Sciarrino il triste e Kagel del Variété di Massimo Mila

Sciarrino il triste e Kagel del Variété Due atti unici di contemporanei hanno aperto la stagione della Piccola Scala Sciarrino il triste e Kagel del Variété DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MILANO — Anche la Piccola Scala ha aperto i suoi battenti con uno speltacolino di due atti unici d'autori contemporanei, entrambi — per motivi opposti — fuori dalle consuetudini del teatro lirico tradizionale. In uno le ragioni della musica prevalgono di gran lunga su quelie dello spettacolo; nell'altro è il contrario. Definito dall'autore «natura morta in un atto... Vanitas di Salvatore Sciarrino è di fatto una cantata per una voce, violoncello e pianoforte su otto testi di varie epoche e di vari autori, sagacemente accostati dal compositore per rendere, in cinque vasti Lieder, una meditazione fondala sull'ossessiva sensazione del vuoto e sull'artificio pittorico, continuamente richiamato, dall'anamorfosi, cioè di quella sorta di prospettiva che permette la percezione d'unimmagine soltanto di scorcio, da un determinato punto di vista. La rosa, con la sua caducità, lo specchio e il suo equivalente acustico, l'eco, con le loro illusioni, sono gli argomenti-chiave di questa vera e propria riflessione sulla morte collegata, come l'autore stesso informa, a un momento particolare della sua vita. «un momento di rinuncia e di riflessione». Musicalmente tutto questo significa che il cosiddetto riflusso del post-moderno ha raggiunto anche quel campione d'una personalissima avanguardia ch'era Sciarrino. Poco o nulla rimane in Vanitas di quella centrifugazione e atomizzazione del suono ch'era lo stilema inconfondibile della sua musica, soprattutto strumentale, simile a un ossessionante frinire di cicale. Qui la cantillazione della voce, moderatamente ornata. poggia sopra un solido discorso pianistico, fondato principalmente sull'arpeggio, «storicamente il principe degli accompagnamenti», come scrive l'autore, pronunciando senza paura la parola che designa un principio musicale oggi tanto screditato. Su questo impianto dichiaratamente liederistico per voce e pianoforte si fonda il lavoro, a cui il violoncello è stato aggiunto in un secondo tempo, principalmente come illusionistica eco della voce, ma con l'assegnazione di una introduzione tutta in suoni armonici (anche questi, manco a dirlo, immagine acustica di quel vaneggiamento tra realtà e sogno che è oggetto di tutto il lavoro). E al violoncello spelta altresì l'ultima parola con una lunga discesa, in lentissimo glissando, verso le sue regioni naturali. Una vecchia e celebre canzone americana. Stardust. latinamente tradotta in Puhns stellaris. è alla base dell'episodio centrale dello specchio infranto, e negli arpeggi dell'ac¬ compagnamento pianistico il modulo d'impianto viene dal primo Preludio di Chopin: la parodia, il rifacimento, la riflessione su musica preesistente sono elementi indispensabili d'ogni atteggiamento rétro. Ma tutlo questo fatlo con la signorilità e leggerezza lipiche d'un musicista come Sciarrino. senza calcare minimamente la mano sull'effetto di citazione, si che sarebbe difficile accorgersene, se non ne venissimo informati dal programma di sala. E per contro resta in qualche modo, indistruttibile anche in un paesaggio musicale cosi mutalo e orientato verso il liedcrismo. quel senso di grecità, quell'orizzonte di nobiltà classica che è tipico di tutto l'operare musicale di Sciarrino. a qualunque stile si attenga. Che c'entra la scena in questo lavoro, che facilmente potrebbe trovare asilo in sede di concerto? L'autore fornisce prescrizioni minuziosissime, quasi traduzione d'un sogno interiore: in una stanza oscu¬ ra (il nero quest'anno va molto alla Scala), con luci regolate in modo da esibire le più piccole parti del corpo come fossero oggetti galleggianti nello spazio, un mezzosoprano in parrucca rossa, da sciogliere poi in tutta la sua lunghezza e con un teschio sulla nuca, visibile solo alla fine quando si volterà: inoltre «un'altra donna di bell'aspetto al pianoforte» (di schiena, sul proscenio) e un «uomo giovane e piacente al violoncello». Questa visione interiore del musicista, il regista Pier'Alli (autore d'un testo semplicemente infernale nel programma di sala) ha estrinsecato con straordinaria efficacia nella disposizione degli oggetti scenici e dei personaggi (anche alcuni mimi, oltre agli esecutori musicali) e nel gioco sapientissimo, veramente illusionistico delle luci volte ad isolare in modo allucinante particolari come la punta d'arco del violoncello o l'occhio della cantante. Questa era Daisy Lumini: la pianista Gabriella Barsotli. il violoncellista Arturo Bonucci. tutti giustamente applauditi, insieme col regista e con l'autore, sia pure fra qualche contrasto, dovuto più che altro al provocatorio mantenimento dell'oscurità dopo la fine della rappresentazione. Suoni e trapezi Tutt'altra cosa il Variété di Maurizio Kagel. un «concerto-spettacolo per artisti di circo e di varietà», dove è ben difficile stabilire quale parte e quale merito spetti al musicista per il divertimento offerto sulla scena (di Gian Maurizio Fercioni) da una ventina di giocolieri, funamboli, trapezisti, contorsionisti, equilibristi, lanciatori di coltelli, accentrati intorno agli sbalorditivi trucchi del mago Silvan. definito nella stessa locandina «demone dello spettacolo». Un grandissimo merito va probabilmente riconosciuto alla regista Andrée Ruth Shammah. una ragazzina in maglione canarino die ha sa¬ puto regolare l'apparente confusione della scena multicolore in modo da far sempre risaltare il ..numero., principale in mezzo ai movimenti accessori. Cos'ha fatto Kagel? Una quindicina di pezzi per vari strumenti, tra cui predomina una tromba con wa-ioa e altre sordine deformanti, oltre a pianoforte, organo elettrico e fisarmonica, clarinetto o saxofono, percussioni. I pezzi non hanno nulla di avanguardistico: sono abile musica da varietà, di cui l'autore si affanna a dire che non ha nessuna pretesa di commentare lo spettacolo e che se ne sta per conto suo. magari perfino con possibilità aleatorie d'interscambiabilità. Non è vero niente: i pezzi musicali, nella loro apparente indifferenza di musique d'ameublement. ambientano egregiamente i numeri dello spettacolo, creando l'opportuna suspense intorno ai prodigi dei giocolieri, un tempo presagi di un altro mondo dove fosse possibile realizzare l'impossibile e oggi forse destinati a tramontare malinconicamente di fronte ai ben più temibili prodigi della computerizzazione. Kagel viene spesso stigmatizzato, negli ambienti musicali seri, come un buffone. Certo, ma lui. nelle sue cose migliori, quando non si lascia tentare anche lui da fantasie funeree, il buffone lo fa apposta, a differenza di certi campioni d'un surrealismo musicale di retroguardia che fanno con mortale seriosità le stesse cose che i francesi di Cocteau facevano per gioco. Giusto applaudirlo questa volta senza riserve insieme alla divertente regista e a tutti i pittoreschi, variopinti e bravissimi giocolieri dello spettacolo. Massimo Mila In «Vanitas» prevalgono le ragioni della musica con il riflusso del post-moderno L'altro, con grande regìa, mette in scena giocolieri e anche il mago Silvan Il mago Silvan Dna scena del «varieté» di Kagel alla Piccola Scala

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