Una colazione a 8000 metri di Gigi Mattana

Una colazione a 8000 metri Convegno su alpinismo e alimentazione Una colazione a 8000 metri TORINO — I «signori» dell'Ottocento, quando andavano in montagna, non mancavano mai (tanto erano i portatori a sobbarcarsi il carico) di avere congrue provviste di cosciotti, prosciutti affumicati e vini generosi; oggi c'è chi sta due settimane sulle pareti californiane e vince un «ottomila* himalayano usando solo cibi liofilizzati, o quasi digiunando, o seguendo la macrobiotica. Montagna e alimentazione insomma sono due campi che non si sono ancora toccati: ognuno in quota mangia quanto e quel che vuole; esistono mille esperienze diverse ma non suffragate da prove scientifiche. Per porre un po' di chiarezza in questo argomento ieri si è tenuto a Torino un interessante convegno, probabilmente uno dei primi in Europa: da un lato il prof. Wyss (direttore del Centro di medicina dello sport), il prof. Balzola (dietelogo) e il prof. Pinotti (fisiologo) e dall'altro Sandro Gogna (uno degli uomini di punta dell'alpinismo italiano sia in salite estreme sulle Alpi che in spedizioni extraeuropee) a scambiarsi informazioni di scienza e di vita vissuta. Sono emersi alcuni principi fondamentali che si evincono soprattutto dalla pratica: è importante mangiare molto spesso, ma non sotto sforzo, usare cibi digeribili e preferibilmente bandire i grassi. Naturalmente è importante sapere la durata dello sforzo cui si va incontro: due o tre giorni in parete possono essere sopportati dall'organismo umano anche senza ingerire cibo (si consumano le riserve), ma uno sforzo prolungato a livello di ottomila calorie giornaliere consumate, rende indispensabile (anche se la nausea spesso è un ostacolo) almeno una leggera prima colazione e una minestra calda la sera. In ogni caso però vige un principio fondamentale: l'alpinista deve mangiare ciò che più gli piace, è assurdo stabilire che un cibo è una panacea se poi ci fa rivoltare lo stomaco solo a vederlo. Ovviamente l'alimentazione cambia a seconda dell'ambiente e della quota: Gogna racconta che nel '67 arrampicò per un mese (ma era stata la scarsità di quattrini a «suggerire» la dieta) vivendo di tonno e marmellata e sette salite estreme nel gruppo della Civetta furono effettuate avendo come unico alimento un pacco di biscotti per cani e tanto tè zuccherato (sulle Alpi infatti si è soliti dire che chi meno mangia meglio arrampica). Quando la scalata (sempre a quote accessibili) presuppone almeno una settimana in parete, i cibi base diventano latte condensato, minestre liofilizzate e frutta secca (nessuno più punta su salumi o formaggi); su alcune pareti lunghissime e torturate dal sole come quelle della Yosemite Valley in California è fondamentale avere un'adeguata scorta d'acqua. In Himalaya, quando una spedizione dura anche due mesi, ogni alimentazione è possibile; però i tentativi, spesso empirici, per trovarsi in forza alle alte quote, hanno dato quasi sempre gli stessi risultati. Dai 5000 metri dei campi base in poi la grande nemica degli alpinisti è la dissenteria: non si sa ancora quale meccanismo la scateni, ma non ne sono immuni sia gli alpinisti che puntano tutto sull'uso dei poveri cibi locali, sia quelli che si cibano rigorosamente come a casa propria, con alimenti in scatola o liofilizzati tutti provenienti dall'Europa. Sono problemi epatici ancora tutti da scoprire? La neve di quei ghiacciai, anche se bollita, ha elementi nocivi? Sono domande ancora senza risposta, ma uno stomaco soddisfatto e un fisico integro sono la tessera fondamentale nel mosaico di un «ottomila». Gigi Mattana

Persone citate: Gogna, Pinotti, Sandro Gogna, Wyss

Luoghi citati: California, Europa, Torino