Una valigia in un albergo di Roma è quello che resta di Moussa Sadr di Ruggero Conteduca

Una valigia in un albergo di Roma è quello che resta di Moussa Sadr Tre anni fa la misteriosa scomparsa del leader dei musulmani sciiti Una valigia in un albergo di Roma è quello che resta di Moussa Sadr Un uomo si presentò all'hotel a suo nome poi si eclissò - Le indagini hanno appurato che l'Imam non lasciò mai la Libia - Rubati in tribunale il suo passaporto e una agenda ROMA — Prigioniero in Libia, scomparso in un albergo di Roma, ancora vivo, sepolto da anni in un luogo sconosciuto? Dal trenta agosto di tre anni fa, la sorte di Moussa Sadr, cinquantanni al momento della scomparsa, «papa» dei musulmani sciiti, iraniano di nascita ma residente in Libano, è rimasta legata a tutte queste ipotesi. L'indagine della magistratura italiana — affidata prima al sostituto procuratore Domenico Sica e poi, dopo un lungo letargo, avocata dalla Procura generale di Roma—non è ancora riuscita a chiarire, almeno ufficialmente, se davvero quella sera del '78 l'imam degli sciiti e i suoi due accompa- gnatori (lo sceicco Mohamed Yaacub e il giornalista libanese Abban Raddredin) giunsero a Roma con il volo 881 dell'Alitalia, proveniente da Tripoli. I loro bagagli furono ritrovati, tre giorni dopo la scomparsa, in tre stanze dell'hotel «Holiday Inn», a poca distanza dall'aeroporto di Fiumicino. L'albergo era stato prenotato per una settimana: ma quella sera l'imam (o chi si faceva passare per Moussa Sadr) si era fatto vedere solo per dieci minuti. Il tempo di depositare le valigie e uscire, coi suoi accompagnatori, per una destinazione sconosciuta. Moussa Sadr, dunque, è scomparso a Roma? Per lungo tempo le autorità libiche, direttamente coinvolte nella vicenda (soprattutto per gli attriti politici e religiosi fra il regime del colonnello Gheddafi e l'immagine di moderazione che l'imam sembrava incarnare nel Libano sconvolto dalla guerra civile) cercarono di accreditare questa tesi. Da Tripoli, Moussa Sadr e i suoi due amici erano regolarmente partiti. Ma nell'arco di alcuni mesi l'indagine della magistratura italiana, pur cambiando di mano più volte, mise a fuoco le incolmabili lacune di questa ricostruzione. L'imam, anzitutto, era persona imponente, alta più di un metro e novanta: fra i passeggeri di quel volo Tripoli-Roma, nessuno ricordava di aver notato una simile figura. Un altro elemento di dubbio è emerso poche settimane fa: riprendendo l'indagine per conto della Procura generale, il sostituto Vecchione ha convocato a Roma le mogli dell'imam e dei suoi due accompagnatori scomparsi. Si trattava di mostrar loro i ba¬ gagli ritrovati tre anni fa e di chiedere alle donne (sia pure con grave ritardo) di riconoscerli. La risposta delle «vedove» è stata corale: quelle valigie appartenevano si ai loro uomini scomparsi, ma contenevano anche oggetti non di loro proprietà. Il «giallo» si completa con un'altra, misteriosa circostanza: la scomparsa, tuttora inspiegata, dal fascicolo conservato negli archivi del tribunale, del passaporto intestato a Moussa Sadr, di una sua agenda e della carta di sbarco consegnata alla polizia di frontiera di Fiumicino da chi aveva viaggiato con l'identità del leader sciita. A compiere il clamoroso furto negli archivi del tribunale erano stati agenti libici? L'ipotesi si fece subito strada, pure senza naturalmente trovare conferme: e, a sua volta, il nuovo episodio rafforzò la tesi che Moussa Sadr e i suoi amici fossero stati «catturati» a Tripoli, per essere imprigionati o forse uccisi. Il viaggio, al posto loro, sarebbe stato compiuto fino a Roma da uomini di Gheddafi, proprio allo scopo di scaricare il regime del colonnello da ogni responsabilità. Ma quali motivi il regime libico avrebbe avuto per eliminare Moussa Sadr (molto amico, fra l'altro, di Khomeini) dalla scena politico-religiosa del Medio Oriente? Non solo divergenze politiche: alcuni hanno sostenuto che Gheddafi avesse fornito all'imam grossi finanziamenti in dollari per la creazione di una milizia che, in Libano, contrastasse le formazioni cristiano-maronite. L'imam però avrebbe impiegato quel danaro per scopi più pacifici. Tutte ipotesi, comunque. Teoria che però gli autori del dirottamento hanno mostrato di condividere, forse con qualche brandello di informazione in più. Al procuratore della Repubblica di Roma, Achille Gallucci, che dalla torre di controllo di Ciampino era in contatto con loro, i tre terroristi sciiti hanno detto di essere soddisfatti dell'opera della giustizia italiana e che questo dirottamento (il sesto, in Europa, avvenuto per lo stesso motivo) non era rivolto contro il nostro Paese ma contro 'quelli che hanno l'imam'. Ruggero Conteduca