una responsabilità di Solidarnosc, in quel che è successo? Voleva cambiare la natura dello Stato, ma non faceva i conti con la realtà del blocco orientale». Nel silenzio dell'assemblea, Fiorani rovescia sul teatrino i suoi dubbi: Ditemi voi, c'era forse qualche altro sbocco possibile? C'era ancora qualche possibilità di mediazione, a questo punto, oppure quella di Jaruzelski era l'unica soluzione? Queste cose me le chiedo con amarezza: e non ho ancora trovato risposta». E una mezza risposta la porta il «compagno Greci», che prende la parola, ricorda gli «avversari» che aspettano il pei al varco, cita con distacco -gli onorevoli Piccoli e Craxi», e poi spiega: -E' sbagliato dire che vista la situazione in cui era finita la Polonia, non c'erano altre strade. La domanda da fare è un'altra: come si è potuti arrivare a quella situazione? Di chi è la colpa?». Ma ecco salire al microfono un certo Sgrò, che ha altre idee in testa: -Qui nessuno dice che l'esercito polacco è figlio del popolo, e a un certo punto ha fatto bene a rovesciare un regime corrotto, dall'una e dall'altra parte, compreso quel sindacato americano che è Solidarnosc». Sgrò si volta verso Ingrao. e sembra volerlo ammonire: «A Varsavia non c'era terza via. O l'intervento sovietico, o si diventava un'altra stella americana». E a Ingrao si rivolge anche una donna di mezz'età: -Tu che parli contro i blocchi militari, perché non chiedi che l'Italia esca dalla Nato?». E anche Salmeri ha qualcosa da dire ad Ingrao: attento, nell'introduzione ha parlato di «politica imperiale dell'Urss», mentre Amendola non lo avrebbe mai fatto, lui parlava solo di politica di potenza. Ma queste sono storie, bisogna lasciar perdere, salta su a dire il «compagno Birar». Spiega: -E' possibile che ogni volta che ci riuniamo per discutere argomenti come questo, come l'Afghanistan, finiamo poi per parlare di cose diverse, dalla Rivoluzione d'ottobre al ruolo dell'Urss nella seconda guerra mondiale? Basta. Il problema oggi è il colpo di Stato militare in un Paese socialista. Vogliamo parlarne?». Ma la gente, chiede qualcuno, la gente fuori, che cosa dice? -Io ho parlato con una trentina di compagni — va a rispondere al microfono Rinaldi —. Bene, non ne ho trovato uno contrario ai provvedimenti di Jaruzelski. Il partito deve essere orientato». E Ingrao incomincia a farlo: per troppi anni, spiega, il pei ha difeso l'Urss acriticamente. Oggi non può rinunciare a capire, a far valere le sue posizioni. Il Papa e Colombo, come si è lamentato qualcuno, sono stati più pru denti di Berlinguer? -Il Papa ha i suoi vescovi — dice Ingrao — io lotto per il socialismo, e a questo misuro i miei giudizi». E lottare perii socialismo, aggiunge, non significa difendere solo la «democrazia sostanziale», ma anche i diritti individuali. E' arrivato il momento di riflettere sulle suev- società dell'Est, fino in fondo, uscendo dalla formula del «socialismo finora realizzato» e abbandonando anche la vecchia tesi che parlava di -una struttura socialista e una sovrastruttura con tratti illiberali». E Solidarnosc? Certo, avrà commesso errori, dice Ingrao: -Ma piaccia o no, le masse erano scese in campo dietro quella bandiera, e noi dobbiamo tenerne conto». E il giudizio sull'Urss? «Se intervenisse in Polonia, chi potrebbe ancora dire che non segue una logica imperiale?». Infine, un invito, a liberarsi dai miti e dai «santini», per portare avanti la ricerca della terza via e la strategia dell'alternativa, «che vuol dire libertà». Prima di uscire, nella sala risuonano ancora le parole del «compagno Violo»: -Non spaventiamoci se abbiamo discusso du ramente. Nel '56 era peggio, era un pezzo di storia che cedeva, crollava. Io da allora rimprovero al partito di non aver scavato più a fondo nel giudizio sul socialismo reale: ma adesso possiamo farlo, è l'ora». Ezio Mauro Varsavia. Un'autoblindo avanza nella neve verso il centro della capitale polacca: un soldato osserva la manovra (Tel. United Press)