Dargli 110 e dirgli addio di Clemente Granata

Dargli 110 e dirgli addio NEGLI ATENEI ITALIANI SI TORNA A STUDIARE, MA COME? Dargli 110 e dirgli addio Si teme che la saturazione del ruolo docente precluda l'insegnamento universitario ai bravi neolaureati Polemiche sui concorsi per professori associati - Romeo: «II livello medio si è abbassato» - Tecce: «Troppe sperequazioni nei giudizi di idoneità» - Il parere di Schiavinato, Valitutti, Lombardo-Radice DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MILANO — C'era una volta l'assistente universitario, personaggio sottoposto a una sorta di servitù personale nei confronti del docente. Però... Però le frustrazioni, l'istituto della «conferma», che comportava un periodico giudizio d'idoneità, provocavano furori, stimoli e ardori. «Era una addestramento — ricorda Carlo Simi, docente di filosofia alla Statale — durante il quale sia il giovane che il professore valutavano se quella dell'insegnamento era per l'assistente una strada percorribile. L'assistente faceva ricerca, produceva, scriveva come un disperato pur di sottrarsi a una condizione deprecabile-. C'era una volta l'incarico annuale. Posizione indubbiamente aleatoria. Però... Però l'incaricato alla fine dell'anno era sottoposto a una verifica e se il giudizio era positivo continuava l'insegnamento con la speranza di giungere a una cattedra. E per raggiungere la mèta, ricercava, scriveva, produceva con identici furori e ardori. Figure della vecchia università gerarchica e autoritaria, che si ricordano persino con un velo di nostalgia, mentre gli atenei dopo i sussulti del '68 e del '77 e la legge di riforma, tra inquietudini e speranze, cercano di trovare un nuovo equilibrio. L'equilibrio precedente si ruppe allorché con la «liberalizzazione» le porte si spalancarono a legioni di studenti. Per far fronte alle nuove esigenze si reclutarono in modo massiccio contrattisti, assegnisti, borsisti, mentre gli incaricati (1973) furono stabilizzati e caddero in desuetudine gli istituti della conferma e della verifica. Trascolorarono le tradizionali figure che avevano ruotato attorno agli ordinari, incorporate in un esercito di 40 mila unità, guidato da 15 mila docenti. Esercito deluso dai continui rinvìi di interventi legislativi, che dessero alle nuove figure certezze al posto di labili speranze. Esercito inquieto con frange ribelli non estranee alle tensioni del '77 e assurdamente reclamanti l'immissione in ruolo indiscriminata. Esercito, si dice, lontano da quegli entusiasmi e slanci «eroici» che avevano infiammato assistenti e incaricati. -Per ragioni demagogiche — afferma il prof. Alberto Martinelli, direttore del dipartimento di sociologia alla "Statale" — si diede un lavoro precario a molti giovani, senza preoccuparsi della loro preparazione. Dopo gli ingressi indiscriminati, la mobilità universitaria fu bloccata al livello più basso e il ritardo delle leggi per risolvere la questione del precariato ebbe conseguenze negative sull'impegno-. -Sì — dice il senatore Salvatore Valitutti, rettore dell'Università di Perugia — il giudizio mi pare esatto anche se distinguerei tra la fascia dei precari quarantenni che paiono talora scadenti e la fascia dei giovanissimi, che danno a volte notevoli segni di vitalità». E lo storico Rosario Romeo: -Essendo molto numerosi coloro che sono entrati all'università, si trovano certamente alcune persone che eccellono, ma il livello medio generale è più basso che in passato-. Ancora Valitutti: -Gli anni scorsi il legislatore ha introdotto una serie di automa- tismi che si sono rivelati dannosi: via la verifica, via la libera docenza, stabilizzazione degli incarichi, ecc. Il potere di scelta del corpo docente è risultato infatti limitato-. Meccanismi bloccati, arrugginiti e poi faciloneria, stanchezza, routine, l'insegnamento negli atenei considerato a volte un mestiere come gli altri, purché ci fosse uno stipendio, una mutua, la speranza di una pensione. E' un'analisi troppo pessimistica? Il rettore della «Statale» Giuseppe Schiavinato ne è convinto. -Non nego che ci siano state situazioni critiche e si siano prodotti guasti, ma non sempre e ovunque. Penso per esempio alle facoltà scientifiche, in cui si è sempre registrato un rapporto fecondo tra docenti e precari. Insomma, la sciatteria che alcuni lamentano non è stata un fenomeno generale-. Alla fine è arrivata la riforma: dottorato di ricerca nella prospettiva di una stratificazione dei titoli universitari, concorsi per ricercatori (grosso modo i vecchi assistenti) e per associati (grosso modo i vecchi incaricati). Com'è questa riforma? Le prove d'esame in corso offrono garanzie di serietà? Il prof. Giampiero Sironi, direttore a Milano dell'istituto di genetica e membro del Cnu afferma: -La macchina della riforma si è messa in moto più velocemente di quanto i pessimisti pensassero. Essa mira a razionalizzare la stratificazione del personale formatasi in passato. E' legittima la richiesta di selezione, ma bisogna tener presente che si tratta di giudizi d'idoneità e non di concorsi con un numero predeterminato di posti-. -La riforma — dice Andrea Masini, ricercatore di lettere — ci fa sperare in un lavoro certo, il che è importante anche se il trattamento economico assomiglia al pezzo di salsiccia dato al cane perché stia buono. Si pretende la severità nei concorsi? Certo nessuno auspica un'ammissione generalizzata. Ma perché i drastici provvedimenti non furono adottati verso la metà degli Anni Settanta, quando noi stessi eravamo più disposti ad accettarli? -A ventotto anni ci si rifa una carriera, ma a trentacinque? Per i ricercatori si parla del 20 per cento di respinti, per gli associati del 30-40 per cento. E' davvero un'immissione indiscriminata nei ruoli?-. -Non c'è né ope legis né strage — sostiene il rettore Schiavinato — ma una selezione moderata, fatta però con criteri non sempre uniformi-. -Infatti — dice Valitutti — c'è una grande varietà di giudizi. Non si sono adottati criteri di valutazione oggettivi, ma d'altra parte nella situazione che si era venuta a creare quale procedimento bisognava adottare?-. -Le sperequazioni sono notevoli —lamenta Giorgio Tecce, preside di Scienze a Roma —: sono stati giudicati inidonei al ruolo di associato elementi validissimi e idonee persone che forse non lo meritavano-. -E' vero — sostiene il fisico Francesco Calogero — gli esami sono imperfetti, si registrano discrepanze nelle valutazioni, ma ritengo che un esame, anche se condotto con metodi qualche volta criticabili, sia meglio di niente. L'alternativa era la sanatoria generale-. Dice Rosario Romeo: -E' troppo presto per fare valutazioni. Una certa selezione c'è, ma non ha nulla a che vedere con il rigore che sarebbe necessario in un vero concorso-. Sostiene il professor Massimo L. Salvadori: -Ci sono bravissimi giovani che in qualche caso potrebbero anche presentarsi a un concorso per cattedra e altri che fini¬ scono nei ruoli per forza d'inerzia, per il peso che acquista il fatto di lavorare da diversi anni all'università. Per troppo tempo non ha funzionato il sistema di reclutamento sicché non c'è stata l'evoluzione di un normale processo selettivo. La responsabilità, a mio avviso, è del Parlamento, al quale spettava di mettere ordine nell'università e che invece per troppo tempo ha trascurato il problema favorendo il sorgere di fenomeni di natura parassitaria-. Polemiche roventi, mentre altre questioni si pongono. Dopo l'ingresso nei ruoli dei precari ci sarà ancora spazio nell'università per i giovani? C'è chi, come il professor Martinelli, afferma che «tZ corpo dei docenti rischia di saltare una generazione- e non pochi condividono il suo pessimismo. -Non condivido certi allarmi — dice il matematico Lucio Lombardo Radice —; se si creano figure nuove di docenti distaccati in sedi periferiche, se si creano forme di open university, se si cerca di risolvere i problemi dell'aggiornamento e della formazione didattica, ecco che si creano le situazioni perché altro personale sia utilizzato negli atenei-. E Valitutti: -La riforma mette a disposizione posti freschi per i giovani, per esempio 4 mila riservati ai ricercatori. Non è vero dunque che ogni sbocco è chiuso. Più in generale dico che la legge crea le condizioni perché gli atenei si autorisanino. E preciso che in questo perìodo gli indici di autorisanamento più che dal corpo docente non sempre valido, giungono dagli studenti che hanno ritrovato l'amore per lo studio-. Ma sono gli studenti dei quali alcuni professori, convinti che gli sbocchi nella carriera universitaria siano comunque preclusi per molto tempo, dicono: -Gli diamo centodieci e la dignità di stampa, ma siamo costretti a dirgli addio-. Clemente Granata

Luoghi citati: Milano, Roma