Bene, tre volte Pinocchio

Bene, tre volte Pinocchio Splendido spettacolo-concerto dell'attore che dà voce a tutti Bene, tre volte Pinocchio In scena con lui c'è Lydia Mancine!!., per metà Fatina e per metà demone notturno DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PISA — Con uno spettacolo essenziale e severo, il suo « terso» Pinocchio, da sabato al teatro Verdi, Carmelo Bene offre al pubblico la summa delle componenti di una ricerca giunta ormai alla sua pienezza: lo spazio, la luce, il colore, la musica, la parola. Al cronista il compito ingrato di scomporre, a posteriori, quanto è fuso in una sintesi di splendida na turalezza. Lo spazio, intanto. E' quello di un quadro, chiuso in ben ritagliate cornici laterali lignee, continuamente ridipinto, in cui corpi e oggetti si accampano perentori: le spettrali bambole dell'infanzia, nella stanza dei giochi da cui prende le mosse la vicenda: la tavola-altalena, dalle immense stoviglie, su cui banchettano il Catto e La volpe; il cocchio dei bimbi ciuchi verso l'infernale Paese dei Balocchi. Ma è la luce, poi. a dare a corpi e oggetti quello spessore inquietante che li tramuta in simboli di una vichiana fantasia infantile: la luce che saetta, gialla di lampo, che rende le cornici incandescenti e rile¬ va dal buio le sagome artigliate di Geppetto e Ciliegia, accende di sulfurei bagliori un Mangiafuoco yrav. burattino tra burattini. E' la luce che si fa colore, dunque, e del colore, in fitto dialogo, esalta le squillanti tonalità: il rosso sangue del pagliaccetto di Pinocchio, il verdazzurro della testa-capocchia del Grillo, il nero dei conigli becchini, il bianco dello jabot, da dandy, di Lucignolo. A codesto intenso cromati¬ smo s'accompagna la serrata esaltazione dei valori timbrici nella partitura musicale di Gaetano Giani Luporini: rumori ed effetti ingigantiti (lo stridere della sega di Geppetto, lo schioccar della lingua golosa del Gatto) che si espandono poi in nenie o stralunate marcette d'una popolaresca melopea, alla maniera di un primo Stravinski o di un Prokofiev smargiasso. Ma se si discorre di musica è d'obbligo dire, soprattutto, di quella musica «altra» che è la parola, nell'uso propriamente canoro che Bene le riserva L'attore ha avocato a sé tutte le voci dei personaggi, salvo quella della Fatina, una livida Lydia Mancinelli, a metà bambina, a metà notturno demone impassibile (tutti gli altri ruoli «fisici» vengono so stenuti, sotto fastosi costumi e grottesche maschere, da due inesauribili mimi toscani, fratelli Mascherra). In questa unità totalizzante Bene, mettendo a frutto le lunghe meditate esperienze nell'ambito del poema sinfo-\ nico, da Schumann a Maderna, offre un magistrale esem pio di «fonica interiore-, in cui la voce, inarcata, dilatata, forzata a precipiti salti costretta a vorticose peripezie, prorompe in tutta la sua sbalorditiva ricchezza, senza delineare mai psicologicamente il singolo personaggio, connotandolo invece per segni, appunto, tonali. Certo, in questo concitato oratorio drammatico, la voce di Pinocchio spicca come leader: voce di una stizzosa ribellione, voce di chi non si arrende all'universo adulto, di chi rifiuta di piegarsi agli obblighi della prosaica, offensiva quotidianità. Resta sola, questa voce ribalda, questa voce libera di poesia, nell'ultima parte dello spettacolo che procede al suo esito in base ad una struttura a cono capovolto (ecco perette l'abbiamo definito severo, e come tale riuscirà forse difficile a taluni accettarlo): via lo spazio ridotto alla sagoma del protagonista, via la luce che fioca appena lo scontorna, via la musica azzittita, c'è soltan to ormai, dentro Pinocchio, la voce della sua insofferente solitudine. (J, v

Persone citate: Carmelo Bene, Catto, Fatina, Gaetano Giani Luporini, Lydia Mancine, Lydia Mancinelli, Maderna, Prokofiev, Schumann, Stravinski

Luoghi citati: Pisa