Voznesensky: «Chi ha paura del mio Dostoevskij rock?»

Voznesensky: «Chi ha paura del mio Dostoevskij rock?» COLLOQUIO A LONDRA COL DISCUSSO POETA RUSSO Voznesensky: «Chi ha paura del mio Dostoevskij rock?» LONDRA — Andrei Voznesensky è tornato a Londra dopo sedici anni di assenza. Questo sovietico che molti — tra i quali W.H. Auden e Robert Lowell — considerano come il maggior poeta vivente, non ha trovato Londra «cosi cambiata»; mentre Londra ha trovato lui diverso, maturato. Gli occhi azzurropallidi pieni di scintille, Andrei Voznesensky ha recitato le sue poesie al teatro Round House, gremito di pubblico, cominciando con l'ultima che aveva recitato a Londra, 16 anni prima «cosi potrete giudicare se il mio stile è cambiato». Traduceva per lui l'ottimo attore inglese Edward Fox, voce pacata, effetti misurati, l'opposto del poeta, che ha dato di ogni poesia una lettura chiara. In giro si vedono tanti passeri e rondini e allodole, ha detto Edward Fox, ma è raro poter ascoltare l'Uccello del Paradiso. Voznesensky è il poeta del dissenso interno: «Sono usciti tutti, dice, io rimango». La sua poesia, forte, ispirata, ha inconfondibile il ritmo dei Grandi. Alcune, come 'Non tornare ai vecchi amori- o • Tecnologia* sono di intonazione satirica; altre liriche, come .1 fiori di Chagall-, altre ancora, come «// testamento di Gogol,, chiedono la libertà di pensiero. Quasi tutte le poesie lette da Fox e recitate da Voznesensky sono appena state pubblicate dall'Oxford University Press, con il titolo di Nostalgia per il presente. Voznesensky non è solo uomo di poesia, ma di azione: non si ferma mai. Una volta era tra gli organizzatori del teatro moscovita di avanguardia Na Taganka; oggi il fautore di un'-opera-rock*, per la quale ha scritto le liriche: in Unione Sovietica ha un successo enorme quanto burrascoso. Time Magazine ha descritto questa sua Junona Avos come una storia di détente e di nostalgia. «E' Dostoevskij-rock», dice Voznesensky, «Avos è una antica parola russa, intraducibile, qualche cosa come "buona fortuna"». Il poeta vuole portarla in Europa; a Mosca, per le sue dieci recite, ci sono state code e i biglietti sono arrivati a 50 rubli sul mercato nero. Persino a Tashkent, dove la compagnia è andata con una recita, c'è stato enorme entusiasmo: vetri e porte rotti, perché tutti volevano vedere Junona! Lo spettacolo riunisce il meglio, i più giovani, il nuovo talento come Vasiliev «il miglior ballerino sovietico», emulo di Nureyev e Barishnikov. E' un genio: la coreografia è sua, sullo stile di Béjart. La musica, ispirata alla vecchia musica russa liturgica e a Masorgskij, è di Ribnikov, ma è anche rock e elettronica: un capolavoro. Suonano sette persone, un ottimo gruppo dall'Estonia. «La storia è basata su un fatto veramente avvenuto e su una lunga poesia scritta da Andrei Voznesenski. Nel 1806 un principe russo di 46 anni si innamorò della figlia del governatore spagnolo di San Francisco, che aveva 16 anni. Tutto era contro di loro, lei era cattolica, lui ortodosso, ma si amano, fanno l'amore». Sul palcoscenico? «SI, certo, lei indossa una calzamaglia che la fa sembrare nuda ed è una scena molto sexy». Il principe chiede il permesso allo Zar di sposare la ragazza, va in Siberia a cavallo, cade, muore sotto uno strato di ghiaccio. «Lei, che era bellissima, lo attende per 35 anni, finché un ammiraglio Inglese che la incontra le dice di aver visto la tomba del principe. Scusi se sono banale, ma questa è una storia più cocente di Romeo e Giulietta che tratta di due ragazzi e di due famiglie nemiche: qui si parla di due imperi nemici». Ma perché le autorità sovietiche ce l'hanno tanto con Junona? «Perché è troppo moderno, rock e... ci sono molti conservatori». Contiene un messaggio politico? «Porse... E' tutto bello, più avanzato che non Hair o Jesus Christ Superstar, perché non è così leggero: sono sicuro che dice qualche cosa di nuovo, anche in senso internazionale, non solo in Russia». Il regista di questo Dostoevskij-rock è Mazbakav; «la nuova star dopo Lubimov, dice Voznesenski, più giovane e più di avanguardia». E'in scena, tre volte al mese, al teatro Lenin Konsomol, in via Gorki. E' un teatro di circa 1000 posti, ma tutti vogliono andarci, non solo i giovani, ma gli intellettuali. Anche persone molto importanti hanno chiesto dei biglietti». La stampa sovietica ne ha parlato? Junona è stato recensito? «Tutti i giornali americani e in Germania lo Spiegel. Quest'estate c'è stato un buon articolo su LiteraturnaiaGazeta». Ma ai critici sovietici Junona fa paura, perché non si sa come andrà a finire. Vanno e vengono le 'Commissioni* del ministero della Cultura sovietica, anche se Junona è già stato vagliato e autorizzato. «Per la prima volta in Russia viene usato il laser sul palcoscenico, con bellissimi effetti. Anche i costumi sono molto belli: l'insieme è di alto livello», dice, entusiasta, il poeta. I giornali americani hanno scritto che questo Junona è modernissimo e politico: è pieno di nostalgia per la détente tra i due Paesi, America e Russia. Il principe protagonista che visse prima dei Decabristi, era un uomo che sognava una società ideale, voleva qualche cosa di nuovo, era un liberale. Avrebbe voluto creare un ponte tra l'America e la Russia: «Se il matrimonio con la ragazza di San Francisco fosse avvenuto, la storia sarebbe cambiata, ma il principe fu sfortunato, morì». Alla fine i due cantano dal Cielo, lamentandosi. Ma prima di farlo morire, Andrei Voznesenski fa dire al suo eroe le parole di Lenin: «L'impero russo è una prigione» e continua «ma all'estero è la stessa cosa». Gaia Servadio