Lo show di Tognazzi salva Arbore di Ugo Buzzolan

Lo show di Tognazzi salva Arbore LA CRONACA TELEVISIVA Lo show di Tognazzi salva Arbore di Ugo Buzzolan La prima puntata di Telepatria di Renzo Arbore, l'altra settimana, è andata maluccio. Non si capiva soprattutto cosa fosse, che faccia volesse avere. Assegnata l'indulgenza per l'esordio, questa seconda puntata, in onda l'altra sera, doveva essere anche un «chiarimento», che però non c'è stato, o c'è stato solo in minima parte. Diamo subito ad Arbore un merito, quello di cercare di fare in radio e in tv trasmissioni non tradizionali, controcorrente. In radio ha sempre messo a segno i colpi. In televisione l'impresa sembra assai più difficile. Tagli, ritagli, frattaglie è stato un tentativo rispettabile ma fallito. E Tele¬ patria? Provo a radunare le impressioni sulla seconda puntata. Il baldo irrompere della banda dell'aeronautica militare, l'entrata di Arbore sul cavallo bianco come il duce, con il cravattino tricolore, e una platea composta esclusivamente di ufficiali e soldati creano qualche perplessità: è un programma patriottico o è un cabaret che scherza — con le dovute cautele — sul patriottismo, l'esercito, le divise, l'italianità? Si va avanti e si assiste nell'ordine a: 1) una sfilata di poeti popolari che sparano rime sul tema «Italia, che passione » ; 2) un monologo di Marenco vestito da scolaro delle elementari che legge un com- pitino (lunghetto); 3) Arbore che canta una sua canzone che definiremo «affettuosamente satirica» all'indirizzo di Dino De Laurentiis; 4) il coro farsesco Lavora e cinguetta con i coristi che imitano fischiando gli uccelli; 5) un balletto formato da danzatori non professionisti reclutati nelle balere fra cui un arzillo settantenne, una formosa pensionata, alcuni studenti, un nano. A questo punto la fisionomia della puntata parrebbe abbastanza delineata: uno show confezionato alla garibaldina, una specie di divertimento dopolavoristico «buttato là» da Arbore e soci con una strizzatina d'occhio, una sorta di nuova ora del dilettante organizzata a beneficio delle forze armate. Si recita e si canta alla «come viene, viene»; tutto è. o ha l'aria di essere, improvvisato e mandato sul video all'ultimo momento, con gente che non è del mestiere e con Arbore mattatore che cuce alla meglio un pastrocchio non certo irresistibile ma nemmeno sgradevole dal quale si vorrebbero comunque più battute fulminanti, più trovate «pazze», più irriverenza: anche se si parla dell'Italia, o proprio perché si parla dell'Italia. Ma nel finale ecco il ribaltamento del programma, del suo tono, della sua struttura, quasi la sconfessione di quello che si era fatto sino ad allora. Via l'ora del dilettante, via i non professionisti, ed è avanzato un professionista al mille per mille. Tognazzi. nelle vesti di san Giuseppe evocato dal tavolino a tre gambe. Bisogna dire "h* il numero di Tognazzi è s> celiente. Con una brav.. • chiudere la bocca a giovani ^ornici presuntuosi e a vecchi comici imbolsiti, ha sbozzato una figura di santo emarginato, soprannominato in paradiso «signor Madonna», che non può parlare del suo primo, famoso miracolo perché troppo imbarazzante, che in dialetto veneto illustra il grande show celeste di ogni anno con il Padre Eterno che fa il miracolo («magnifico, ma sempre lo stesso-) dei pani e dei pesci, e descrive la vita dei santi tra cui un tale san Bettino che si dà tanto da fare e non si sa fin dove vuole arrivare... Tognazzi ha provocato le uniche vere risate di uno spettacolo la cui faccia resta ambigua. Dilettantismo o professionismo? Il secondo, stavolta, ha vinto e stravinto.

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