Brucia Pearl Harbor, gli Usa in guerra di Giuseppe Mayda

Brucia Pearl Harbor, gli Usa in guerra I RETROSCENA DEL BLITZ GIAPPONESE CONTRO L'AMERICA 40 ANNI FA Brucia Pearl Harbor, gli Usa in guerra All'alba del 7 dicembre 1941 diciotto navi americane fuori combattimento: cinque corazzate distrutte, 2467 morti (di cui 64 giapponesi) - Churchill sente la notizia alla radio, mentre cena con rinviato di Roosevelt - Ribbentrop e Mussolini sono «felici» e anche Vittorio Emanuele III si «compiace dell'avvenimento» - Il Senato degli Stati Uniti decide all'unanimità di rispondere all'aggressione - Il discorso del Presidente (500 parole, sei minuti): «Una data che resterà simbolo d'infamia» Quando la prima bomba giapponese lanciata su Pearl Harbor esplode davanti a Battleship Roto alle 7,46 del mattino di domenica 7 dicembre 1941, la sorpresa — nella base americana dell'isola di Ohau — è totale anche se all'alba il posamine Condor aveva avvistato all'ingresso della rada un misterioso sommergibile, poi attaccato e affondato dal cacciatorpediniere Ward. Nessuno, davvero, aspetta i giapponesi. L'arumiraglio Rimmel, alle 7,55, è in tenuta da golf e attende, nella sua villa sulle pendici del vulcano di Makalapa, l'arrivo del generale Short per la consueta partita domenicale; il quartiermastro Handler, sul cacciuiorpediniere Helm, vede un gruppo di aerei sorvolare la rada a novanta metri di quota e, poiché uno dei piloti gli fa un cenno di saluto, risponde calorosamente; l'infermiere Lynch, a bordo della California, è svegliato da un graduato che gli urla: «Vieni a vedere! Una portaerei russa è venuta a farci visita e arrivano degli aeroplani col disco rosso sotto le ali!». L'attacco giapponese si scatena dal cielo con 183 aerei (43 di protezione, 51 bombardieri in picchiata, 40 aerosiluranti e 49 bombardieri d'alta quota) e mentre Fuchida lancia per radio il trionfante «Torà, torà, torà! » i suoi piloti si avventano sulla corazzata Oklahoma ormeggiata in coppia con la Maryland a Battleship Row. Sapendo che il fondale della rada di Pearl Harbor non supera i 14 metri di profondità (un siluro lanciato dall'aereo si deve immergere una ventina di metri prima di risalire per poter raggiungere il bersaglio) i giapponesi si erano allenati a lungo nella baia di Kagoshima: invariabilmente i loro ordigni, in un tragitto tanto breve, sbandavano, urtavano contro il fondo e si conficcavano nella melma ma alla fine, fissando alla coda dei siluri degli stabilizzatori di legno, erano riusciti a modificarne la corsa e la traiettoria. 1 primi cinque siluri, infatti, planano perfettamente sull'acqua, sfiorano il fondo e riemergono colpendo a prua e a poppa /'Oklahoma, ch'è all'esterno. Sulla corazzata salta l'impianto elettrico e si bloccano i cannoni; lo scafo viene squarciato in tre punti e poco dopo la nave affonda mentre i suoi uomini, come impazziti, si gettano in acqua. Trentadue marinai, che col furiere George Murphy si sono rinchiusi al centro della corazzata, dietro una porta stagna, saranno ritrovati vivi l'indomani nell'interno deZ/'Oklahoma rovesciata. Fra il sibilo delle bombe, lo scoppio delle torpedini, il fischio lacerante degli aerei in picchiata e la baia in fiamme per l'incendio del carburante uscito a fiotti dai depositi e dal ventre delle navi, anche la California è colta in pieno: prima da due siluri, poi da una bomba da 250 chili che, attraverso un boccaporto. raggiunge la santabarbara. Dilaniata da una spaventosa esplosione la corazzata si rovescia — dieci minuti dopo l'inizio dell'attacco giapponese, alle 8,05 — sul fondo melmoso del porto, ma i suoi marinai riescono a salvarsi: i morti sono 98. Immediatamente dopo la furia degli aggressori, che volteggiano in triplice fila indiana sopra Oahu nel senso inverso a quelle delle lancette dell'orologio, si scatena sull'Arizona ormeggiata a proravia della Nevada e, per minima parte, protetta dalla nave-officina Vestal. Ai piloti nipponici è stato raccomandato di non sprecare proiettili e di compiere tutti i passaggi necessari ad aggiustare il tiro. Cosi un siluro centra subito {'Arizona quasi sotto poppa, una bomba devasta la coperta strappando letteralmente un cannone, un'altra demolisce la torre di tiro numero 4. Senza difesa Sono le 820. Sul terrazzo del comando base, dove si domina il tremendo spettacolo delle nain in fiamme nell'East Loch, nel Middle Loch e nell'insenatura di Aiea, l'ammiraglio Kimmel — accorso ancora in tenuta da golf — è colpito di striscio al petto da una scheggia di granata e, come Ney alla battaglia di Waterloo, rimane senza un gesto mormorando: «Perché non è penetrata?». E' trascorsa quasi mezz'ora dall'inizio dell'incursione, eppure fino a questo momento la contraerea non è riuscita a organizzarsi e a opporre un consistente sbarra¬ mento di fuoco agli aerei giapponesi che martellano la rada con bombe e siluri e attaccano i campi di aviazione distruggendo centinaia di caccia e di bombardieri. Sono sintomatici i messaggi radio dei nipponici: «Ore 8.05 a.m. siluri lanciati con successo»; «Ore 8.10 a.m. trenta aeroplani colpiti e 23 in fiamme»; «Ore 8.16 a.m. colpito grosso incrociatore»; «Ore 8.22 a.m. colpita nave da battaglia». Poi è la volta della West Virginia demolita con tre siluri (105 morti), della Tennessee raggiunta da due bombe perforanti sulla tolda (5 morti) e, infine, della Pennsylvania, la nave ammiraglia della flotta del Pacifico. Benché ricoverata in bacino e protetta da due cacciatorpediniere, la corazzata è colpita da una bomba (18 morti) e devastata da un incendio. Due altre bombe aprono spaventose falle nel ponte della Maryland (415 morti). La Nevada, che tenta di prendere il mare, è raggiunta da un siluro e da tre bombe (50 morti) e rischia di colare a picco all'imbocco della rada. Tutto attorno incrociatori, cacciatorpediniere e navi ausiliarie stanno affondando (come la Utah;, bruciando o esplodendo; una nuvola di fumo denso e nero ricopre l'isola. A terra la situazione non è migliore anche se la Tank Farm, il deposito di quattro milioni e mezzo di fusti di nafta e carburante che provvede al rifornimento della flotta del Pacifico, non è stata toccata e si salverà dalla distruzione. Ma gli aerodromi di Hickam Field, Wheeler Field e Fort Island, i depositi di mu¬ k o e a e ¬ nizioni, i baraccamenti e le caserme sono mitragliati e spezzonati. Sulla pista di Ewa un marine, che non verrà mai identificato, è in piedi, solo, accanto a un aereo sfasciato. Quando vede "picchiare- su di sé uno -Zero- giapponese che lo prende di mira con le mitragliatrici di bordo tempestandolo di colpi, non muove un passo; anzi, estratta la pistola, risponde al fuoco (il pilota dello «Zero-, tenente Yoscio Sciga, considera ancora oggi quello sconosciuto marine il più valoroso soldato americano ch'egli abbia mai incontrato). Mare di fuoco Alle 8,40 il primo gruppo giapponese si ritira: «Missione compiuta» trasmette Fuchida all'ammiraglio Nagumo. «Rientriamo. Pearl Harbor è un mare di fuoco». /( suo posto è preso dalla seconda ondata dei 171 aerei del comandante Shimazaki. Il nuovo attacco ha inizio alle 8,54: a questo gruppo spetta il compito di completare la distruzione. Il bilancio dell'operazione è impressionante. Dopo due ore di attacchi, delle 96 navi americane alla fonda a Pearl Harbor 18 sono fuori combattimento. Cinque risultano distrutte (le corazzate Arizona e Oklahoma, i cacciatorpediniere Cassin e Downes, la nave-bersaglio UtalU quattro arenate o colate a picco anche se in seguito verranno recuperate (le corazzate West Virginia. California e Nevada, il posamine Oglala), nove gravemente danneggiate (le co- razzate Tennessee, Maryland e Pennsylvania, gli incrociatori Helena, Honolulu e Raleigh, il cacciatorpediniere Shaw, le navi ausiliarie Curtis e Vestala Sui campi di aviazione di Oahu sono stati distrutti 188 aerei americani e altri 159 danneggiati. Le perdite umane ammontano a 2403 morti americani (2008 della Marina, 109 dei marines, 218 dell'esercito, 68 civili) e 1178 feriti. Secondo calcoli di Tokyo i giapponesi hanno perduto 29 aerei (9 caccia, 15 bombardieri e 5 aerosiluranti), un grande sommergibile e tutte cinque i sottomarini tascabili. I morti accertati da parte nipponica sono 64, di cui 55 aviatori. Non si è mai saputo quanti fossero stati i marinai a bordo del grande sommergibile. Alle 5.05 (ora di Tokyo) l'ammiraglio Nagumo conferma, alle supreme autorità militari del Giappone, il «kishu-seiko», il successo dell'attacco di sorpresa. Sette ore più tardi il Mikado appone il sigillo imperiale al rescritto che proclama lo stato di guerra con l'America; poi, scandalizzando l'intero Giappone, riceve in udienza privata il plebeo Fuchida per congratularsi con lui. Di là dell'oceano, a quasi 9000 chilometri di distanza, la notizia dell'aggressione a Pearl Harbor si diffonde all'inizio del pomeriggio. « Oggi ho fatto colazione col presidente Roosevelt nello studio ovale. scriverà nelle memorie Harry Hopkins. Stavamo conversando di cose senza importanza e che non avevano nulla a che fare con la guerra quando, alle 13.40, si fece annunciare il sottosegretario Knox e disse d'aver ricevuto da Honolulu un messaggio radio del comandante in carica delle forze colà dislocate che annunciava a tutte le stazioni un attacco aereo...». Alle 1426 (ora di Washington), mentre alle Hawaii /'Arizona cola a picco, l'annunciatore della radio «con voce bassa, rotta da un singhiozzo», interrompe la cronaca sportiva dell'incontro Dodger-Giants che si svolge sul campo di polo di New York: «Scusatemi, amici. Mi dicono che in questo momento i giapponesi stanno bombardando Pearl. Non ho altri particolari. Si sa soltanto che bombardano le nostre navi. Mi auguro che non sia vero». Quattro minuti più tardi, battendo tutti i concorrenti, la Cbs dà un primo bilancio delle perdite. Alla Carnegie Hall di New York l'orchestra diretta da Arthur Rodzinskij sta per iniziare la Sinfonia n 1 di Sciostakovic quando la radio annuncia: «I giapponesi attaccano Pearl Harbor». Afa :/ pubblico lo apprende soltanto alla fine del concerto dall'annunciatore Warren Sweeney. A gran voce la platea chiede che l'orchestra suoni l'inno nazionale Bandiera stellata, e (o accompagna can tondone tutte le strofe. Due ore dopo a Charlotte, nella Carolina del Nord, il v'entiseienne ufficiale pilota John W. Mitchell esce di casa per recarsi al Caroline Theatre dov'è in programma II sergen te York interpretato da Gary Cooper. Davanti al cinema^ Mitchell acquista un giornale C'è scritto: «Attacco giapponese. Distrutta la flotta del Pacifico». L'ufficiale non sa che di lì a sedici mesi ucciderà, abbattendolo in volo, l'ammiraglio Yamamoto, ideatore del colpo contro Pearl Harbor. In Gran Bretagna, nella residenza del primo ministro ai Chequers, Churchill è a cena con l'inviato di Roosevelt, Averell Harriman, e l'ambasciatore americano Winant. Alle 21 il maggiordomo Sawyer apre la radio; il bollettino militare è già ominciato. A un certo punto Harriman fa cenno a Winant di tacere: «Mi sembra che la radio parli di un attacco giapponese agli americani!». Churchill balza all'apparecchio e alza il volume ma il bollettino è già terminato: «Possibile?». Entra Sawyer, che dice: «Mi scusi, sir Winston. ma è proprio vero! L'abbiamo sentito anche noi». In due minuti Churchill ottiene la comunicazione telefonica con la Casa Bianca. E' un dialogo brevissimo: «Signor presidente, cos'è questa faccenda del Giappone?». «E' vero», risponde Roosevelt. «Ci hanno attaccati a Pearl Harbor. Ora ci troviamo tutti nella stessa barca». «Questo di certo semplifica le cose», replica Churchill. «Dio sia con voi». E' notte alta, a Berlino, quando il servizio di ascolto della radio tedesca capta la notizia. Un funzionario dell'ufficio stampa telefona a Ribbentrop. Il ministro degli Esteri, seccato per il disturbo, risponde che non ci crede: «Probabilmente si tratta di un trucco propagandistico del nemico». Tuttavia, la notte stessa, Ribbentrop avverte Ciano: «Telefonata notturna di Ribbentrop», scrive Ciano nel Diario sotto la data dell'8 dicembre 1941. «E' raggiante per l'attacco giapponese all'America. Ne è cosi felice che mi felicito con lui, pur non essendo troppo sicuro dei vantaggi finali dell'accaduto» (qualche ora dopo Vittorio Emanuele III si «compiace dell'avvenimento» e «anche Mussolini è felice»). Nel pallido sole invernale del mezzogiorno di lunedi 8 dicembre, a Washington, si riunisce il Congresso in Campidoglio: Roosevelt parlerà alle 1229. Nell'aula entrano a braccetto il capo dei democratici Barkley e quello dei repubblicani McNary, il sostenitore di Roosevelt Elmer Thomas e il senatore isolazionista Johnson, della California. L'intervento // Senato decide, all'unanimità, la guerra al Giappone. Alla Camera soltanto «una vecchia figlia del Montana», la deputatessa Jeannette Rankin, che già nel 1917 s'era schierata contro l'intervento militare americano in Europa, nega il proprio voto: tutti gli altri rappresentanti approvano. Accompagnato dal figlio Jimmy, Roosevelt sale alla tribuna. Sua moglie Eleanor è fra il pubblico accanto alla vedova di Woodrow Wilson. Dopo un attimo di silenzio il presidente apre un quadernetto dalla copertina nera, di quelli che si usano a scuola, e il suo discorso — che dura sei minuti e consta di 500 parole — comincia cosi: «Ieri, 7 dicembre, data che resterà simbolo di infamia, gli Stati Uniti d'America sono stati improvvisamente e deliberatamente attaccati da forze aeree e navali dell'impero giapponese...». Giuseppe Mayda (2. Fine) L'attacco all'aeroporto di Hickam Field: 188 aerei americani furono distrutti e 159 danneggiati (Archivio «La Stampa»)