La scimmia parlante di Oreste Del Buono

La scimmia parlante BORGES PRESENTA RACCONTI ARGENTINI La scimmia parlante Yzur è una scimmia che un tale (il tale che racconta in prima persona) ha acquistato all'asta di un circo fallito. Un giorno il tale in questione legge chissà dove che certi indigeni, mi pare, di Giava attribuiscono la carenza di linguaggio articolato nelle scimmie all'astensione e non all'incapacità. Non parlano, sostengono, perché non le facciamo lavorare abbastanza. Sedotto da una simile morale, il nostro tale decide di far parlare la sua scimmia Yzur. La sua idea fissa sarà da qui in avanti che le scimmie furono uomini che per una ragione o per l'altra smisero di parlare. Il che produsse l'atrofia dei loro organi di fonazione e dei centri cerebrali del linguaggio, debilitò sin quasi a sopprimerlo il rapporto tra gli uni e gli altri, limitando l'idioma della specie al grido inarticolato, e facendo decadere in animale l'umano primitivo. Così la povera scimmia Yzur viene tartassata dal padrone trasformatosi in ossessivo insegnante. Yzur, d'altronde, è giovane e desideroso di imparare. Compie, dunque, grandi progressi, ma alla parola non pare arrivare mai. Il padrone insegnante dopo averlo tormentato in ogni modo, finisce per percuotere bestialmente Yzur sospettandolo di esser già in grado di parlare, ma di non parlare ancora davanti a lui per malignità. Yzur si ammala gravemente, offeso nella sua dolcezza scimmiesca, e non si riavrà più. Prima di morire cerca con la mano la mano del suo persecutore pentito e gli mormora con lo strazio di una voce restata muta per diecimila anni: «Padrone, padrone mio...». L'antologia borgesiana Racconti argentini di recente uscita non poteva cominciare più suggestivamente che con questa storia di Leopoldo Lugones. Con gentile puntigliosità la congiura ordita dall'editore Franco Maria Ricci e dal grande Jorge Luis Borges all'insegna de «La Biblioteca di Babele» continua ad arricchirsi di titoli e di pagine affascinanti. La congiura va precisando il senso in cui si muove. Ricci, che si definisce «piccolo editore di Parma», passò anni fa qualche giorno a Buenos Aires, e riuscì a convincere Borges a dirigere per lui una collana con tutti i testi adocchiati, assaporati, ammirati nella sua lunga vita di bibliotecario geniale. Nella congiura sono successivamente entrati Maria Esther Vàzquez come indispensabile collaboratrice della cecità di Borges, Marcella Boneschi come collaboratrice preziosa dell'estro grafico di Ricci e Gianni Guadalupi come principale traduttore, il traduttore almeno delle parti in castigliano, le parti più di Borges. «La Biblioteca di Babele» è, ovviamente, babelica, non conosce contini e restrizioni di nazionalità e argomento, ma è anche coerente nell'offrire il meglio di ciascun autore capricciosamente e consapevolmente scelto, a partire dal ri. 1 Le morti concentriche di Jack London e, via via, il n.- 2 Lo specchio che fugge di Giovanni Papini, il n. 3 Storie agradevoli di Leon Bloy, eccetera. Questi libretti lunghi e stretti dalle belle copertine in carta di Fabriano azzurra con sopra collages di frammentari, particolari, lacerti di incisioni e stampe ottocentesche, qua e là colorate quasi a tradimento, mi piacciono tutti, ma Racconti argentini è senz'altro uno dei migliori, forse il migliore. Nell'introduzione che come tutte quelle della «Biblioteca di Babele» Borges non ha potuto scrivere causa la cecità, ma ha dettato o, chissà, ispirato a Vàzquez (già, del resto, sua coautrice nella compilazione di Literaturas germanicas medievale! e altre opere), è tracciato un balenante e tuttavia sostanzioso compendio di storia della letteratura argentina: «Gli scrittori argentini si differenziarono sempre sotto qualche aspetto da quelli che negli altri paesi del continente diedero il loro contributo al castigliano. Nello scorcio del secolo scorso nacque in Argentina un genere singolare, la poesia gauchesca; e ora sono già molti gli scrittori che si dedicano alla letteratura fantastica e non tentano una mera trascrizione delta realtà E' noto che il modernismo rinnovò, alla fine del XIX secolo e agli inizi del XX, le diverse letterature della vasta lingua spagnola. Questo rinnovamento coinvolse soprattutto la poesia; per quanto riguarda la prosa, non andò oltre il musicale e il decorativo. L'unica eccezione degna di nota è costituita da Las Fuerzas extranas di Lugones (1874-1'J)8). Questo libro fu pubblicato nel l'J06. Dei racconti che comprende il più notevole ci pare "Yzur"...». Qualche critico, riferisce Borges, ha indicato l'influsso su Lugones di Edgar Allan Poe e di Herbert George Wells. Questi maestri anglosassoni erano alla portata di tutti allora, ma solo Lugones ne mise a frutto l'appassionata lettura, senza minimamente cedere all'eccesso di musicalità e di decorativismo comune alla maggior parte di quelli che Borges chiama modernisti argentini. L'argomento prediletto da Lugones (il feroce insegnamento dell'uomo alla scimmia) esige che il tale che racconta in prima persona sia un uomo di scienza. E questa esigenza ci gratifica di uno stile severo. La storia può essere letta in due modi. Il primo è quello di prenderla per il resoconto di un esperimento straordinario, il secondo è quello di considerarla la cronaca del progressivo impazzimento di due individui destinati ad amalgamare nel corso del tempo bestialità e umanità. La pagina finale ha la doppia opportunità di risultare realistica o allucinatoria. Per me, è tutt'e due le cose, e magari qualcosa di più. ★ * Tutti gli altri pezzi fantastici raccolti in Racconti argentini, del resto, sono ricchi di duplici significati. Altrimenti, Borges non li avrebbe inclusi. «Il calamaro opta per il proprio inchiostro» di Adolfo Bioy Casares, a esempio, narra, mai direttamente, solo per allusioni e supposizioni, la visita di un essere venuto da un altro mondo per salvare il nostro dalla bomba atomica. Capita in un villaggio della pianura che poco o nulla somiglia alla pampa dei letterati, e lì viene lasciato morire. «Il destino è maldestro» di Arturo Cancela e Pilar de Lusarreta narra, con sussulti e sbalzi di trent'anni, l'ultimo viaggio con un tramway a cavalli di uno sfortunato conducente. E' scritto che in un incidente tranviario ci rimetta la gamba sinistra. Invece, quando l'incidente si verifica, gli va di mezzo la gamba destra. Il destino maldestro deve montare addirittura una trappola temporale per colpire finalmente la gamba giusta, insomma, la gamba prescritta. «Casa occupata» di Julio Cortazar è l'incubo di ipersensibilità e fobia di fratello e sorella restati a viver soli in una antica casa spaziosa, troppo spaziosa. Così a un certo punto, lui è costretto a cominciare a chiudere precipitosamente una porta e a trascinare via lei perché ha sentito che è cominciata l'occupazione. Di porta in porta precipitosamente chiusa, l'antica ecces¬ siva spaziosità si restringe; La casa va abbandonata... E' impossibile abbozzare anche solo un riassunto di tutti i racconti dell'antologia. Sono poco più di cento pagine complessivamente, eppure Borges vi ha stipato interi universi fantastici, facendo congiungere specchi ed enciclopedie. L'Argentina è un paese almeno tanto tenebroso quanto luminoso. Ci sono racconti di Manuel Mujica Lainez, di Silvina Ocampo, di Federico Peltzer, di Manuel Peyrou. C'è pure un racconto di Vàzquez: «L'eletto». Però manca un racconto di Borges, il maestro argentino a cui tutti (tranne Lugones, per questioni d'anagrafe) si ispirano. Ed è una lacuna grave anche se originata da modestia. Facile porvi rimedio, comunque. Basta far ricorso al n. 19 della stessa «Biblioteca di Babele» che contiene Venticinque Agosto 198} e altri racconti mediti di Borges. Un numero apparso nel 198(1 nella collana non per voluttà del curatore, ma per affettuoso abuso del «piccolo editore di Parma» Ricci che ha inteso così festeggiare, sia pur con lieve ritardo, gli ottant'anni dell'Omero dei bibliotecari, dell'Odisseo del premio Nobel nato il ventiquattro agosto 1899 a Buenos Aires. Includerei nell'antologia Scrittori argentini proprio il componimento che fornisce il titolo a questo omaggio di straforo. Jorge Luis Borges racconta le vertiginose sorprese di una notte ancora da accadere o già accaduta in un sogno. Nell'atrio dell'albergo dai pallidi specchi scopre il suo nome e cognome scritti di fresco sul registro. Il padrone dell'albergo gli dice di averlo visto salire prima, poi si corregge, l'ha scambiato con un altro molto somigliante, ma lui, indubbiamente, è più giovane. Borges sale di corsa le scale. Nella camera più isolata, sotto la spietata luce artificiale, si riconosce. Di spalle sul piccolo letto di ferro, più. vecchio, dimagrito e molto pallido, c'è un altro se stesso. «Che strano», gli dice l'altro, «siamo due e siamo la stessa persona. Ma nulla è strano nei sogni». Lui domanda, sgomento: «Allora, tutto questo è un sogno?». «E\ ne sono certo, il mio ultimo sogno», gli dice l'altro, e con una mano indica il flacone vuoto sul comodino. «Quando la tua veglia arriverà a questa notte ne avrai compiuti ottantaquattro anni. Oggi è il Venticinque Agosto l'J83». Il vecchio Borges morirà, cercando la mano del Borges, per così dire, più giovane. La verità è che sono uno e due. O di più. infinitamente di più? Oreste del Buono

Luoghi citati: Argentina, Buenos Aires, Fabriano, Vàzquez